22 giugno 2021

YULIN. Scandalizza la carne di cane, che piace ai Cinesi come ai nostri Antenati.

LA FESTA AL CANE. Col Solstizio ritornano a Yulin (Cina, e dove se no?) le bancarelle e le rosticcerie all'aperto dedicate ai cani, o meglio alla loro carne, di cui gli unici veri onnivori al Mondo, i Cinesi, sono particolarmente ghiotti. Gli Indiani a Yulin digiunerebbero e fuggirebbero scandalizzati. Meno industri dei Cinesi, ma certamente più compassionevoli e meno violenti verso gli animali (anche se agli Umani, anche femmine, e ad altri animali non “sacri” come la vacca e in alcuni templi la scimmia, qualche bastonata la danno volentieri) dicono in un famoso proverbio satirico che “I Cinesi mangiano qualsiasi cosa striscia, nuota, vola, corre, cammina”.

Ma dico io: con tutto quello che il loro larghissimo regime alimentare gli permette, dai pipistrelli ai serpenti, ai ratti sulla brace, si attaccano proprio agli utili e affezionati giovani cagnolini, per definizione "amici dell'uomo"? Temono per caso una carenza proteica? Gli attivisti occidentali e cinesi hanno fatto il diavolo a quattro, ma inutilmente. La sagra di Yulin, dopo un apparente ripensamento delle Autorità, incerte, vergognose, ambigue, continua. Dicono ora che si tratta di pochi tradizionalisti, e i gusti personali non si possono impedire (un Regime autoritario…), ma poi dicono che la sagra è diventata un evento di forte richiamo turistico. Oltretutto aggiungono violenza a violenza: per lo più i cagnolini sono rapiti ai legittimi proprietari da accalappiacani con lacci o reti, e anche bastonati, oltreché ristretti in strette gabbie.

Anche “noi” Occidentali avevamo questo vizio circa 2500 anni fa. ma vuoi mettere le differenze! Più onesti e legalitari, ovviamente, da giuristi nati e quindi rispettosi delle forme, i Romani allevavano, non in modo obliquo dando tutte le colpe a usi locali, ma ufficialmente, “cagne da latte” per bambini immaturi, adolescenti, vecchi deboli e convalescenti, e per alcune corporazioni di sacerdoti e fedeli tradizionalisti seguaci di antiche Divinità che in certi riti arcaici “dovevano” consumare “canulina caro”, cioè carne di cane. Riti che provenivano dalla Grecia. Tanto che nel mio “La Tavola degli Antichi” intitolai un capoverso “Socrate mangiava carne di cane”.

Argomento scottante sul web, questo, specie tra i tanti anonimi. Non amo la carne, tantomeno mangerei carne di cane, e già questa necessità di dover dire il mio regime alimentare per prevenire critiche di qualcuno che non mi conosce o non ha letto i miei libri di alimentazione, mi irrita.

Ma mi irrita anche la terribile ipocrisia degli Occidentali, intesi non come singoli attivisti vegetariani, ma come Nazioni, specialmente anglosassoni, che non battono ciglio per i troppi allevamenti di bovini, ovini e suini, tanto più diffusi, guarda caso, nei Paesi dove più si ama il cane e ci si scandalizza per il suo uso alimentare. D’accordo, derivano dai civili Romani, che tutto regolavano in modo trasparente e razionale, perfino vietando per motivi economici nelle Leggi delle XII Tavole di uccidere il bue, il vero trattore (e comunque ebbero sempre pochissimi allevamenti bovini). Ma l’incoerenza dello scandalizzarsi per la carne di cane in Cina? E gli intoccabili allevamenti stessi, in Occidente e ora ancor più inquinanti in Oriente per liquami, CO2 e metano, specialmente dei ruminanti che hanno fermentazioni più imponenti?

Razionalmente ho un bel dire, e chi lo può contestare, che si può, al limite si deve, amare qualsiasi animale, il che dà solo vantaggi alla serenità dell’uomo (purché non sia una scusa per continuare a far del male o odiare i propri simili). E dunque nessuna discriminazione etica-alimentare, nessun razzismo animale è ammissibile, anche peggiore di quello umano, perché gli animali “antipatici” sono uccisi prima possibile col plauso generale, mentre quelli “simpatici” sono protetti, o tenuti in casa, paradossalmente condannandoli al carcere o a una vita innaturale.

Ma la Ragione mi dice anche che l’uomo è un animale anche irrazionale, e che i pretesi “sentimenti” umani sono spesso unilaterali, semplice simpatia-antipatia, senza che l’animale o uomo oggetto di tali attenzioni faccia nulla per meritarsele. Insomma, sarò marziano, troppo saggio fin da piccolo, ma davvero non so tra Cinesi ed Euro-Americani, chi sono i più strani riguardo al mangiare le carni, e di chi….

AGGIORNATO IL 10 AGOSTO 2021

02 giugno 2021

IL SIMBOLO vero d’Italia, più antico della bandiera: la Stella di Venere.

Qual è il vero e più antico simbolo d’Italia, non solo dell’attuale Stato, con tanto di apposita legge, ma anche della molto più antica Nazione italiana, al di là d’ogni evoluzione storica e ordinamento costituzionale, tanto da essere presente sia per molti anni negli emblemi ufficiali del Regno d’Italia, sia – e con maggior evidenza – in quelli della  presente Repubblica?

La Bandiera, direte voi ingenuamente. No: troppo recente; e poi è solo il vessillo ufficiale, e ha anche subìto pesanti modifiche (un abusivo simbolo reale al centro, prima aggiunto, poi eliminato) che ne ha interrotto la continuità, cosa che non ricorda mai nessuno. Io parlavo d’un simbolo antichissimo, primigenio, preistorico, metapolitico.

Allora la Croce, come credevano i braccianti ignoranti nelle più sperdute campagne del Mezzogiorno dopo aver ascoltato la solita infuocata predica del parroco dopo i Patti Lateranensi (prima non avrebbe osato)?

No, il vero e più antico simbolo d’Italia, codificato, è nientedimeno un meraviglioso ma elementare simbolo pagano, antichissimo (ben più antico di una Bandiera tricolore, per quanto gloriosa, e comunque modificata varie volte), tramandato dai favolosi tempi arcaici, quelli che Esiodo e i cantori popolari di Miti e favole eroiche prima che fosse inventata la scrittura magnificavano davanti a rozzi pastori e contadini meravigliati come bambini (la nostalgia, il rimpianto d’un presunto Passato, sono sempre esistiti) come la favolosa "Età dell'oro". E' una stella bianca a cinque punte. E all'uomo preistorico l'ha suggerita la continua osservazione del cielo. 

Pochi lo sanno, tranne rari vecchi colti che hanno letto i giornali fino agli anni Ottanta, quando ancora quotidiani e settimanali erano ben fatti, essendo internet di là da venire; gente che ancora si ricorda dello “stellone” come scrivevano con fastidiosa ironia o retorica i cronisti d’allora, comunque degli Einstein rispetto a quelli di oggi. Fatto sta che questa stella è il nostro vero simbolo “patrio”.

Ma non è una stella qualsiasi, o la Stella Polare. E' la "stella di Hesperus", Espero, insomma il pianeta Venere. E ora che c'entra Venere? Gli Italiani  sono più belli degli altri popoli? Allora sarà per le vanterie sulla seduzione, l'amore carnale, la sessualità, che alle volte più che "amore" è lotta e guerra, non certo afflato universale e concordia (per questi bisognerebbe rivolgersi forse ad altri Dei), dato che siamo almeno dal Medioevo la Nazione più litigiosa al Mondo, dove gli odi più terribili si incrociano e bruciano ogni famiglia, ogni villaggio, ogni assemblea di Condominio o politica. L’unica Nazione al Mondo tra quelle più progredite e ricche di Storia (come p.es. Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Spagna), a essere tuttora divisa, un cittadino contro l’altro, nonostante i 160 anni dall’Unità politica, e per questo rimproverata addirittura dal proprio Inno Nazionale. L’unica senza amore di “Patria”, parola anzi ritenuta così oscena, perfino da certi finti “liberali”, in realtà solo liberisti che neanche hanno letto Leopardi e cianciano di globalismo anti-Nazione, da essere regalata come rozza, sottoculturale, nazionalista o fascista ai barbari tifosi del calcio.

Da dove viene questa stella di Venere? Da Espero. Espero non vuol dire “io spero”, in spagnolo, il che sarebbe comunque bene augurante, ma era il mitico signore della Terra d’Occidente, secondo la mentalità “greco-centrica” della cultura dei saggi dell'Ellade, cioè l’Italia, per questo chiamata Esperia.

Narra la mitologia che per vedere le stelle da vicino sia salito sulle spalle del fratello, il gigante Atlante, ma una tempesta lo abbia fatto scomparire, o sia stato da lui scacciato. Per ricordarlo fu dato il suo nome all'astro che compare per primo di sera annunciando il tempo del riposo degli uomini; oppure fu Venere stessa a rapirlo in cielo, invaghita, e a trasformarlo in astro.

Ecco il Vespero (dal lat. Hesperus), cioè il luminoso pianeta Venere. Che è però il medesimo astro visibile al mattino qualche ora prima dell'alba, perciò apportatore di luce: Lucifer per i Romani, Fosforos per i Greci. Venere, dunque, è curiosamente sia la Stella del mattino, sia la Stella della sera. L’Italia, secondo Macrobio (lib. I. cap. 2) fu detta in antico Esperia dall’astro Espero, proprio perché «sottoposta all'occaso di questa stella» (C. Ripa, Iconologia, 1603).

Venere si trova così a essere, fin dai tempi arcaici degli antichi miti della Grecia, associata al concetto di Occidente e, curiosamente, il più antico simbolo dell’Italia.

La Stella bianca a cinque punte che sinboleggia il pianeta Venere-Lucifero-Espero-Vespero ha accompagnato le allegorie dell’Italia per secoli, sia in letteratura, sia nella iconografia. Specialmente negli ultimi secoli, quando in mancanza di unità politica la sola lingua comune - il primo e poderoso fattore culturale dell’unità nazionale – serviva a pittori e illustratori un simbolo credibile perché antico, antichissimo, noto anche ai Romani e Greci antichi, facile da raffigurare. Dopo il fiorire nel Centro-Nord dei Comuni dotati di mura e torri difensive, e l’esplosione del Rinascimento, la Stella di Venere cominciò ad accompagnare la “Italia turrita”, ovvero con una austera testa femminile coronata da una bassa torre massiccia. Si sono viste monete, ma anche francobolli con l’Italia turrita.

Una grandiosa Stella che emette raggi vistosi è il simbolo dell’Italia alla fondazione dello Stato unitario italiano, il Regno d’Italia, e sovrasta il tradizionale stemma dei Re Savoia dal 1870 al 1890, come si vede nell’immagine pittorica a colori, e anche in una precedente moneta (p.es. i 5 centesimi di bronzo del 1861). La Resistenza al nazi-fascismo riprende quel simbolo perfino sul vessillo tricolore del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).

Naturale che pochi anni dopo, tra 1946 e 1948, ben due Concorsi nazionali aperti a tutti i cittadini (ca 500 concorrenti e 800 bozzetti) fossero indetti per scegliere un simbolo nazionale ufficiale che, stavolta, finalmente rappresentasse anche il nuovo Stato scaturito dalla nuova Costituzione. Tutta la grafica cambiò, ma la Stella d'Italia, ovviamente, restò. Infatti, nel "tema" del Concorso tra gli elementi da inserire, accanto a uno che rappresentasse il lavoro, c’era la Stella d’Italia. Il bozzetto vincitore fu quello del disegnatore Paolo Paschetto, un valdese che già era noto come disegnatore professionale di francobolli e carta-moneta.

La Stella d’Italia è al centro della composizione, molto evidente e ben rappresentata graficamente. E fa da difficile ma efficace raccordo tra un freddo elemento tecnologico (la ruota dentata di acciaio che simboleggia il lavoro, come da Costituzione) e un caldo elemento naturale (i due rami, uno di quercia, simbolo di dignità e forza, come ricorda anche il nome della specie “robur” – e tutti sanno quanta carenza ci sia oggi in Italia di queste due antiche virtù – e l’altro del pacifico olivo). Tre elementi grafici discordanti tra loro che non fecero piacere al largo pubblico il nuovo simbolo; ma che comunque vedono la Stella in posizione e ruolo grafico-semantico determinante. Se la ruota dentata, un po’ grossolana, incuriosisce e si prende tutta l’attenzione, se le due fronde ingentiliscono e rassicurano, è però la Stella il vero simbolo centrale e dominante del nuovo simbolo della Repubblica. Mancano i raggi, stavolta, impossibili in una sovrapposizione, ma la grandezza e la centralità sono una vera novità nella nostra storia degli emblemi nazionali e nei simboli della Patria. Non per caso, unici al Mondo i militari Italiani devono obbligatoriamente portare sui risvolti delle giacche o camicie della divisa le due famose “stellette”, addirittura diventate un improprio simbolo popolare delle Forze Armate, mentre invece sono il vero simbolo non solo dello Stato italiano, ma addirittura della Nazione italiana.

AGGIORNATO IL 3 GIUGNO 2021