29 maggio 2019

POESIA. Due secoli ha l’Infinito, eppure la lirica di Leopardi oggi è "popolare".

È letta quasi sempre malissimo da chi, perfino attori o lettori professionisti, legge meccanicamente con quella piccola pausa alla fine di ogni verso che è insopportabile perfino nei bambini, inclini alla cantilena [ai quali questo gioiellino deve essere assolutamente vietato…voglio un Erode che faccia eseguire l’ordine: gli si dia piuttosto il melograno di Pascoli!].
      Così l’ascoltatore che ha un minimo d’orecchio e sensibilità poetica capisce che non ha capito o meditato nulla quell’attore che non segue neanche la punteggiatura dell’autore, già rara in poesia, ma che quando c’è è significativa, cioè serve appunto ad articolare le frasi del pensiero in sfasamento o controtempo rispetto all’obbligata scansione metrica, come nel jazz, e quindi ad aiutare a capire.
      Ho appena ascoltato la lettura di Arnoldo Foà, indicatami come una delle migliori. Macché, nella prima parte fa anche lui delle pause arbitrarie che interrompono il fluire del discorso, cioè segue i versi anziché la punteggiatura e il senso delle frasi. No, bisogna capire i concetti mentre si legge. Eppure è semplice (tanto più che non si tratta di versi in rima): basterebbe seguire punti e virgole, come in una normale prosa.. Così la visione è più ampia, si allarga. Invece, seguire i versi (che sono posticci, è a verso libero) la restringe.Risultati immagini per infinito di leopardi originale
      Ad ogni modo, la lirica “l'Infinito” di Leopardi dovrebbe avere ben due secoli di vita essendo stata composta verso il 1819. Strano, ci sembrava così moderna, attuale! Certo, dopo l’immediato favore ottocentesco, quando pochissimi erano in grado di leggere, gran parte del suo successo popolare è recente, dovuto alla società di massa, e favorito anche dalla sua geniale brevità.
      In realtà secondo me molto ci sarebbe da dire e ipotizzare sull'intreccio in soli quindici versi, leggeri eppure pesanti, di diversi piani naturalistici, metaforici, simbolici, filosofici, che la critica ha già gravato con un apparato interpretativo in sedimentazioni successive capace di farli affondare.
      Ma l’idillio (così lo definisce Leopardi), come certe pitture o composizioni musicali baciate da improvvise e dilaganti fortune, da Caravaggio a Van Gogh, da Beethoven a Coltrane (non che io voglia comparare tra loro questi esempi casuali) la vincerà sul suo immeritato pubblico che banalizza e rovina tutto quello che tocca, e anzi più guarda e ascolta, più rovina.

L'INFINITO
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

IMMAGINI. 1. Fotografia di Rodney Smith che mi permetto con goliardica iconoclastia di accostare, anche se l'autore non pensava certo al poeta di Recanati. Scherzo benevolo, appunto, leopardiano, perché Leopardi è il mio poeta italiano romantico (anche se lo preferisco come prosatore-filosofo). 2. Autografo dell’Infinito con correzioni e interessanti ripensamenti.

AGGIORNATO IL 29 MAGGIO 2019