22 agosto 2021

La mia Lega Naturista contesta lo Zoo, e la cosa non piace alla rivista femminile.

GLI ZOO SERVONO, OPPURE SONO DEGLI INUTILI LAGER?

 "In occasione della riapertura dello zoo di Roma [il 31 agosto 1976], la Lega Naturista ha inscenato una violenta (*) manifestazione per chiedere, in tutta Italia, la chiusura dei «lager degli anima­li». «Anche per i bambini rappresentano un'immagine diseducativa». «Sono diventati solo un luogo di sopraffazione e di violenza». È vero? Sentiamo gli esperti"

 Daniela Manasse, Annabella n.42, 19 ottobre 1976 

Roma, ottobre. «Domenica, se farà bel tempo, ti porteremo allo zoo a vedere le scim­mie e gli elefanti». Quan­te volte abbiamo fatto que­sta promessa ai nostri fi­gli? I genitori sono con­vinti tra l'altro che una visita allo zoo sia non sol­tanto divertente, ma addi­rittura necessaria, in quanto unico mezzo per permettere la conoscenza del mondo animale.

Ma è poi veramente co­sì? Lo zoo serve davvero? Per l'ennesima volta questo problema si è po­sto, in termini precisi e immediati, ai romani. Re­centemente, infatti, dopo cinque settimane di chiu­sura per lavori di ristrut­turazione e restauro, lo zoo di Roma è stato ria­perto al pubblico. E al mo­mento della riapertura, com'era da aspettarsi, è subito risorta l'annosa po­lemica sull'opportunità dell'esistenza degli «zoo lager». Davanti alle porte del giardino zoologico, gli aderenti alla Lega Naturi­sta esibivano cartelli di de­nuncia.

Ci ha detto Nico Vale­rio, della Lega Naturista: «Siamo contrari agli zoo per una infinità di ragio­ni. La prima: gli zoo muta­no l' equilibrio creato dalla natura tra gli esseri viven­ti. Faccio un esempio. At­torno a ogni animale gros­so si trovano, sempre, tan­ti animali piccoli con i quali, di fatto, il primo stringe una mutua allean­za. Bene, se noi allonta­niamo l'animale grosso dal suo luogo naturale, anche gli animaletti piccoli spa­riscono, modificando in qualche modo le abitudi­ni di vita dell'animale grosso.

« Il "secondo punto" », prosegue Valerio, « per cui auspichiamo la soppressio­ne di questi orrendi recin­ti è che anche dal punto di vista psicopedagogico lo zoo è completamente sba­gliato. Non è educativo che i bambini imparino a conoscere gli animali die­tro le sbarre in quanto fi­niscono per considerare giusta la violenza e la sopraffazione dell'uomo».

Fino a che punto ciò è vero?

Risponde il pedagogista Rovaglioli: « Per il bambi­no è importante vedere gli animali da vicino, perché ai suoi occhi gli animali diventano dei veri e pro­pri simboli: il leone è la forza, la scimmia è l'astu­zia, il cervo è la timidez­za e così via. Ma se è ve­ro che questi simboli sono stimoli necessari alla fan­tasia, è anche vero che, nel vederli chiusi in gabbie, il bambino avverte l'esisten­za di una separazione, ac­quisisce perciò il fatto che gli uomini, per soddisfare il proprio piacere o il pro­prio egoismo, possono do­minare gli altri esseri vi­venti».

Ma se aboliamo le gab­bie, nessun bambino (e nessun adulto) potrà cono­scere e vedere da vicino i cosiddetti animali feroci. E allora? «Si vedranno al cinema», è la drastica ri­sposta della Lega. Per tutti gli altri casi, la so­luzione è quella dei par­chi nazionali, dove l'habi­tat dell'animale è comple­tamente rispettato. Solo nel suo ambiente natura­le, infatti, l'animale conser­va il suo comportamento e le sue abitudini. Fra lo zoo tradizionale (tanti anima­li, di ogni paese, in poco spazio) e il parco nazionale (pochi animali, tutti nostrani, in tanto spazio) c'è una via di mezzo.

A proporla è Arturo Osio, membro del WWF (World Wildlife Fund): «Per migliorare questa situazione» dice, «basta rendere le gabbie meno anguste, recintarle con delle siepi, attaccarvi un cartello con su scritto le a­bitudini e le differenze di ogni razza. In fondo a Ba­silea, Francoforte e Lon­dra le cose vanno meglio, anche se gli zoo continua­no a esistere.

«Ma il problema dello zoo», spiega ancora Osio, «non è tutto qui. Un di­scorso a sé meritano quel­le organizzazioni che per rifornire gli zoo comunali non si fanno scrupoli sia per quanto riguarda la cat­tura di queste povere be­stie, sia per le condizioni in cui le spediscono sui mercati europei. Cattura­no gli oranghi dando fuoco agli alberi, spediscono i falconi cucendogli le palpebre, infilano i puma in cassette da gatti. È un'or­renda speculazione che si può facilmente abolire: ba­sta un continuo scambio di animali, riprodotti in cattività, tra i vari giardi­ni zoologici».

In queste condizioni uno zoo più «umano» è possibile?

Non ancora o, almeno. non subito: anche gli uo­mini devono imparare ad andare allo zoo. Dice infat­ti Sergio Spinelli, zoofilo e allevatore, consulente del­la Rai-TV: « La gente pen­sa che l'animale non ha sensibilità e perciò lo addi­ta, lo deride, lo spaventa, quando non gli getta cibo pericoloso per la sua salu­te. E poi, comunque, tanta gente tutta insieme, come alla domenica, disturba la sua tranquillità. Lo zoo, insomma, per trasformar­si in un luogo "vivibile" per gli animali deve in­nanzi tutto insegnare agli uomini cosa sono realmen­te gli animali e di che co­sa realmente hanno biso­gno ».

Daniela Manasse


NOTE

(*) "Violenta"? E' chiaro che al settimanale femminile la nostra protesta non piaceva. Tutta la mia intervista fu tagliata, e rimase una frasetta ottusa, che non ricordo proprio di aver detto, che mi fa apparire una specie di talebano. Cosa impossibile. Difendevo gli animali, certo, e a quei tempi erano ristretti in recinti non a misura di vita animale. Ma non ero affatto un estremista. In realtà, ad Annabella lo zoo tradizionale piaceva: le mamme vi potevano portare i bambini. E poi quale "violenza"? Tre ragazzi assolutamente non-violenti che reggevano tre grandi cartelli, come allora si usava. Gli "uomini-sandwich" li avevano inventati sulle strade di Londra e New York proprio come alternativa alle proteste violente, con urla, amplificatori e slogan aggressivi. Ricordo che io stesso, preparando l'azione davanti al restaurato Zoo di Roma il 31 agosto 1976, la prima manifestazione della neonata LEGA NATURISTA [v. sul movimento del Naturismo l'unico articolo storicamente fondato] da me fondata pochi mesi prima, avevo avvertito debitamente la Questura e i Vigili Urbani, invitandoli a presenziare, assicurando che neanche i megafoni sarebbero stati usati, e che i tre manifestanti sarebbero rimasti fermi davanti all'ingresso di Villa Borghese. E così fu. Arrivarono anche i fotoreporter dei due più importanti quotidiani della città, Il Messaggero e il Tempo. Quelle rare e preziose foto le ho perse nella chiusura della editrice Tattilo negli anni 90: erano rimaste sui tavoli di lavoro perché avevamo appena pubblicato su Scienza 2000 un articolo rievocativo. Le sto cercando di nuovo. Ma ora mi è molto difficile contattare da privato i nuovi responsabili degli Archivi fotografici dei due quotidiani romani. Comunque, volete saperla tutta? Oggi rifarei tutte le mie battaglie di gioventù della Lega Naturista, dal I Referendum contro la Caccia all'Alimentazione naturale e integrale; ma forse, anzi, sicuramente, quella sulla chiusura degli Zoo non la rifarei, e proprio per le considerazioni del pedagogista Rovaglioli qui intervistato. Giù allora c'erano meravigliosi filmati a colori di National Geographic e BBC (altro che "li vedano al cinema!" come mi fa dire la giornalista prevenuta: erano comunque filmati costosi e non alla portata di tutti. Gli zoo, magari resi più selvaggi e ingranditi, li terrei. Con tutto che oggi ci sono meravigliosi video di animali selvatici per bambini e adulti, allora impensabili (pensiamo solo all'aggressività dell'ippopotamo... chi se l'immaginava? o alla velocità e agilità eccezionale del facocero, allora ritenuto un placido e perdente suino, fino all'invisibile gatto selvatico rivelato solo dalle foto-trappole di notte), visibili gratis a tutte le ore anche su YouTube. NICO VALERIO

18 agosto 2021

SCIENZA, ma a quale titolo? Studioso, divulgatore, docente o giornalista?

SCOPERTA. E’ stato trovato durante scavi archeologici un vaso istoriato antico. Come, da chi e a quale titolo la notizia è comunicata al pubblico? Oppure, uno studioso suggerisce il motivo per cui una specie animale ha vista così corta. O ancora è stato isolato un nuovo composto tossico in una verdura che si mangia di frequente. Oggi, poi, è sempre più frequente il caso d'una nuova o rivoluzionaria tesi scientifica emersa ristudiando meglio “a tavolino” vecchie ricerche altrui già pubblicate (review, vuol dire rivedere, passare di nuovo in rassegna) alla luce di nuove conoscenze o di criteri innovativi. Insomma, c'è una notizia di argomento "scientifico". Chi se ne occupa, il cronista o lo scienziato? Vediamo che accade in questi casi

TRATTAMENTO. Tutti i mezzi di comunicazione di ogni ordine e grado si gettano sulla notizia. Ma quali soggetti, quali media e soprattutto a quale titolo? È bene saperlo per evitare equivoci.

A QUALE TITOLO? Il pubblico profano e perfino qualche specialista, tende infatti a confonderne i ruoli e i mezzi di comunicazione. Per le persone meno acculturate tutto ciò che è scritto ha grande valore in sé, qualunque sia il mezzo. Ma anche a livello superiore, succede che perfino qualche docente universitario è portato a dividere rozzamente e in modo manicheo i ruoli dei comunicatori di una notizia scientifica solo in due categorie: i “giornalisti” (per definizione ignoranti, superficiali e inattendibili, il che in parecchi casi è anche vero) e gli “accademici” o "scienziati" (per opposto stereotipo super-esperti, profondi e infallibili, cosa che in alcuni casi è vera).

Dei “giornalisti” farebbero parte secondo questa bipartizione diffusa non solo tra il “popolino”, cioè le persone più semplici e ignoranti, ma paradossalmente anche tra insegnanti e scienziati, chiunque scriva su carta stampata e web, o parli in tv, radio, YouTube, compresi annunciatori e presentatori di programmi video.

Degli “scienziati” farebbero parte, sempre secondo questo luogo comune, tutti gli studiosi e ricercatori di istituti universitari, membri di accademie specializzate, docenti universitari della materia, archeologi, chimici, biologi, epidemiologi, astronomi, giuristi, economisti ecc.

Ma non è così semplice. Cerchiamo di delineare più in dettaglio le varie figure che trattano la scienza, un tentativo di sintesi estrema che si presterà sicuramente a critiche o precisazioni, e che lascerà tutti, me compreso, un poco insoddisfatti, anche perché tra alcune categorie i confini non sono così netti, alcuni termini sono visti da qualche dizionario come sinonimi, e poi ci sono persone versatili che svolgono diversi ruoli in commedia (p.es. il ricercatore che dopo aver studiato e sperimentato e pubblicato lo studio, lo divulga pure, e magari alla tv, spesso commettendo errori più gravi del peggior cronista alle prime armi). La classificazione che segue è perciò solo un vano tentativo di chiarire le idee (se non le confonderà ancor di più) al famigerato profano:

CRONISTA o corrispondente locale. Facciamo il caso che nel ridente paesino di Roccantica, in corso Garibaldi, durante i lavori per l’acquedotto, gli operai abbiano portato alla luce un bellissimo vaso greco con molte figure, rotto in più pezzi. Il sindaco ha fatto transennare l’area e bloccato i lavori. Chi deve occuparsi di diffondere questa notizia che il pubblico ritiene “scientifica”? Innanzitutto un giovane e inesperto collaboratore locale, che non è neanche un giornalista, ma un informatore che ogni tanto “scribacchia” di locale squadra di calcio in serie D o riferisce di pettegolezzi sul parroco o sulle polemiche del Consiglio comunale. È già un lusso se si muove dal capoluogo un vero cronista anziano ed esperto, cioè un giornalista attento alla cronaca della provincia. Ma di “scientifico” che potrà dire? Nulla. Dovrà dire soltanto che l’ingegnere capo-cantiere, come vuole la legge, ha avvertito della scoperta la Soprintendenza competente per luogo, che da parte sua ha già inviato un funzionario specializzato in archeologia che sta già procedendo a una prima ricognizione e analisi in loco dei frammenti. Ma una cosa del genere, visto che si tratta d’un vaso molto istoriato e, sembra, con tutti i pezzi per ricomporlo, non può finire qui.

GIORNALISTA. Il giorno dopo dalla città arriva un giornalista anzianodi livello superiore, per approfondire il caso con più tempo a disposizione, maggiore completezza, maggiore esperienza o cultura. Già è in grado di incrociare dati generali e intervistare esperti, testimoni, cultori della materia, eruditi locali. Cita la tesi esagerata d’uno storico locale secondo cui il vaso "è il più bello mai trovato in Italia a memoria d'uomo" (sapete come sono nella provincia meridionale...), ma anche una prima prudente ricognizione d’un archeologo dell’Università più vicina che avanza l’ipotesi personale che, invece, possa trattarsi di opera secondaria della scuola ceramica di Lyssos, nota per copie non pregiate e produzioni commerciali fatte apposta per i ricchi collezionisti Romani; ma – mette le mani avanti – le analisi e le vere indagini storico-archeologiche sono tutte da fare.

Come si vede, questo giornalista, perfino se fosse un "giornalista scientifico", cioè specializzato, in questo stadio si muove ancora nella “cronaca”, non sta facendo “divulgazione scientifica” (v. oltre); primo perché non ne avrebbe la competenza, in secondo luogo perché manca ancora lo studio scientifico da “divulgare” o almeno un documento che lo preannunci, p.es. un comunicato che avanzi ipotesi o anticipia le probabili conclusioni dello studio. Siamo ancora alle parole, interviste e opinioni.

Ma che accade se, gli esperti (ricercatori o storici, cioè studiosi) concordano rapidamente sull’origine e il valore del vaso, prima ancora che sia emesso un vero documento (gli studi ci mettono mesi, se non anni, per esser pubblicati)? Il giornalista ne parlerà, eccome, dando la notizia scoop, ma senza entrare in dettagli scientifici. Si limiterà a riportare frasi “virgolettate” o il riassunto del comunicato stampa.

DIVULGATORE SCIENTIFICO. Può essere – pochi lo sanno – sia un giornalista specializzato di cultura ed esperienza, cioè un giornalista scientifico, sia uno specializzato scrittore o intellettuale qualsiasi, sia uno scienziato, sia addirittura l’autore stesso dello studio in questione. La divulgazione scientifica, come dice la parola, è la diffusione dei risultati della scienza, in particolare di una o più ricerche, anche ai massimi livelli, al pubblico dei non specialisti, dopo un'opportuna rielaborazione anche profonda del testo, ma senza nulla togliere alla serietà, complessità e completezza della ricerca.

L’ ideale, si usa ripetere come un tradizionale brocardo, è che dopo il trattamento del divulgatore scientifico i risultati dello studio o della scoperta siano comprensibili non solo agli altri giornalisti, ma a una persona di media cultura, magari specializzata in altri campi,  p.es. a un ingegnere, avvocato, docente di scuola, professionista di cultura medio-alta e altri vagamente interessati alla materia; ma "anche alla loro portiera"; senza minimamente dispiacere agli specialisti. 

Una semplificazione eccessiva o disinvolta è la norma sui giornali e in tv. Non può essere divulgazione l'articolo che non cita fonti esatte controllabili (l'Università non basta, servono autori, titolo, rivista, numero, anno)oggetto reale della ricerca (si lascia sempre credere all'azione di un farmaco o una dieta nell'uomo; ma spesso si tratta solo dell'effetto di una sostanza isolata - una sola tra le centinaia di ogni cibo - in vitro, cioè su cellule isolate poste nella capsula Petri, o in vivo, di solito somministrata a topi o ratti, neanche normali ma di varietà artificiali allevati appositamente); limiti (p.es., uno studio sull'acido grasso palmitico o sul beta-carotene isolati non c'entrano nulla con l'olio di palma o la carota di cui pure quelle due sostanze sono importanti componenti... Anche questo equivoco mistificatorio si è verificato più volte, addirittura in conferenze-stampa dei ricercatori autori!), meccanismi d’azione, soggetti coinvolti (volontari sani o pazienti, poche decine o molte migliaia, solo americani o asiatici oppure anche europei, soggetti che hanno assunto farmaci per anni, o hanno avuto per anni una dieta pessima oppure ottima?), durata della prova (due settimane, 15 gg ripetuti dopo un intervallo, o sette anni?), tossicità ed effetti secondari durante e dopo l'esperimento, efficacia pratica (es., la vit. C, che si calcola per 100 g, citata nel peperoncino fresco o nel prezzemolo che si consumano solo a pochi grammi) e così via.

Non solo il web, dove chiunque si improvvisa cronista scopiazzando qua e là, ma oggi anche la tv e i giornali trattano le notizie "scientifiche" senza rispondere a questi requisiti di seria divulgazione. Gli studi così travisati e falsificati, buoni per un titolo a effetto, diventano rosee o allarmanti favolette per bambini, come certe sadiche favole dei fratelli Grimm, buonanima.

La forma e lo stile, poi, devono essere quanto più semplici e chiari per tutti; senza di che, attenzione, verrebbe ugualmente a mancare la divulgazione scientifica. Perciò, è ugualmente sbagliato che non citare le fonti ed essere superficiali ripetere - come fanno la maggioranza dei cosiddetti "giornalisti scientifici" italiani - pari pari lunghi brani di uno studio scientifico o riprendere termini di gergo e concetti scientifici senza tradurli in buon italiano per tutti (il ricorso ai famigerati inutili "paroloni" (sempre perfettamente traducibili) è sempre un sospetto sfoggio di erudizione e snobismo che nasconde insicurezza e spesso ignoranza, come anche l'abuso dell'inglese, oggi "koiné" linguistica della comunicazione scientifica internazionale, come fino alla fine del Settecento lo era stato, perfino in Gran Bretagna, il latino. Condizioni spesso utopistiche, ammetto nella comunicazione scientifica italiana. 

E' una vecchia questione, che forse ha a che fare non solo con le differenze di ricchezza e l'abitudine precoce al libro, ma anche, niente di meno, con le origini del Liberalismo, il dominio della Chiesa, l'antichità e laicità dello Stato; perché - guarda caso - i popoli abituati - a differenza di Italiani, Spagnoli, Portoghesi e altri popoli cattolici ecc. - a leggere e interpretare la Bibbia liberamente e individualmente, e a spiegarla ai presenti riuniti in assemblea (protestanti come anglosassoni, olandesi, tedeschi; ebrei ecc.), sono quelli che hanno fatto sorgere i migliori divulgatori storici e scientifici. E' impietoso il confronto con l'analfabetismo italiano al 90% in fine Ottocento, l'assenza di scuole al Sud e il prete che in piena Roma metteva in guardia il popolano dal leggere i libri. 

Ma il passato è passato, si dirà. Eppure gli Italiani, anche se la situazione sta finalmente  migliorando, paradossalmente grazie al computer che instaura emulazione e controllo pubblico, hanno tuttora qualche problema con la buona divulgazione scientifica. Intanto, i nostri studiosi non sanno divulgare, spesso addirittura meno delle persone comuni. Forse perché provengono da strati sociali e aree geografiche a basso livello di lettura, o perché in Italia la scienza è stata a lungo una scelta scolastica residuale, di secondo livello ("non sono bravo in italiano-latino e greco, perciò mi iscrivo al liceo scientifico o all'istituto tecnico")? Fatto sta che grandi studiosi, scienziati e storici di valore non sanno scrivere e neanche parlare in tv, capacità ulteriori che sicuramente delineano e arrotondano il livello intellettuale complessivo. 

E poi in Italia si diventa spesso "giornalisti scientifici" solo perché  al giovane giornalista "piace" la materia o il presunto prestigio che ne deriva, ma non per particolare capacità di divulgazione, che è a sua volta un'attività creativa a se stante, una dote rara che vuole predisposizione, perché completezza, profondità, senso critico, senso della sintesi, rapida individuazione della gerarchia degli elementi, stile adatto e linguaggio, non si improvvisano. Così, solo così, il buon divulgatore svolge anche quell'opera di diffusione della cultura e maturazione critica dei Cittadini che né scuola, né università, e neanche la ricerca con le sue sole armi sanno fare. Altro che il semplice riassunto! Ecco perché proprio dal punto di vista culturale per paradosso un bravo divulgatore vale più d'un bravo studioso. Basti dire che i buoni divulgatori scientifici in Italia sono dell'ordine delle decine, tanto sono rari e perciò encomiabili, mentre i bravi ricercatori sono dell'ordine delle decine di migliaia.

STUDIOSO, RICERCATORE, SCIENZIATO. Termini generici, di solito intercambiabili, se non addirittura sinonimi, che però comprendono a voler sottilizzare almeno due categorie di chi si occupa di scienza, alquanto diverse tra loro, specialmente nell’impatto con gli organi di comunicazione. Cerchiamo di classificare, ma inevitabili saranno approssimazioni, eccezioni, casi che stanno a metà ecc.

1. Con titoli e in attività. Studioso-ricercatore-autore di studi-ricerche proprie come professionista o ricercatore dipendente in attività e con titoli, da solo o in gruppo, anche su studi altrui (review). Chiunque sia autore di uno studio (p.es. sperimentale o di laboratorio (in vitro, in vivo), clinico (sull’uomo: volontari sani, pazienti in ospedale), epidemiologico, storico-archeologico, giuridico, agronomico, statistico, economico, linguistico, bio-chimico, nutrizionale ecc,), pubblicato o non ancora, comunque di livello adatto alla pubblicazione. In biologia, per modo di dire, è uno che “si sporca le mani” in laboratorio, proverbialmente “dando per anni capsaicina ai topi”, o un nuovo farmaco a degenti in corsia in modalità “doppio cieco”, o effettuando operazioni chirurgiche con un nuovo metodo. 

Ma, attenzione, errori gravi nella comunicazione, come il facile sensazionalismo (allo scopo di avere notorietà e maggiori finanziamenti per la ricerca), con tanto di ambiguità verso tesi anti-scientifiche (chiaro suggerimento subliminale per i titoli accattivanti dei giornali: ecco dove nascono davvero certe bufale), si sono verificati perfino quando a tenere la Conferenza stampa di presentazione del lavoro è stato non un giornalista scientifico accreditato dall'Istituto, ma addirittura il Direttore-coordinatore in persona, cioè uno scienziato. Famoso il caso di uno studio sull'acido palmitico isolato dato ai topi (sembrava aumentare il rischio di diabete) scivolato nella presentazione alla stampa sull'olio di palma, che di a. palmitico contiene grandi quantità, ma che non ha mai fatto registrare simile rischio, ed è neutro anche su ateromi e colesterolemia. 

2. Senza titoli o non più in attività. Studioso-ricercatore-autore di studi a qualunue titolo, in attività professionale o no (o al limite senza titoli accademici riconosciuti, pensiamo a Croce, Eiffel ecc. Chiunque studia, scrive o elabora testi scientifici (evidentemente in grado di farlo), cioè legge, analizza, oppure verifica, tenta di rifare per conto proprio, confronta, obietta, critica in modo motivato, suggerisce modifiche ecc, un qualunque studio, o collega-contrappone di propria iniziativa e in modo intuitivo e creativo personale ricerche esistenti, traendone proprie conclusioni e ipotesi, anche diverse e contrapposte a quelle avanzata dagli autori. In ogni caso sempre fornendo prove, ipotesi plausibili, mezzi d’azione probabili e riferimenti. P.es. la critica postuma degli studi e le review, perfino da ex-scienziati anziani (p.es. il biochimico T.C.Campbell) o premi Nobel, riservano spesso sorprese, cioè nuove scoperte che vanno attribuite all’autore della review, non più o non solo agli autori primari.

Tranne il caso dello studioso pignolo che vuole ripetere lo studio altrui per vedere “galileianamente” se funziona, questo studioso quasi mai “si sporca le mani”. Ma spesso gli basta notare incongruenze, difetti, limiti o pregi già nell’architettura della ricerca o nella scelta dei soggetti, nei metodi dello studio o nelle conclusioni pubblicate sulla rivista.

Anche così, alle volte lo studioso è capace, alla luce di nuove conoscenze sopraggiunte nel frattempo e incrociando molte ricerche (perciò di solito servono gruppi che setacciano le Banche dati dei motori di ricerca, i molti milioni di articoli delle Riviste scientifiche che pubblicano su internet), di re-interpretare i vecchi studi in modo nuovo, p.es. dimostrando che non è vero che un uovo al giorno aumenti la colesterolemia, che i grassi di per sé aumentino il rischio cardiovascolare, che i semi oleosi provochino aumento di peso rispetto agli amidi o che i cereali integrali portino a deficit di sali minerali. E così via. Insomma, anche le più fortunate e intelligenti review di vecchie ricerche già note, reinterpretate possono portare a interessanti scoperte.

Ma ci sono casi di “cultori della materia”, una materia diversa da quella della propria laurea o specializzazione (p.es., biologi, medici, agronomi, fisici, farmacisti, ingegneri, matematici, avvocati, docenti, giornalisti che avevano iniziato da giovani come divulgatori), così versati, appassionati, critici e di lunga esperienza nella “nuova” materia, che non si limitano più a elaborare, diffondere e utilizzare Comunicati stampa degli Istituti di ricerca o “abstract” degli articoli scientifici, ma si sono abituati a studiare direttamente gli interi studi originali; sono capaci di riunire e contrapporre vari studi, di formulare e verificare ipotesi originali, di portare prove appropriate. Se non bocciati drasticamente ai primi tentativi dalla comunità degli esperti, come sarebbe giusto se dicessero castronerie, questi bravi “dilettanti” o “autodidatti”, come si sarebbe detto un tempo, non sono da considerare solo divulgatori scientifici, ma veri e propri “cultori della materia”, cioè di fatto studiosi. Che possono anche anticipare di molti anni la scienza comunemente accettata in un Paese.

UNA ESPERIENZA DIRETTA. Posso assicurare che in Italia negli anni Settanta il medico di base restava a bocca aperta e poi manifestava contrarietà quando parlavo della fondamentale importanza dei cereali integrali e delle abbondanti porzioni di verdura e frutta ogni giorno. D’accordo, a Medicina non si studia(va) nutrizione scientifica. Ma anche gli “specialisti” dietologi e i docenti, che pur qualche studio dovevano leggere, come il compianto prof. Djalma Vitali sull’Espresso, consideravano queste “novità” scientifiche prese pari pari dalla nostra Tradizione, delle fisime, delle mode, insomma “faddism”.

Così, tra libri Mondadori e articoli, toccò a me e non a qualcuno delle migliaia di dietologi ben retribuiti d’allora, di riproporre, quasi “creare” in Italia la teoria del tutto naturale e “tutto integrale” della Tradizione antica e del Naturismo medico-alimentare, compresa la frutta con la buccia. E non perché ha più vitamine, cosa non vera come scriveva giustamente Vitali, ma perché fibre, polifenoli e altri antiossidanti, oltre al resto, hanno dimostrato grande difesa dai radicali, perfino quando la mela non è da agricoltura biologica ma è inquinata. Oggi il tema è diventato con 20 anni di ritardo un “must” della Scienza, con milioni di articoli scientifici in cui si dimostra che verdura, frutta, cereali integrali e legumi prevengono un po’ tutto. E ovviamente, tale era-è la mole delle prove, che mai una critica negativa fu fatta ai miei articoli o libri-guide, diventati anzi, dagli anni Ottanta punti di riferimento anche per medici e alimentaristi. Eppure ancor oggi ci sono resistenze di “esperti” accademici, medici di base e nutrizionisti sul consumo quotidiano di uova e legumi, e qualcuno è rimasto in trincea contro i cereali totalmente integrali. Sbagliando, ovviamente.

Insomma, per la libertà e completezza della Scienza è talvolta necessario che l’impulso per le nuove idee e l’aggiornamento venga da non accademici precisi e appassionati, diventati sul campo “studiosi”. Altro che “divulgazione”.

IMMAGINI

1. La corsa alla prima pubblicazione d'una notizia di qualche valore scientifico è spesso pari a quella di qualunque notizia. La prima notizia è quasi sempre di competenza d'un cronista, raramente di uno studioso, il quale interviene successivamente.

2. Ecco una pagina a caso del mio "Manuale di Terapie con gli Alimenti" (Mondadori). Manuali come questo, in cui si mettono insieme o a confronto, discrezionalmente, migliaia di studi, in cui si avanzano ipotesi o si smentiscono tesi, e in cui ogni affermazione si appoggia su riferimenti precisi a studi o review, vanno ben oltre la divulgazione scientifica e s'iscrivono piuttosto negli "studi".

AGGIORNATO IL 13 SETTEMBRE 2021