18 dicembre 2009

NATALE. Come si sentono i tacchini e gli abeti. E la papaia del rag. Esposito?

Lo stupido non si spreca per una domenica qualunque (per quanto anche i sabati, a leggere le cronache, non sono avari di esempi...), ma aspetta Natale, Capodanno, Pasqua, Ferragosto, il giorno del proprio compleanno, per sbalordire parenti e amici, banali come lui, con qualche stranezza provinciale o qualcosa di eccezionale cattivo gusto. Dopo tanti giorni da pecora – deve essersi detto – un giorno da leone. Sì, ma di peluche.
      Lo stupidissimo, d’altra parte, è sempre attivissimo. Sparito l’idiot du village grazie alla fine della denutrizione e degli incroci tra parenti, lo scemo si è rifugiato nelle città di provincia, anche se è provato che si può nascondere meglio nelle metropoli.
      Attenti, perciò al Natale o al giorno del compleanno. E’ noto che l’uomo stolto emerge nelle ricorrenze, nei riti collettivi, nelle solennità. Quando il giogo delle convenzioni sociali si fa stretto, e il controllo parentale o amicale obbliga anche chi non lo volesse (ma tutti lo vogliono, vi assicuro) ai tipici comportamenti imitativi dell’uomo-massa.
      Certo, certo, "noi siamo liberi", per carità, "non siamo animali in gabbia". E, anzi, "come si permettono psicologi e sociologi di studiarci e analizzarci come se fossimo cavie?" "Ognuno di noi è diverso". Così, andiamo dicendo – l’impiegato di Barletta e la commessa di Trezzano sul Naviglio – che "ognuno la pensa a modo suo". Sarà. Ma poi quando, dove? Davanti allo specchio della stanza da bagno, nella sala d’aspetto o in treno.
      Invece, nella vita reale, di fronte agli eventi, alle situazioni, ai comportamenti altrui, insomma ai tanti problemi di ogni giorno, pensiamo, diciamo, facciamo tutti le stesse medesime cose, quasi sempre irrazionali, quasi sempre cretine.
      E questo i dittatori della pubblicità e della politica lo sanno benissimo. Si calcola che per ogni milione di stupidi inconsapevoli, regnino inconstrastati una decina di super-furbi consapevolissimi che manovrano il marketing, consumistico-politico. Le élites servono a questo, che diamine. Non vorrete mica che l’ottuso démos, il Popolo, abbia davvero la cratìa, il Potere. Non saprebbe che farsene. Anzi, no, lo userebbe male.
      I persuasori occulti (vi ricordate dell’americano Veblen? E poi dicono che il liberalismo, l’Occidente, il capitalismo, il mercato, non fanno nascere voci riformiste e critiche!) si basano proprio su questo diffusissimo genere di persone conformiste, banali, non originali, imitative, che affolla i caseggiati più insospettabili, riempie interi quartieri, anzi, che dico, è l’essenza stessa delle Democrazie. Sono i destinatari ideali di due generi in vendita: i beni inutili del mercato e le parole vuote della politica.
      Che poi sono la medesima cosa, perché - come ha lucidamente scritto Schumpeter - nel supermarket si vendono merci in cambio di soldi, come nel seggio si vendono promesse in cambio di voti. O viceversa, perché anche i beni materiali contengono promesse, così come anche i voti possono essere comprati con soldi..
      Natale, dunque, giorno della verità. Abbiamo finto tutto l’anno buonsenso e ragionevole parsimonia, addirittura anticonsumismo. Ma a Natale, no, non si può. A Natale ci riveliamo. A Natale si gioca pesante e si cala l’asso sul tavolo. A Natale si spende, si deve spendere. Anche i poveri in canna. A Natale, infatti, i commercianti realizzano anche un terzo o la metà dei ricavi dell’intero anno. Natale è davvero la festa del commercio, come diceva Mark Twain.
      Ed ecco tutta una serie di assurde insensatezze. Il nordico, scandinavo, tutt’al più tedesco albero di Natale (abete), per il mediorientale e israeliano Gesù che viveva – ammesso che sia esistito – in zone desertiche. Il tacchino americano (importato in Europa nel 1500 ca) mangiato in massa al posto, semmai, del capretto autoctono di Israele di quindici secoli prima. Già, immaginiamo come debbano sentirsi in questi giorni abeti e tacchini: morti per una pazzia semel in anno. E di abeti e tacchini tutti riderebbero a Pasqua, e si vergognerebbero a Ferragosto.
      E che dire degli abeti "ecologici", come i commercianti e i produttori chiamano quelli di plastica (ennesima truffa di Natale), ovviamente molto meno ecologici di quelli naturali, tanto è vero che a differenza dei secondi non sono rapidamente degradabili?
      E non parliamo delle stramberie locali. Per esempio le anguille di allevamento ingrassate (il "capitone") o in Francia il foie-gras, il fegato delle oche ingrassate fino a scoppiare. Sì, è fegato di oche malate. Anzi, lo stesso termine "fegato" deriva da ficatum (da ficus) perché i Romani ingrassavano le oche ingozzandole di fichi. Il che dimostra anche, en passant, come rapidamente gli zuccheri semplici, i dolci, si trasformano in grasso nel fegato, anche dell’uomo..
E vogliamo parlare del salmone affumicato, pieno di benzo(a)pirene cancerogeno, senza per questo essere dotato in quantità rilevanti dei famosi grassi "sani" omega-3, presenti per lo più nel fegato del salmone, che non si trova mai nelle confezioni regalo?
      E sorvoliamo sullo champagne francese (ah, se gli Etruschi non avessero insegnato ai Galli transalpini, con cui commerciavano, a fare il vino!) fatto con l’aggiunta di zucchero, come del resto parecchi vini francesi e tedeschi.
      Ecco, quindi, il rag. Esposito di Salerno o il geometra Colombo di Bergano, che mai e poi mai mangiano arance o mandarini, acquistare mangostano e papaia, sapodilla o kum-kuat, rambutan o lichi. Il che ha giustamente fatto arrabbiare i nostri agricoltori. La Coldiretti, in occasione della Conferenza dell'ONU sui cambiamenti climatici di Copenhagen, ha stilato una classifica di cibi esotici che "inquinano" il Natale, perché per produrli e soprattutto per trasportarli fino a noi richiedono grandi quantità di energia e contribuiscono all'emissione di gas a effetto serra. Ed è sempre colpa del Natale.
      Ciliegie e pesche dal Cile, mirtilli argentini, cocomero rosso dal Brasile, noci dalla California, more dal Messico, salmone dall'Alaska, asparagi dal Peru', melone dalle Guadalupe, melograni da Israele, fagiolini dal Cile.
      E' stato calcolato - sottolinea la Coldiretti - che un chilo di ciliegie dal Cile per giungere sulle tavole italiane deve percorrere quasi 12 mila chilometri con un consumo di 6,9 chili di petrolio e l'emissione di 21,6 chili di anidride carbonica, mentre un chilo di mirtilli dall'Argentina deve volare per piu' di 11 mila chilometri con un consumo di 6,4 kg di petrolio che liberano 20,1 chili di anidride carbonica e l'anguria brasiliana viaggia per oltre 9 mila km, brucia 5,3 chili di petrolio e libera 16,5 chili di anidride carbonica per ogni chilo di prodotto, attraverso il trasporto con mezzi aerei.
      La frutta fuori stagione (per noi) ha prezzi fino ad oltre dieci volte superiori a quelli di mele, pere, kiwi, uva, arance e clementine italiani, e oltretutto – precisa Coldiretti – si tratta spesso di prodotti poco saporiti, essendo stati raccolti ad un grado di maturazione incompleto per poter resistere a viaggi di migliaia di chilometri, percorsi su mezzi inquinanti che liberano nell'aria gas metano o anidride carboica aumentando l’effetto serra. Quando, aggiungiamo noi, non nascondono pesticidi in quantità, e magari anche di tipo vietato.
      Ma se proprio volete un tocco di novità, oppure da stupidi stupire gli ospiti nei banchetti natalizi o di fine anno – suggeriscono gli agricoltori – potete riscoprire le varietà nostrane poco diffuse o poco conosciute, dal fico d'India alla mela limoncella, alla pera madernassa. Ma ricordo che le varietà e stranezze nostrane sono centinaia, senza contare i frutti selvatici. A proposito, nella fitta macchia mediterranea dovrebbero maturare proprio in queste settimane i corbezzoli...

PS. Sul tema "Natale come guerra di potlach", si veda anche un mio pungente
articolo.

IMMAGINI: 1. Il tacchino, venuto dall'America nel 500, colpì l'immaginazione del grande naturalista e disegnatore Ulisse Aldrovandi. 2. L'antico e maestoso abete di Roncobello nel Bergamasco. 3. Assortimento di frutti esotici.
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JAZZ. Il sax tenore Sonny Rollins e il polistrumentista Don Cherry sono ripresi qui in un Where or When del lontano 1963.

AGGIORNATO IL 23 DICEMBRE 2022

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17 dicembre 2009

VIAN. Quello strano genio anarchico e playboy che sedusse Parigi e la Francia.

Immaginate un identikit messo insieme da un agente ubriaco della polizia scientifica con i più casuali pezzetti di carte d’identità di personaggi rompiballe nei più disparati campi, dai più ai meno "seri". Per esempio: Marco Pannella, Alain Delon, Red Nichols, Fred Buscaglione, Francois Villon, Renzo Arbore, Vittorio Sgarbi, Federico Zeri, Roberto D’Agostino, Porfirio Rubirosa, Oscar Wilde, Lucio Dalla, Woody Allen ecc. Ah dimenticavo, aggiungete il più occhialuto e lentigginoso jazz-fan adolescente che riuscite a trovare, uno di quelli che durante i concerti si mettono sotto il palco a dondolare la testa e a battere il piede, quasi sempre col ritmo sbagliato. Ecco, mettete nel frullatore e otterrete qualcosa di vagamente simile a Boris Vian. Di lui abbiamo parlato anni fa, sul Globo, un saggio che è riprodotto nel presente sito.

Dilettante di genio, genio dell’irrisione e dell’anticonformismo, grande provocatore, versatile come pochi, re incontrastato della Parigi notturna degli anni 50, amico di Sartre e Juliette Greco, caustico scrittore satirico e viveur nottambulo, autore di teatro e opinionista, ingegnere e cantante, seduttore di femmine e moralista, insieme anarchico e mondano, battagliero e pacifista, critico musicale e trombettista jazz di stile New Orleans ("trompinette" chiamava il suo strumento).

"Vagabondo elegiaco", truand élégiaque, ha detto di lui Lucien Malson, critico di Le Monde. E intendeva dire poco meno che "barbone-poeta", uno di quei personaggi magici e sbrindellati di Kerouac che a forza di fuggire finiscono agli occhi dei lettori per diventare eroi carismatici, maestri di vita". Così cominciavo nel 1983 sul quotidiano Il Globo il primo saggio-ritratto apparso in Italia su Boris Vian, genio tipicamente francese che mai avrebbe potuto imporsi in Italia, se non altro perché gli Italiani non lo avrebbero capito, tantomeno – permalosi e provinciali come sono – avrebbero gradito la sua ironia. Nell’Italia degli avvocaticchi, da Bari a Milano, Boris Vian sarebbe stato inseguito da mille querele civili e penali intentate da ometti e donnette di nessun valore.
E invece pochi personaggi come lui hanno in Francia un seguito che dura da decenni, fino a sconfinare nel Mito.
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Ma, anche se le casalinghe e i pensionati che vedono la tv non lo sapranno mai, per fortuna l’Italia si è riscattata a Pitigliano con una curiosa e rilassata festa-convegno dedicata a Vian. Semplice, dissacrante, senza fronzoli, tutt’al più con un pizzico geniale di improvvisazione goliardica, come sarebbe piaciuto a lui.

Ma diamo la parola al "vianiano" Marcello Baraghini, famoso creatore di Stampa Alternativa e leader fin dagli anni ‘70 della cultura alternativa in Italia, che ha coordinato l’organizzazione dell’insolita rassegna.

"Le dodici ore del sesto Festival resistente di Pitigliano, dedicato a Boris Vian, hanno reso quel tributo che io per primo auspicavo, superando di gran lunga le più ottimistiche previsioni, non solo per numero di partecipanti ma per dar corpo collettivo tra voci recitanti, musicali e no, alle voci interiori di tutti quelli che hanno partecipato. Non solo per ricordarlo, quel gran provocatore di Boris Vian, ma anche per cercare di ispirarsi a lui per una nuova resistenza culturale e sociale, oltre che artistica".

"Il Teatro Salvini, gentilmente accordato dall'amministrazione comunale, era gremito in ogni ordine, così come i due spazi Strade Bianche e Libreria del Ghetto dove la trama per il nuovo da intraprendere è stata sempre fitta. Potrei di già inventariarlo, e comincerò per riconvocare resistenti, appassionati, i complici insomma.

Addirittura tra qualche giorno - dice Baraghini - potrei cominciare a riconvocarci per il prossimo dicembre.
"Le jour de Vian" come ricorrenza fissa, in altre parole, dedicato ai disobbedienti, della cultura, non solo a quelli nonviolenti e antimilitaristi, "per rileggere quel capolavoro poetico, quell'inno alla resistenza e disobbedienza del diserteur".

Il Festival della Letteratura Resistente, dedicato quest’anno a Boris Vian, si è tenuto a Pitigliano lunedì 7 dicembre dal pomeriggio alla notte inoltrata. Gli eventi sono stati gratuiti e senza sponsor.
Il festival era nato cinque anni fa "per proporre un'oasi di resistenza, libertà e fantasia, mille chilometri lontana dai riflettori e dai lustrini dei grandi eventi affollati da nani e ballerine". E aveva esordito in modo eccentrico. La prima edizione aveva avuto come protagonisti – ha ricordato Baraghini nell’invito, con gusto della provocazione – "quattro scrittori analfabeti: una contadina, un carbonaio, un tombarolo e un cocciaio, che dopo essersi raccontati con la loro lingua hanno avuto le loro storie pubblicate in un libro, e così sono divenuti scrittori. Perché, si sa, "la vita si scrive" o, meglio ancora, "la vita è letteratura".

Nelle edizioni successive, fino a quella dello scorso anno "Matti chiari, amicizia lunga", si sono avvicendati, tra tanti, autori come Gary Snyder, John Zerzan, John Giorno, John Sinclair, per citare alcuni dei dissidenti che hanno fatto la storia del pensiero moderno, assieme a una moltitudine di amici e compagni.

Questo sesto festival è stato interamente dedicato a Boris Vian, per festeggiarlo a cinquant'anni dalla sua scomparsa. Per chi lo conosce e lo ama, un'occasione per riproporre l'attualità delle sue provocazioni culturali. Per chi lo conosce appena o per niente, un'occasione preziosa per cominciare a farlo.

Con Michele Vietri, traduttore e curatore dell'ultima opera di Boris Vian e animatore del quartetto che porta il nome dell'artista, abbiamo sintetizzato l'idea che ci ha spinti a promuovere questa sesta edizione, accompagnata da un programma aperto, naturalmente, a ogni contaminazione.
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Ecco il programma della giornata di Pitigliano:
ore 17 - Strade Bianche, via Zuccarelli 25 a Pitigliano: "Vian mon amour", con Gianfranco Salvatore, Michele Vietri, Angelo
Olivieri, Marcello Baraghini.
ore 21,30 - Teatro Salvini, Piazza del Comune (Pitigliano):
Quartetto Vian in concerto: "En avant la Zizique"
Dopo concerto - Libreria del Ghetto, via Zuccarelli 260:
"La nuit de Vian", tributi e testimonianze.

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JAZZ. Il grande chitarrista francese, lo zingaro Django Reinhardt, è considerato tuttora il più grande e originale jazzista europeo. Eccolo in una rara registrazione musicale (con immagine fissa) mentre esegue Fine and Dandy con la chitarra elettrica, in un linguaggio che dallo swing puro guarda ormai al be-bop, Segno ulteriore che tra i due stili e periodi ci fu un rapporto di evoluzione, non di contrapposizione.

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