19 gennaio 2018

ALLIEVA e insegnante: storia vecchia quanto il Mondo, ma quanta ipocrisia.


IL DOCENTE E LA RAGAZZINA. Sono contrarissimo al contorto e obliquo ragionamento di alcuni sedicenti “libertarians” e radicali, che nella vicenda del professore 53nne (il solito cattolico integerrimo...) e della sua allieva di 15 anni del cattolicissimo liceo della migliore – scusate il penoso ossimoro – borghesia clericale romana, il “Massimo”, mostrano di giustificare o comprendere, semmai, il vecchio, l’uomo, e non la giovanissima, la donna, sulla base di argomentazioni sofistiche che mi aspetterei piuttosto da grassi e lubrichi Satrapi orientali o da prepotenti Don Rodrigo del nostro Seicento. Ma in Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia ci sono stati casi in cui l’adulto nella strana coppia era un insegnante donna e l’allievo un ragazzo. Eppure il problema era e resta il medesimo.
      Allora, fatemi capire, “libertario” (sempre diffidato di questa categoria, inesistente nel dizionario liberale) sarebbe lo strafottente e violento che, come dicono a Roma, “si fa i cazzi propri” (cioè, è un egoista che si sente libero di fare tutto ciò che vuole), pretendendo che lo Stato non si azzardi a mettere becco, se no sarebbe autoritario?
      Ma come si fa, proprio sul piano liberale – e sto parlando ora in generale, senza più alcun riferimento alla psicologia dei personaggi di questo caso di cronaca, che non conosco e poco mi interessa – a mettere sullo stesso piano, al limite, un furbo e vissuto furbastro erotomane di mezz’età, oppure un eterno infantile con turbe affettive, o un vero maniaco incallito, con un’ingenua ragazzina naturalmente immatura e plagiabile?
      Oltretutto con l'aggiunta aggravante del ben noto "carisma", che rende docenti, sacerdoti, confessori, guru, leaders, capipartito ecc. ancora più desiderabili e oggetto di adorazione presso i loro adepti, spesso soggetti minus habentes? Esiste tutta una ricerca psico-patologica sulla mancanza di maturità e spirito critico di allievi, aderenti a sette e seguaci di movimenti, che li fa dipendere passivamente dai loro capi. Dipendenza psicologica stranota ai giuristi e infatti ammessa anche dal nostro stesso Codice Penale, che considera non come attenuante romantica e poetica, ma come brutale aggravante che l'adulto seduttore, carisma o no, sia insegnante.
      Ma poi, a guardar bene, è il medesimo rapporto che s'instaura ancor oggi nei violentissimi e scandalosi "matrimoni" arabi e islamici tra vecchi e bambine di nove anni, e nella pedofilia in genere.
      Si tratta forse del reato di plagio, che il radicale Marco Pannella contribuì a far abrogare negli anni Settanta? Ma no, Braibanti e la faccenda del plagio tirata in ballo da alcuni per alleggerire la violenza psicologica dell’anziano che “s’innamora”, cioè approfitta della condizione di minorità della giovanissima, facendo finta di ignorare la sua immaturità psicologica e asserendo addirittura che “lei era consenziente”, non c'entrano nulla. Qui c'è una minorenne, non un adulto debole di personalità.
      Ma come, mi si opporrà: e l’antica Grecia, la Roma classica, la grande letteratura erotica, Shakespeare, e giù, giù, fino alle spose bambine promesse? Lo so bene che gran parte degli amori, dei fidanzamenti e matrimoni dell'Antichità, e fino a ieri anche nell’Europa moderna (nell'Islam e in Asia è ancora la norma), avvenivano con questa forma di grave squilibrio psicologico.
      Quel ch’è certo, è che oggi, quando le violenze sono più facilmente identificate attraverso gli strumenti della logica scientifica, questo strano “amore asimmetrico” gestito e comandato solo da uno, l’adulto, è una posizione che non solo non tiene conto dell’abc della psicologia, ma sul piano culturale è certamente una posizione illiberale, altro che “libertarian”. Si farebbe presto a parlare di “anarco-stupratori”. Un’indifendibile posizione ultra-reazionaria, come quella di chi negli Stati Uniti difende la pedofilia con la doppia scusa criminale della “maturità” psicologico-sessuale dei bambini e del presunto diritto primordiale dell’uomo, quasi un delirante “liberismo” anarchico applicato al costume e ai rapporti interpersonali. Anche Pannella di tanto in tanto, nelle sue patologiche cascate di parole, sembrava sfiorare queste idee, viste come posizioni “anticonformiste”, mai comunque elaborandole ed esponendole in forma compiuta e coerente. Ma non vuol dir nulla: Marco ha fatto alcune cose giuste e geniali, ma ha anche fatto e soprattutto detto molte, troppe, sciocchezze.

06 gennaio 2018

MITI d’oggi. La donna anticonformista provoca, ma domina la vita e la morte.

MARINA RIPA DI MEANA
Quando appariva, la vedevi così grande, spandeva così tanta luce, che tutti per contrasto erano spenti, piccoli, meschini. Una dea, ma una dea procace, della corporeità, dei fiori, della primavera, della bellezza. Si sparse allora la leggenda che fosse davvero lei la donna insieme più stravagante e più elegante di Roma; mentre per Gianni Agnelli, esagerato a causa del desiderio frustrato, era addirittura la più bella d’Italia. Eppure, vista attraverso il malevolo egualitarismo delle donne, era solo “appariscente”. «Tutta qua, questa famosa bellezza?» commentò acida la scrittrice Elsa Morante. Peccato che non siano le donne a poter giudicare le altre donne.
      Statuaria lo era, eppure magra, con l’ossatura forte, alta, ma a quei tempi ancora più alta per le lunghissime gambe giovani allungate da tacchi arditi, con la stravagante chioma rossa o pel di carota; e vestiti sempre svolazzanti, floreali o a colori accesi o pastello (che a Roma non si vedevano se non tra le signore delle ambasciate anglosassoni), sempre munita di cappelli incredibili, che però mai riuscivano a fare davvero ombra al volto ampio e d’una sua speciale convessità. Convessità? Era stato proprio lo scrittore Alberto Moravia, che come tutta la Roma intellettuale la frequentava e le faceva una corte serrata (v. oltre), a teorizzare, non so se pro domo sua, che la bellezza delle donne consistesse in questa qualità, come la più adatta – è l’immaginifica fisica dei letterati – a riflettere la luce.
      Così, Maria Elide, detta Marina, figlia dell'avvocato romano Punturieri, sposata Lante della Rovere, poi Ripa di Meana, sembrava procedere nella vita non in modo altezzoso, questo no, perché conservò sempre l’anima delle origini popolari, ma certo in modo deciso e prepotente; proprio come camminava in strada sugli insidiosi sampietrini romani, poco adatti ai suoi tacchi a spillo, ma adattissimi ai suoi cani che numerosi conduceva al guinzaglio. Ogni volta che la incontravi, all’apice della sua bellezza, negli anni 70 e 80, in una galleria d’arte o nei vicoli attorno a piazza di Spagna, da via Mario de' Fiori a via della Croce, al Babuino, luoghi già allora turistici e poco frequentabili da un romano, era la sorpresa d'una Venere che esce dalla conchiglia; e sempre ti si allargava il cuore.
      Futile, mondana, superficiale, storcevano il naso certi pensatori maschi, forse gli stessi che non erano riusciti a raggiungere il suo letto. Ignorante, l'aveva rimproverata Vittorio Gassman. Arrivista, scalatrice sociale, mangiatrice d'uomini, soffiavano alle spalle le perfide finte amiche, in realtà vere nemiche.  Ma di piccole cose sono fatte le grandi, e lei proprio il costume, il senso della Bellezza, voleva cambiare, coi mezzi che aveva, a cominciare dalla vita d'ogni giorno. E poi quale donna, quale uomo non vede la sua vita come un’occasione di conquista dell'altro o d'un posto nella società?
      La novità, invece, era che per la prima volta il modello di donna libera e anticonformista fino all'esagerazione, in questo caso il più perfetto a disposizione, doveva servire per una carriera personale e un’ascesa sociale. Non nascondersi, ma rivelarsi con la massima esplicita sincerità; non subire ma agire, anche a costo di provocare di continuo e di usare a mani larghe il Kitsch, ecco le nuove armi perfettamente consapevoli, giocose, naturali e in fondo oneste, sì paradossalmente oneste - contro la vox populi giornalistica - d’una donna coraggiosa e sfrontata, per ottenere il successo. Perciò, i mass media, che spesso non capiscono, stavolta capirono, e alla fine dopo anni di tentato scandalismo tutto le perdonarono.
      La madre le aveva dato della scema, quand'era adolescente, perché non leggeva, non aveva voluto frequentare neanche il liceo, ha scritto nel suo libro autobiografico "Colazione al Gran Hotel". E questo, forse, offre una chiave di lettura. Attraeva gli intellettuali, neanche fosse una musa ispiratrice, e da loro era attratta, perché in fondo, ammette, “si sentiva cretina”. Già, gli intellettuali. Hanno avuto un ruolo fondamentale nella sua vita, insieme con gli aristocratici e i necessari industriali. «Non avevo una lira ma vivevo da miliardaria» si confida nell’intervista con Candida Morvillo a proposito del suo libro. Sempre ospite di spasimanti e ammiratori, che non esitavano a mettere a disposizione anche l’aereo privato. Al Gran Hotel viveva pagata dall’ammiratore-mecenate Roberto Gancia, conte e industriale, che le procurò anche un lucroso contratto di abiti prêt-à-porter col Giappone. Sempre seguita curiosamente da due vecchi intellettuali, detti i Dioscuri, un po’ guardoni e un po’ parassiti, Alberto Moravia (che come un qualunque garzone del fioraio ci prova pesantemente mettendole la mano sulla patta: rifiutato) e Goffredo Parise, il pauperista-chic che al maître dal sopracciglio inarcato che serve aragoste chiede un brodo con pane secco. E come si precipitarono i due Dioscuri opportunisti a fare le ben pagate presentazioni al suo servizio fotografico su Playmen, che altrimenti, senza il supporto "intellettuale" - temeva Marina - avrebbe fatto morire di crepacuore la madre! «Ma questi due non hanno altro da fare?», sbottò Eugenio Scalfari. Erano gli anni della "scapestrataggine" e degli eccessi. Agnelli, che evidentemente voleva provarci anche lui - continuano Marina e la Morvillo - la sorprende a letto con due uomini, lo scultore Eliseo Mattiacci e il pittore Gino De Dominicis, e si ritrae sdegnoso: «Siamo già troppi!».
      Silista di alta moda, fin dagli anni 80 appariva in tv come opinionista di rottura, sempre sopra le righe, mettendo in evidenza carattere esuberante, mobile, vitalissimo, imprevedibile, effervescente, e idee anticonformiste, perfino infantilmente bislacche. Poi la svolta ecologica, grazie anche all'influenza di Carlo, che è stato anche Commissario Europeo all'ambiente e dirigente dei Verdi, e il lancio di campagne di ogni tipo, soprattutto sulla difesa degli animali (contro la moda delle pellicce non esitò a farsi fotografare nuda, dichiarando che l’unica sua pelliccia non vergognosa sarebbe stato il suo vello pubico), la tutela della natura e del paesaggio; sempre continuando a dibattere e polemizzare di costume, politica, libertà della donna.

      Ma è stata molto di più: un piccolo Mito vivente dei giorni nostri, cresciuto e alimentato, anche criticato, dall'opinione pubblica giorno dopo giorno, avendo impersonato per oltre quarant’anni l'archetipo della donna liberata che con le sue imprevedibili infrazioni rompe vistosamente le piccole e grandi regole dell'ipocrisia sociale; eppure pretende ugualmente di avere successo, e, quello che è più straordinario, coltivando "alla faccia di tutti" forse l'unica vera, ludica, goliardica,"dolce vita"  realmente possibile: la sua.

      Non si saprà mai se sia stata più abile o più fortunata. Così, come solo pochi sanno fare, proprio lei, la futile, la leggera, l'animatrice dei salotti romani, la mondana, la mantenuta, la scalatrice sociale, è tuttavia riuscita paradossalmente là dove molti uomini grandi, venerati e famosi hanno fallito, cioè nel capolavoro di non farsi travolgere dagli eventi, ma di modulare a piacimento, niente di meno, la vita e la morte. E già, visto che al cancro che non le dava tregua non ha dato tregua, e l'ha beffato in extremis, quando ormai era terminale, con la sedazione profonda (in casa, altro che Svizzera): una dolce morte. Dopo una vita che le beghine avevano definito per lo meno poco dignitosa, in realtà magistralmente gestita, ecco che lei la conclude col suo ultimo colpo di teatro: una dignitosissima morte. E nei tempi giusti: per scomparire è riuscita a evitare appena il 6 gennaio, perché come befana non sarebbe stata credibile.

AGGIORNATO IL 9 GENNAIO 2018