30 gennaio 2006

LA LINGUA DEL BELLI. “Er parla’ romano e li gazzettieri der cacchio”.

LI PROFESSORI CHE DE ROMANESCO SANNO SOLO ER CARCIOFOLO…

Lettera pubblicata dal Corriere della Sera (Cronaca di Roma), il fatidico 11 settembre 2001*
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Disce: gòdite Roma quann’è vòta. Pe’ riparo a la callaccia ho vorzuto resta’ ar fresco de li vicoli d’Arco der Monte tutta l’istate, a vive la città mia co’ l’aria pulita com’a li tempi der nonno de mi’ nonno.

Macché: ‘gnisempre e dove forastieri. Tutti co’ l’occhi in arto o a compita’ l’abbeccé cor libbro nelle mano.

Disce: ma armeno ritrovi l’amichi tua. Seh, te li raccomanno li romani de mó. Qui nun parla più romano manc’er giudio, ch’è romano da mille e millant’anni, grazzie a Dio.

Tutt’a ‘n botto se so’ svejjati li gazzettieri co l’ere moscia che parleno fiorentino e dicheno "romanesco" prima ar carciofolo (ché loro ar magna’ bbono ci abbadano…), poi ar parla’ de’ noantri: "Perdinci, ohibò, la lingua der Belli è ar de-profunnis"...

Mó senti sì che piagnisteo farzo e busciardo. Ma ndo’ staveno ‘sti sori dottori der cacchio quanno ne li caffè e su le gazzette sortiveno "struscio", "sfizio", "pizzo", "uicchènde", e Roma pareva Napoli, le bborgate la Sicija, e li Du’ Pini l’Inghirtera? Ché, nun lo sanno che puro sor’Aghita, vecchia bacucca ch’esce da Portico ‘gni morta de Papa, quann’è ar dunque per fasse capi’ parla ciovile?

E vorrei vede’: co tutti ‘sti buzzurri che vegnono a Roma da cent’anni (ché qui se vede che c’è trippa pe’ gatti) e le mijara d’osti viegnuti su da Isernia e Benevento, sai che qui-pro-quo, che scenufreggi de famo-a-capisse "cumpà".

Com’a jeri. Quartiere nòvo, sbajo osteria e: "Oste, ‘na fojetta!", e quello me serve "mpressa-mpressa" ‘n fritto misto de verdure connite co’ l’erbetta. E si fai p’ariocà, quella facciaccia chèta: "Né, signurì, sète a dieta?"
NICO VALERIO
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* Vari giornalisti ("li gazzettieri") e intellettuali ("li dottori") romani, come Debenedetti, Sanfilippo e altri, avevano più volte sollevato con parole alate il tema della sopravvivenza o delle mutazioni della gloriosa lingua romanesca. Ma in modo irritante per un ideale popolano romano belliano, cioè dall’alto e troppo tardi, come appunto denuncia la lettera d'un virtuale Romano de Roma.
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** Questa lettera, dell'11 settembre 2001, oltretutto ha una storia. E’ la prima in lingua romanesca mai pubblicata dal Corriere della sera (Cronaca di Roma), e mi piace considerarla un evento straordinario, unico, anzi dirompente. Come a dire: prima che un giornale (serio come il Corriere) arrivi a pubblicare una lettera scritta tutta in romanesco, dovrebbe - chessò - morire il Papa, eruttare fuoco il Vesuvio o, a scelta, dovrebbero crollare le Torri gemelle di New York. Ecco, appunto. Il Caso, infatti, scelse l'ultima (perché non la prima, dannazione?). La mattina stessa, verso le 9, mentre io e i lettori romani del Corriere leggevamo la mia strana lettera in romanesco, crollavano per l’attentato di terroristi islamici le Twin Towers di New York. Poi dice che uno non se l'è cercata. Del resto "il batter d'ali di una farfalla in Brasile può provocare un uragano in Texas" (Lorenz), nelle opinabili “teorie del caso”. Altro che "teoria del complotto" ebraico, come vaneggiano gli stupidi antisionisti e antiamericani su internet (l'ultima spiaggia dei frustrati ): è tutta colpa mia, anzi, no, di Giuseppe Gioachino, l'uomo dalla doppia vita, papalino e benpensante di giorno, irriverente anticlericale e popolaresco di notte. Potremmo anche inventarci la "maledizione del Belli". Come aggancio vi sembra debole, tirato per i capelli? E perché, la "teoria del complotto" sionista non è ancora più assurda?

“IL MONDO DEL BELLI”. Segnalo qui il nostro sito specializzato sui sonetti di G.G.Belli, la sua lingua e il suo mondo, documentato, con testi e immagini di qualità. Pubblica articoli monografici che attualizzano, espongono e spiegano in modo critico vari sonetti, tutti riportati in versione originale, anche 2-3 per volta, se sono di argomento simile. http://mondodelbelli.blogspot.it/

AGGIORNATO IL 23 DICEMBRE 2014

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VÀ DOVE TI PORTA IL COLON. Storia medica ed erotica del clistere.

Saggio storico
STORIA MINIMA DELL’UMANITÀ 
VISTA DAL CLISTERE
Re paranoici, principesse bizzose, preti avidi, attrici incostanti, monache lussuriose, amanti maniacali, medici ignoranti, tronfi speziali, camerieri troppo servizievoli. Tutti visti attraverso un singolare punto d’osservazione: la cannula d’una siringa anale...
di NICO VALERIO
da Nico Valerio,“NOTE DI STORIA, ANEDDOTI, COSTUME E CURIOSITA' SUL CLISTERE" (in Mazzuca L. Idrocolonterapia, Roma 2000.
Siringhe per clistere (stampa del XVIII sec)
Nella sua curiosa Historique de la purgation (Parigi 1909) l'erudito francese Berthe, convinto che sapientia non olet, cioè che la scienza come il denaro non ha odore, osserva il divenire umano sotto il singolare angolo visuale del suo apparato escretorio. Nel libro si legge tra l’altro che medicine lassative ed evacuanti erano di frequente prescritte dai medici dell’antichità, come Crisippo (333 avanti Cristo) ed Eristate (280 a.C.); mentre Prassagora da parte sua curava le occlusioni intestinali per mezzo di non meglio precisati "clisteri gassosi" di cui purtroppo si è perso il know-how.
      Un grossa siringa ritrovata durante gli scavi archeologici a Ercolano, sulla cui vera destinazione d'uso però gli esperti non si sono pronunciati, potrebbe essere l'unico reperto strumentale di clisteri antichi giunto fino a noi, come riportano nelle Joyeux propos d'Esculape i medici francesi Cabanes e Witkowski. Certo è che il celebre protomedico romano Celso non solo conosceva ma prescriveva e praticava egli stesso il lavaggio idrico dell'intestino, come del resto molti terapeuti dell'antichità. Uno di questi, Rufos di Efeso, ha scritto addirittura un opuscolo sui vari tipi di clisteri e nel suo Trattato sulle malattie dei reni prescrive in caso di nefrite un lavativo caldo in piccola quantità per evitare la dannosa pressione di un intestino troppo pieno sui reni malati. Quell'originale dell'imperatore Nerone, poi, si faceva praticare periodicamente dei clisteri, nientemeno, per conservare una "voce forte e squillante", come riferisce Svetonio nelle Vite dei dodici Cesari.
Farmacista antico col clistere (piccola)      Per i medici greci era enema (da "versare dentro") o anche clyster (lavativo). L'Antologia Palatina (II,18) usa il verbo klyzein, da cui il nostro enteroclisma, nel senso di "lavare dentro" per mezzo di un clistere. Per i Romani, che hanno medici greci, il clister è una tecnica di igiene corrente per curare le stipsi e purificare l'intestino. Nel "Calepino", un manuale stampato a Padova nel 1752 e scritto ancora nel latino decadente dei medici, il clysterium ha il doppio significato che conserva ancor oggi: è il medicamentum liquidum quod intestino injicitur ad abluendum alvum, ma è anche l' instrumentum, cioè l'arnese metallico a forma di grande siringa a stantuffo, che serve ad introdurre a pressione la pozione medicamentosa a base di acqua tiepida ed erbe nell'ultimo tratto dell'intestino, per via rettale.
      “Clyster: si tratta, com’è noto, d’una formula di medicamento fluido d’uso esterno che a vario scopo è iniettato tramite cannula o siringa nell’intestino retto. L’invenzione di tale medicamento va attribuita alla cicogna nera chiamata ibis…” Così iniziava il lemma intitolato "Clyster"nel sesto volume della gigantesca enciclopedia Zedier Universal Lexicon che apparve nel 1733 a Lalle e Lipsia, in Germania. L’intero articolo occupava ben 13 colonne di piombo. Dopo le improbabili "notizie storiche" l’autore passa ad illustrare l’uso contemporaneo del clistere in Germania. In teoria di competenza dei chirurghi, in quanto intervento "strumentale", era in realtà - lamenta il compilatore - appannaggio di speziali o "apotecari".

Siringa per clistere ottone antica      Tra i Romani, il medico Celso ha una vera passione per il clistere. Nella sua opera I purgativi si legge che "è molto conveniente un uso moderato, di modo che né troppo spesso debba sperimentarsi il clistere, né lo si eviti per una o due volte se la testa è pesante, se gli occhi si abbagliano, se è malato l’intestino grosso che i Greci chiamano colon, se si hanno dolori in fondo al ventre o all’anca, se nello stomaco si radunano materie biliose o vi si raccoglie della pituita o qualche umore acquoso, se la respirazione è faticosa, se il ventre non si svuota da sé, e ancor più se la feccia è discesa e rimane dentro, oppure se l’ammalato non andando di corpo sente nel proprio alito un odore di feci, o se queste sono corrotte, o se lo stare a dieta non ha eliminato la febbre, o se lo stato delle forze non permette il salasso di sangue, o se la persona ha bevuto molto prima di ammalarsi, o infine se dopo essere andato abbondantemente di corpo tutt’a un tratto gli si chiude…"
Clistere nel pensionato femminile (aquerello di Helga Bode)      Ma, dai e ridai, ogni tanto accadeva anche qualche incidente o addirittura una azione criminale, tramite il clistere, e così se ne dovettero occupare i giuristi: "Si quis per vim vel suasum, medicamentum alicui infundit, vel ora, vel clystere, vel si eum unxit malo veneno, lege Aquilia eum teneri, quemadmodum obstetrix supponens tenetur". Cioè: "Se taluno a forza o con la persuasione propina ad altri una medicina o per bocca o con clistere, o se gli spalma un unguento velenoso, egli sarà tenuto in base alla legge Aquilia, allo stesso modo di come è tenuto l’ostetrico che la somministra (Ulpiano D.9,2,9, frammento del libro XVIII dei suoi commentari Ad Edictum).
      Da un paese all’altro sia l’operatore che lo strumentario del clistere differivano molto. Mentre in Francia e in Olanda si usò a lungo una resistente e rigida siringa di zinco, i tedeschi preferivano tradizionalmente una morbida vescica di vitello o maiale, con un foro all'estremità munito di una cannula.
Siringa antica per clistere con becco ricurvo Sono stati davvero gli animali a inventare la idro-colon-terapia? I medici del passato, ancora fino all'Ottocento, ne erano convinti. In particolare il grande uccello sacro dell'Egitto, il misterioso ibis, veniva spesso raffigurato nell'atto di "purgarsi", come si usava dire, cioè di penetrare con il becco – grazie al lungo collo – il proprio orifizio anale per immettervi acqua salata ritenuta purgativa. Ed anche la cicogna, secondo i fantasiosi naturalisti del Medio Evo e del Seicento, era stata "vista" più volte ricorrere all'auto-clistere purificatore. Naturalmente si tratta di leggende.
      Hanno prestato fede alla leggenda dell’ibis "inventore" del clistere non solo il grammatico Papias nel suo Elementarium doctrinae rudimentus del 1482, ma anche il celebre Ambroise Paré, chirurgo di ben quattro sovrani di Francia nel secolo XVI. Fu lo scienziato francese Chabas nell'opera La Médecine des anciens Egyptiens (1862-1864) a svelare la verità che si celava dietro questa leggenda. L’equivoco era stato favorito dalla stessa scrittura egizia. Non l'uccello ibis ma il faraone Thot, il cui nome si scriveva proprio con il geroglifico dell'ibis, era stato il mitico "inventore", secondo gli Egiziani, del lavaggio igienico dell'intestino per mezzo dell'acqua.
peretta anale disegno picc      L'egittologo G.M. Ebers scopre nella Valle del Nilo un papiro della XVIII Dinastia (faraone Amenophis I) che riporta accanto ad altre prescrizioni di igiene e medicina per gli studenti anche l'uso del clistere: siamo nel 1870, e il documento ritrovato è del 1500 avanti Cristo circa. Dieci secoli dopo il "papiro di Ebers" lo storico greco Erodoto nelle sue Storie degli Egiziani conferma la sana abitudine che il popolo delle Piramidi ancora aveva di purgarsi ogni mese per tre giorni di seguito e di praticare clisteri per svuotare l'intestino di scorie e veleni, nella convinzione che tutte le malattie dell'uomo derivassero dalla cattiva assimilazione dei cibi.
      Così importante era per gli Egiziani antichi questo aspetto della salute che avevano un medico specializzato, di alto rango, detto "il custode dell’ano", addetto ai rimedi per via rettale. come enteroclismi e lavaggi intestinali. Numerosi storici hanno riferito di questa curiosa istituzione, unica al mondo. Tra questi può essere citato lo scrittore Diodoro Siculo che ne scrisse nella sua Biblioteca storica (I secolo avanti Cristo).
      Ippocrate di Kos, il grande medico ritenuto l'inventore della medicina empirica o scientifica, ovvero basata sull'osservazione e sugli esperimenti, anzichè sulla magia e la religione, nei suoi insegnamenti consiglia lavativi o clisteri a base di decotti di foglie di cavolo resi emollienti grazie all'aggiunta di miele e olio d'oliva (460 avanti Cristo).
      Una curiosa cannula collegata ad un otre di pelle riempito d'aria o ad un mantice azionato da un inserviente era la soluzione scelta da numerose donne di Roma per praticarsi un "clistere d'aria" che oggi sembrerebbe illogico, ma che secondo le credenze parascientifiche degli Antichi doveva servire a ridurre l'imbarazzante sintomo del meteorismo intestinale di cui soffrivano – come noi moderni – donne e uomini delle classi elevate, abituati al sedentarismo e ai lauti pasti. Questa cannula è descritta nel Canone della medicina del medico e filosofo Avicenna (980-1037) con lunghe frasi su cui si diffonde lo storico A. Philippe nella sua Histoire des apothicaires (Parigi 1853).
      Lontano dal mondo greco-romano il trattamento idrico del colon ha avuto, invece, fortune alterne e contrastanti. Perfino tra i mussulmani le opinioni su clisteri, cannule e pompette anali divergono fortemente, in alcuni casi per imprevedibili motivi "morali". Lo stesso Maometto – a dar retta ad alcuni suoi discepoli – consigliava il clistere a chi era affetto da coliche e dispepsie dolorose, ma il severo e colto iman Al Ahmed aveva ribrezzo per questa pratica nella convinzione che fosse considerata peccaminosa dal Profeta Allah a causa della pericolosa analogia con le abitudini dei sodomiti, numerosi nell'Oriente arabo (Cabanes e Witkowski). La medesima contrarietà registra tra i medici maomettani lo scrittore medico Bertherand nella Médécine des arabes.
      Le donne africane non ancora toccate dalla malizia mussulmana sono, al contrario, molto esperte dell'arte del clistere, di cui offrono delle interpretazioni a dir poco geniali. Nella regione di Oragui, nel Congo, le donne dei Bondios - riferiva il medico coloniale dottor Huot nel 1904 - soffiano con forza nel retto del bambino con una apposita canna di bambù l'acqua calda raccolta nella bocca. L'agevole ed abbondante evacuazione essendo sinonimo di benessere e felicità, anche gli ospiti in Africa sono o erano invitati a praticarsi un clistere. Meglio, sembra, se prima dei pasti. Accanto alla scodella di miglio o di cassava, tra gli Omaguas, i commensali trovano un gradito regalo che è anche un cortese ma fermo memento: un grazioso clistere di canna di cui tutti, uomini e donne, sono invitati a servirsi immediatamente, come riporta Philippe.
      Un piccante clistere di acqua con peperoncini è lo strano rimedio tradizionale degli abitanti dei villaggi dell'interno della Costa d'Avorio. Ogni giorno diluiscono in acqua la poltiglia ricavata pestando i peperoni nel mortaio di pietra, la versano in una zucca secca dal collo molto lungo e la immettono nell'intestino attraverso l'ano. Molti indigeni riescono, dopo aver assunto una acrobatica posizione ad arco, ad infilarsi da soli il beccuccio della zucca-clistere. Quando l'irritante enteroclisma è terminato il paziente si rialza e subito avverte lo stimolo imperioso dell'evacuazione.
      Nel Nord America – riporta Philippe – fino all'Ottocento nelle zone rurali il clistere veniva somministrato mediante un recipiente di gomma di caucciù a forma di bottiglione e la quantità di liquido veniva regolata con una valvola d'avorio, mentre nei villaggi del Brasile si utilizzava al medesimo scopo il lungo intestino di un bue sorretto da un bastone.

      E nei Paesi cattolici più tradizionalisti? "Strumento vergognoso" e "apparecchio del demonio" era considerato il clistere dalle timorate donne spagnole, ripetutamente messe in guardia dai parroci. I medici e gli speziali avevano il loro daffare a prescrivere irrigazioni intestinali alle matrone e ragazze spagnole affette da stipsi o da colite, offrendo tutte le garanzie della loro deontologia professionale, ma invano. La tipica onorata donna di Spagna, come anche quella del Portogallo, mai avrebbero consentito ad altri che non al marito una simile intrusione nelle sue "parti vergognose". Ed anzi, aizzate dai confessori, non poche di loro rifiutavano allo stesso marito o all’amante quella via sessuale che secondo i preti - che confondevano, chissà perché, tra le due aperture - era un uso animale ("more pecudum", cioè all’uso delle pecore, nel linguaggio curiale). 
      Anche in tempi più recenti, addirittura fino ai primi del Novecento, cronisti medici riferiscono che l’introduzione anale della cannula di bambù, d’avorio o d’argento (poi di ebanite) agli occhi delle riluttanti e maliziose donne spagnole appariva, proprio come ancor oggi alle donne mussulmane, un vero e proprio atto sessuale contro natura, uno stupro, quando non addirittura una sorta di nuovo eccitante diversivo sessuale che ricordava il "godemiché", come in Francia (dal volume del francese Cuisin, Les bains de Paris, inizi dell'800, e da altri testi).
      Gli italiani sono in prima posizione nella gara per attribuirsi l'onore dell'invenzione del clistere. Anche se esiste chi, come lo storico della farmacia E. Nicaise (Revue scientifique, 1892), attribuisce la paternità della cannula al solito medico arabo Albucasis, autore del trattato di chirurgia At-tasrif (X-XI secolo), non solo l'informatissimo Philippe ma soprattutto Alberico Benedicenti, storico della medicina, più attendibile anche perché scrive in tempi relativamente recenti (Malati, medici e farmacisti, ed. Hoepli, Milano 1924), danno per certa e ben documentata la riscoperta o, se vogliamo, l'invenzione del moderno clistere da parte del vercellese Marco Gatenaria, professore all'Università di Pavia tra la fine del Medio Evo e gli inizi del Rinascimento. In un secolo in cui altri grandi Italiani lasciano un'indelebile impronta di sè con marmi, tele, affreschi, palazzi, cupole o libri, il Benedicenti tenta la scalata alla gloria con uno stantuffo anale, e perfeziona dopo una vita di esperimenti la siringa della sua vita, che è ormai un vero e proprio apparecchio idrosanitario igienico e razionale. Alla sua scomparsa, il 14 febbraio 1496, il misconosciuto professore di Vercelli lascia oltre a innumerevoli clisteri di stagno anche un libro di medicina in latino in cui descrive in tutti i particolari costruttivi e funzionali la sua invenzione (De cursi aegritudinum, ediz. postuma, Lyon 1532).
      Ma com’era il clistere antico? Non era altro che una vescica di maiale o di altro animale, conciata e preparata, la cui apertura naturale era saldamente fissata con nervo di bue ad una esile canna, in genere un leggero e cavo ramo di sambuco tagliato ad arte. Per farlo funzionare nell'enteroclisma bastava chiudere la cannula, riempire la vescica del liquido adatto, introdurre la cannula nel retto del paziente e premere fortemente sulla vescica per permettere l'uscita forzata del liquido. Il suo inconveniente era che il malato doveva ricorrere quasi sempre ad una seconda persona per il funzionamento del rudimentale strumento. E neanche la più evoluta siringa metallica del Gatenaria rendeva liberi da questa imbarazzante schiavitù che induceva molte donne pudiche a rinunciare al clistere.
      I tempi erano maturi, insomma, perché un inventore creasse un clistere di nuova concezione. Il medico olandese Regnier DeGraaf può essere definito, appunto, il "Leonardo del clistere". Nato a Schoonhaven nel 1641, era considerato"un uomo di genio" e uno "spirito innovatore" dal chirurgo italiano dottor Cusco, il curatore della traduzione e del commento del trattato De Clysteribus che il DeGraaf pubblica a Leida nel 1668. Il libro s’impone in breve come l'opera fondamentale in materia. Grazie ad un nuovo "clistere di sicurezza" l'enteroclisma si può praticare d'ora in poi senza che si verifichino quegli incidenti che lo avevano accompagnato nel corso dei secoli, come lesioni o irritazione anali, rottura del serbatoio o della cannula ecc. E c'è un altro vantaggio ancora: d'ora in poi, in caso d’urgenza o di eccesso di pudore, uomini e donne potranno praticarsi il lavaggio intestinale da sé stessi.
Siringa di ottone per clistere (antica)      Un volta superato il severo esame per entrare nella corporazione, gli speziali erano obbligati a prestare giuramento davanti al Procuratore generale, promettendo tra l’altro di "non toccare in alcun modo le parti vergognose e proibite della donna, se non in caso di grave necessità, vale a dire quando si dia il caso di applicare qualche clistere.
      Gli speziali o apotecari (oggi noi diremmo erboristi) a cui dopo una lunga pratica di almeno quattro anni e un severo e lungo esame pubblico la legge affidava la somministrazione dei clisteri oltre che la vendita di erbe e spezie e in certi casi anche le ricette erboristiche, in realtà disdegnavano di occuparsi di clisteri: ritenevano tale attività poco dignitosa e non confacente alla loro alta specializzazione. Perciò, dopo aver preparato o fatto preparare dai garzoni di bottega il miscuglio di erbe da infondere nell’acqua calda, inviavano a somministrare il lavativo a casa del malato un giovane praticante speziale.
      Una prova delle arie che si davano i maestri speziali anziani si ha nella commedia Le légataire universel (1708) del francese Régnard, in cui lo speziale dopo aver vinto un processo intentatogli dai medici della facoltà di Medicina dell’Università di Parigi per non aver egli dato personalmente il clistere, si fa beffe di quei medici “parrucconi a tal punto conservatori e fuori del mondo da pretendere una cosa così assurda e non sapere che nessun maestro speziale farebbe mai un clistere personalmente”. Sarebbe umiliante, "come mettersi a sessant’anni a studiare l’abbeccedario", spiega il protagonista della commedia di Régnard. Perciò, gli operatori del clistere di cui si parla nel presente libro, anche quando sono definiti "apotecari", vanno intesi sempre come "garzoni di apotecari" o meglio "giovani apprendisti speziali".
Siringa per clistere antica      "Il clistere deve essere somministrato in quantità variabile secondo l’età del paziente. Per il bambino la quantità è di 3 once, per l’adulto di 12 once e anche più. Per le donne incinte la quantità del lavativo deve diminuire man mano che il feto cresce". "Il liquido del clistere deve essere moderatamente tiepido". "un clistere può essere preso a qualunque ora del giorno ed essere dal paziente trattenuto negli intestini per più di mezz’ora" (DeGraaf).
      Il medico greco Galeno, nato a Pergamo nel II secolo d.C. ma vissuto a Roma, nel suo Metodo della medicina aveva già consigliato il clistere ma prescrivendone un uso moderato e prudente, come riferisce il Benedicenti, affinché la natura dell’intestino non abbia a risentirne o, come riportava il testo latino, ne natura his irritata spontaneae excretionis obliviscatur.
      Che fare in caso di qualsiasi malattia e perfino come prevenzione generale? Semplice: salasso, purga e clistere. Così usavano certi medici del tempo di Molière. Che, giustamente mette alla berlina in una famosissima commedia tanta scempiaggine. "Clysterium donare, postea seignare, ensuita purgare. Reseignare, repurgare et reclysterare..." ecco il motto diventato famoso, in latino maccheronico francesizzante, del Malade imaginaire, scritto appena cinque anni dopo – è una coincidenza? – l'uscita del libro rivoluzionario dell’olandese DeGraaf sul clistere "di sicurezza". Famosa la scena esilarante in cui Argante, il "malato immaginario" pieno di fobie, sta per esser fatto nientemeno che dottore in medicina. Basta che ripeta quella trita formuletta in un latino improbabile per aver ragione di ogni domanda dei professoroni tronfi e ignoranti che gli sono davanti: purga e clistere servono a tutto, dalla idropisia alla febbre doppia, dai dolori all’asma. E’ evidente l’intento satirico di Molière contro i medici del suo tempo.
      Nell’Italia del Seicento spesso l’apotecario è sostituito dal barbiere nel delicato compito di operatore del clistere. Dalle Alpi alla Sicilia il clistere o lavativo sono denominati con un eufemismo un po’ ipocrita "serviziale". In un poemetto buffo del Tassoni (1565-1635) quel fifone del Conte di Culagna che se la fa sotto prima del duello contro Titta trova la scusa di un clistere somministratogli dal barbiere per assentarsi all’ultimo momento dalla singolar tenzone. Un "servizial di malva", sicuramente emolliente, appare tra i versi del poemetto La Cortona convertita di padre Francesco Monetti, vissuto in pieno Seicento. "Mille impiastros et mille lavandas" spiccano tra i versi dei Capricci maccheronici del verseggiatore Cesare Orsini.
      Dolori mestruali? Il clistere può far bene. Lo sosteneva il celebre medico e poeta toscano Francesco Redi, noto in letteratura per il suo Bacco in Toscana, convinto sostenitore dei clisteri (che, però, chiama talvolta "cristieri", "cristeri" o "serviziali").
nei suoi consigli scritti ad una gran dama, a cui "i mestrui venivano pochi e scoloriti": "Stimo necessarissimo che l’Illustrissima Sig. Marchesa si faccia una sera sì ed una sera no avanti cena un piccolo serviziale: prendi brodo di carne, once 20, zucchero bianco once 3, mescola per serviziale…" (dai Consulti medici, 1726).
Che tempi. Al giorno d’oggi anche le donne osano avventurarsi tra pozioni di lavativi e praticare clisteri, lamenta l’autore della Déclaration des abus et tromperies que font les apothicaires (Tours, 1573). Non parliamo poi dei barbieri o degli apotecari a cui la gente sempre più si rivolge invece che al medico. "Ho conosciuto un barbiere che in otto giorni ha somministrato almeno cento lavativi a un povero ammalato, quando ne sarebbero bastati non più di uno o due per sedare subito il dolore. Ma poi – è vero che esiste una giustizia a questo mondo – il barbiere furbo si ammalò per il rimorso di aver fatto pagare al paziente ben 7 soldi e 50 per ogni clistere. E gli altri sono peggio. Molti dei nostri apotecari di Anjou e Pyctou spillano ben 10 soldi ai poveri malati per un clistere di sola acqua bollita con un pizzico di sale, un goccio di miele e di olio di noci. Quando poi l’apotecario vuole gustare gratis del cappone – continua la perfida denuncia – dà ad intendere ai parenti del malato che ha bisogno di un cappone per il brodo. In realtà il cappone se lo magia lui, mentre nel clistere mette decotto di malva, cavolo e bietole.
Al contrario dei suoi colleghi, il grande medico olandese noto come "il padre del clistere", è contrario ai purgativi e preferisce il semplice lavaggio dell’intestino. Per via rettale l'acqua calda e le sostanze aromatiche arrivano spesso dove le purghe non possono arrivare, come sosteneva anche il medico romano Galeno. "Meglio parecchi clisteri uno dopo l'altro che una sola purga, per quanto leggera", ecco in sintesi il pensiero di DeGraaf.
Invade, eccome, l’intestino, eppure oggi il lavaggio intestinale viene considerato un rimedio per lo più "non invasivo" e innocuo, al confronto con i potenti farmaci chimici sempre più in uso, i cui effetti secondari preoccupano le autorità sanitarie di tutto il mondo. Primum, non nocere, ripetevano i vecchi medici della Scuola salernitana.
E già allora il teorico del clisma aveva capito tutto. "L'utilità del clistere è che esso mantiene il ventre libero senza d'altra parte causare alcun disturbo; non nuoce alla salute generale, non diminuisce le forze e non procura nessun dolore intestinale. Così, dopo averne fatto uno, non sono da temere le stitichezze che si manifestano dopo una purga. Si sa che più un purgante procura l'evacuazione, più il malato diverrà stitico nei giorni seguenti" (DeGraaf).
"Habemus clysterium solitarium" potevano cantare finalmente uomini e donne del XVII secolo, come nota scherzosamente Piero Lorenzoni nel libro La giuliva siringa (Milano 1969), testo da cui sono state tratte la maggior parte delle notizie storiche riportate nel presente volume. Con il Seicento, insomma, comincia la vera apoteosi del clistere, scriveva Saint-Hièble, che però si riferisce solo alla Francia. E clistere si chiamava sia quello con siringa a canna dritta, sia quello con siringa a forma di serpentina, che ricorda un po' il canneggio d'una tromba.
Quando si recano a casa del malato a cui debbono praticare il clistere gli apotecari vestono dignitosamente un abito leggero di lana nera con un piccolo grembiule bianco e un ampio cappello. Sono muniti di un vaso di stagno per riporvi il clistere e di un’enorme siringa chiusa nella sua custodia di cuoio, che portano appesa alla cintura come una sorta di faretra.
E gli inglesi non erano da meno. "Lo speziale mi ha raccomandato di stare a letto e di sudare molto...Dopo aver fatto un clistere mi sono alzato e ho mangiato un pollo..." (Samuel Pepys, scrittore inglese, nelle sue memorie scritte dal 1659 al 1669). Alcuni medici inglesi erano soliti introdurre il fumo del tabacco nell'intestino per mezzo di una lunga cannula flessibile a forma di serpentina. DeGraaf applica questa tecnica al tradizionale clistere a stantuffo, permettendo così - grazie alla posizione ravvicinata dello strumento - l'uso personale e discreto della idroterapia del colon. Una sorta di "fai da te" che ha sùbito successo in tutta Europa. A Leida l'artigiano Samuele De Musschenbroock, che ha bottega in piazza De Heere Steech accanto alla chiesa di S. Pietro (l'insegna é una "Lampada orientale"), fatica con i suoi lavoranti a tener dietro alle ordinazioni che gli piovono da ogni parte. Il modello di clistere che produce e vende con tanto successo è una fedele esecuzione delle minuziose istruzioni del medico inventore, come lo stesso DeGraaf scrive al collega scienziato Pemplius, professore di medicina all'Università di Lovanio.
"Tanto peggio, nutrice, tanto peggio! Questa gran salute è da temere e non sarà male farvi un amichevole salasso e somministrarvi qualche piccolo clistere dolcificante…" Sganarello a Jaqueline nella commedia Le médecin malgré lui (atto II) scritta da Molière nel 1666.
Gli apotecari erano gli specialisti del clistere. In teoria un po' erboristi, un po' infermieri e un po' medici (ma spesso erano solo garzoni apprendisti, come abbiamo detto), dovevano recarsi appositamente nell'abitazione del malato – reggia o casa borghese che fosse – con strumento, pozione e inservienti. Come meravigliarsi se poi chiedevano somme esorbitanti? Dai rendiconti degli apotecari del '400 risulta evidente che l'enteroclisma era la voce più redditizia del loro bilancio.
Servi o parenti dei malati spesso dovevano bussare alle porte dei conventi come dei postulanti per chiedere consiglio ai frati-medici, i quali essendo tenuti alla clausura, venivano soprannominati dal popolo "medici reclusi". Nelle cellette, però, potevano ricevere il pubblico. Lo storico Tacquet riferisce di aver visto alle pareti delle celle tre tipi di uncini con altrettante varietà di ricette: rimedi a base di estratti di rosa e cartamo, ricette per salassi e ricette per clisteri.
Il lavaggio intestinale salvò la vita del re di Francia Luigi XI e favorì una lucrosa carriera ecclesiastica. Nel 1480 il medico italiano Angelo Cato pratica al sovrano un provvidenziale clistere dopo un attacco apoplettico. Come ricompensa – scriveva la Union Medicale del 23 ottobre 1862 – si vide nominare dall'oggi al domani nientemeno che arcivescovo di Vienna con un vitalizio di 60 mila franchi. Da allora in poi il clistere diventa il rimedio favorito dell'intera Corte di Parigi, imposto perfino alle decine di cani del canile reale.

La Scuola di Salerno (IX-XIII secolo) aveva lodato e consigliato il periodico lavaggio intestinale in versetti che avevano fatto il giro d'Europa."Multoties prodest clysteria ponere quare: expedit in colica ventosa, faecesque trahendo, hepatis et cordis sedatur passio renum..." La taumaturgica siringa guariva, a quanto pare coliche e meteorismo, attenuava i dolori di cuore, dei reni e del fegato. Una ricetta efficace era, secondo i medici salernitani, far bollire insieme la malva, la altea e la mercuriale. Per un più rapido effetto sul tono dell'intestino bisognava aggiungere sale, crusca e qualche goccia di olio essenziale di violetta odorosa.
Di fronte ad un clistere tutti i sederi sono uguali? Niente affatto, anche per i sederi le differenze sociali e di censo valevano, eccome. A seconda del ceto e della ricchezza del cliente – riporta il Berthe – gli apprendisti apotecari applicavano alla loro siringa cannule di avorio (tipo lusso) o di legno di bosso (tipo economico).
Una siringa d'argento massiccio è il primo clistere prezioso di cui si ha notizia, come riferisce il Lorenzoni. Apparteneva a Philippe Babou de la Bourdaisière, tesoriere di Francia ed è stata trovata citata in un inventario raccolto nel 1536. Anche Bernard de Boulainville, nipote di Samuel Bernard, finanziere di Luigi XIV, non intraprendeva viaggio senza portarsi appresso un clistere d'argento, come ricorda nelle sue Memorie Dufort de Craverney.
Il famoso medico Guide de Chauliac non si separava mai dalla sua "borsa dei clisteri" a cui doveva "honneur, profit et grand nombre d'amis" (gloria, soldi e molti amici riconoscenti). Ma anche le siringhe di ottone, rame o stagno funzionavano benissimo pur costando molto meno. Nell'inventario d'un certo signor Drumenoit di Marsiglia è riportata anche una grossa siringa d'ottone. Siamo nel 1583.
Scarsa, nonostante alcuni grandi propagandisti isolati, è stata la diffusione popolare del clistere in Italia. E per i motivi più diversi. Dal Cinquecento in poi, i costumi spagnoli (cioè la vergogna delle donne), la pruderie ipocrita dei bassi ceti nobiliari, l’ottusità antiscientifica della Chiesa, il provincialismo che vedeva il clistere come una moda straniera, la stessa divisione politica e la mancanza di libertà, hanno relegato il democratico lavativo in un angolo appartato del costume e della letteratura minore, nota acutamente P. Lorenzoni nel suo brillante saggio La giuliva siringa, Milano 1969.
Uno strano caso di clistere "psicosomatico" è quello riferito da Montaigne nei suoi celebri Essais. Secondo il suo domestico svizzero, un mercante di Tolosa affetto dai calcoli e di salute malferma al solo veder riempire di caldo liquido medicinale una siringa, per una curiosa forma di suggestione provava gli effetti acuti e imperativi del clistere, senza in realtà prenderlo. Una volta, avendo la moglie protestato per la spesa "inutile" ed avendo convinto l'apotecario nella quotidiana "messa in scena" a riempire la siringa solo d’acqua tiepida, si accorse che l'ignaro marito, al contrario del solito, non provava alcun beneficio. Solo così si convinse una volta per tutte dell’efficacia del "metodo". Oggi lo chiamerebbero "effetto placebo".
Martin Lutero, anche lui, ebbe a che fare col clistere. Il padre della riforma protestante, che pure aveva avuto la conoscenza della "giustizia di Dio" mentre sedeva sul "cesso della torre del monastero di Wittenberg", com’egli stesso ricordava (N. O. Brown, Life against Death), mise sempre in relazione gli escrementi con il diavolo, proprio come era solita fare la Chiesa di Roma che egli aborriva. Ad ogni modo, il 18 febbraio 1546 alle 8 di sera si sentì molto male. Dopo mezzanotte – riporta Hartman Grisar in una biografia del 1933 – furono fatti venire due medici. Ma al loro arrivo il polso del Grande Riformatore non dava più segni di vita. Senza dar peso alla cosa i due luminari della medicina scrivono la ricetta per un clistere. L'apotecario, svegliato alle tre di notte, accorre con clistere e pozione, ed essendo uomo di buon senso dice ai medici: "E' morto. Che bisogno ha ormai di un clistere?" Ma i due sapientoni insistono: "Che importa, somministrateglielo lo stesso. Se per caso avesse ancora un soffio di vita si rianimerà..." Due medici che, anche allora, avevano più speranza che scienza.
E Shakespeare? "Bravissimo, baciamano perfetto, inchino impeccabile... Di nuovo le tre dita alle labbra? Oh, fossero tre cannule di clistere, alla faccia tua..." (Jago rivolto a Cassio, nell' Otello (1604 circa).
Il primato in fatto di clistere spetta senza dubbio al re di Francia Luigi XIII. Da piccolo non lo sopportava ed era costretto dalla madre, l'italiana Maria dei Medici, fervida sostenitrice di questa terapia, a prendere l'enteroclisma a colpi di frusta. Ma da adulto ne divenne un habitué e secondo la testimonianza del protomedico di corte dottor Héroard in un anno arrivò a prendere ben 212 lavativi. Così scriveva al cardinale Richelieu il medico personale del re Charles Bouvart dopo che il sovrano si era sentito male per una indigestione: "Ho provveduto all'evacuazione dell'intestino praticandogli due clisteri. Attendo il suo risveglio per cercare di tirar fuori con un terzo lavativo quanto gli è rimasto ancora dentro..." (Ephémerides médicales del 9 dicembre 1633).
Farsi un clistere, in tempi in cui non solo non esistevano fognature ma neanche gabinetti (a Madrid il tentativo di introdurli, nel 1769, e il divieto di gettare escrementi dalla finestra provocò una mezza rivoluzione…) doveva essere una operazione complicata, anzi una vera seccatura. Almeno così ci sembra oggi. Ma anche dove per legge ogni abitazione doveva avere una latrina (per esempio, a Parigi dal 1513), questo locale era in realtà solo un maleodorante deposito. E tutto questo armeggiare quotidiano con bacili, pitali, alte seggette e vasi da giorno o da notte sempre mezzi pieni, alcuni dei quali, anche nelle case patrizie, venivano conservati per ore o giorni nel gabinetto di casa o sul pianerottolo delle scale, in attesa che fossero colmi, per essere poi finalmente svuotati di sera sulla pubblica via, spesso su ignari passanti, lascia immaginare quale debba essere stato nelle case e nelle strade di città e villaggi l’olezzo dominante.
"Gardy loo!", ovvero "Iddio abbia pietà di voi", gridavano per civismo ipocrita e gentilezza tardiva agli eventuali passanti in strada, le cameriere di Edimburgo mentre rovesciavano dalle finestre di casa, puntuali alle dieci di ogni notte, gli escrementi e l’urina di casa conservati per tutta la giornata. Erano i tempi del grande Regno di Scozia (T. Smollet, Humphrey Clinker, Londra 1872). Secondo J. G. Bourke, però, l’espressione pronunciata con accento popolare dalle serve scozzesi doveva essere una deformazione dal francese Gardez l’eau, cioè "attenzione all’acqua" (in Escrementi e civiltà, trad.it., Bologna 1971).
Un tanfo insopportabile di feci umane e di stabbio in decomposizione: ecco il tipico odore che regnava tra i vicoli e le strade di villaggi e città, pure considerate civili, fino a quasi tutto il Settecento, secondo centinaia di documenti incontrovertibili. Tutti protestavano, i medici consigliavano, i podestà vietavano o prescrivevano; ma intanto gli abitanti continuavano a fare i propri bisogni nei vicoletti ciechi tra le case, a ciò adibiti, detti "chiassetti", su cui versavano anche le latrine installate sui balconi (cfr. novella di Andreuccio da Perugia nel Decamerone, di Boccaccio). "Chachano infra chasa e chasa" si leggeva nella relazione dell’ispettore medico, il pisano dottor Barziono, inviato nel 1612 dal Governo toscano che temeva epidemie (Carlo M. Cipolla, Miasmi ed umori, Bologna 1989). Ma i più incivili, cioè quasi tutti, gettavano gli escrementi casalinghi direttamente sulla strada principale. Nel comune di Bientina, per esempio, nessuna casa aveva il suo "botino soteraneo" (pozzo nero), cosicché in strada si incontravano "centinaia di chachate" con conseguente "pesimo odore" (Cipolla, cit.).
La fissazione per il clistere è spiegabile anche col diverso atteggiamento dell’uomo antico verso gli escrementi. Tanto familiare era la presenza delle feci umane, con tutti i problemi ad esse collegate, che non pochi medici prescrivevano le stesse feci come medicina. Secondo J. Harrington, "taluni dottori sostengono che l’olezzo del cesso è un buon rimedio contro la febbre". Il dottor Fletcher ricordava che all’epoca della regina Elisabetta d’Inghilterra, e perfino in tempi più recenti, ai malati di tubercolosi erano fatti inalare i fumi degli escrementi. Per quanto oggi possa apparire paradossale, era comune la convinzione che questo tipo di odori fosse efficacissimo per far riprendere i sensi. In The Secret Miracles of Nature (Londra 1658), l’erudito Levinus Lemnius cita il caso di quel contadino di Anversa che entrato in un negozio di profumi si sentì svenire. Sùbito un uomo di buon cuore ebbe la prontezza di raccogliere dalla strada e di mettergli sotto il naso del buon sterco di cavallo caldo e fumante, facendolo così rinvenire.
Un celebre poeta satirico italiano, lo Stecchetti, ha messo alla berlina, come già aveva fatto Molière, l’appiattimento terapeutico della medicina sulla siringa come unico rimedio: "Il leon nel fare il bagno/ punto fu dal pesce ragno/ ma un dentista forestiere / lo guarì con un clistere". Con quel "forestiere" aggiunto ai versi delle sue Favolette morali, forse su suggerimento del suo avvocato, quella linguaccia di Lorenzo Stecchetti, pseudonimo di Olindo Guerrini (1845-1916), evita il rischio di una querela dal dentista del paese.
Secondo alcuni medici del passato, annusare al mattino e a digiuno escrementi umani proteggeva dalla peste. E le feci umane potevano addirittura essere ingerite come farmaco. Il Beckerius riporta un interessante "caso clinico" d’epoca, secondo cui aggiungere al cibo per tre giorni di seguito piccole quantità di feci di "bambino nutrito a pane e fagioli" guarì un uomo dall’itterizia. Contro l’angina pectoris prescrive – e c’è da credergli – un miscuglio di sterco bianco di cane, feci umane, sterco di rondine, liquirizia e zucchero caramellato.

Ma torniamo al clistere e all’alterigia degli speziali. Sembra quasi che più che mezzo terapeutico considerassero lo stantuffo come strumento di potere, per ottenere stima e considerazioni dai potenti e per rivaleggiare in presunzione e pompa con gli odiati medici.
Anche l'autoritario cardinale Richelieu che pretendeva sempre il titolo di "eminenza" e non piegava la testa di fronte a nessuno, fosse pure il re in persona, dovette flettere la schiena più volte di fronte a un semplice giovane praticante apotecario armato di siringa. Dopo una forte colica un apotecario tentò più volte invano di praticargli il lavaggio intestinale finché finì per impappinarsi per l’emozione: "Se Sua Eminenza si si compiacesse d'introdurre Ella stessa la siringa... Sa, Sua Eminenza ha due Eminentissime Eminenze che impediscono l'entrata della cannula..." E ovviamente si ebbe da Richelieu una risposta irata e sferzante, del tutto priva di senso dell’umorismo. (Mousson-Lanauze).
"Il pistone aveva funzionato perfettamente. I fianchi regali trattenevano il sapiente miscuglio destinato a combattere l'arresto della bile nello stomaco e la corruzione del sangue, composto di una doppia dose di rabarbaro, senna di Levante e miele rosato". Meccanica e camera da letto, idraulica e anatomia femminile, clistere e politica, sesso e decotti. Possibile?
Certo, si tratta della regina Anna d'Austria alle prese con l'abbondante lavativo somministratole dalla cameriera Caterina, così intima della sovrana da svezzare sessualmente, su suo preciso ordine, il principino ereditario, il futuro re Luigi XIV di Francia (da un piccante libretto di Paul Reboux del 1938 e dalle Memoires di P. Visconti).
E il Redi, che medico almeno era davvero: "Si querela il Signor Presidente che il suo corpo non fa giornalmente l’uffizio suo nel mandar fuori le fecce, e che però è necessario ricorrere alla frequentazione de’ Clisteri, onde desidera qualche aiuto non volgare o triviale per mantenersi il corpo lubrico… Fra questi rimedi loderei molto il solo Clistere, ma sia Clistere mollitivo e semplice, e senza la vana pompa di quei tanti e tanti ingredienti misteriosi che o per rompere i fiati o per far maggiore evacuazione vi si sogliono comunemente aggiungere". E ancora: "In tempo di sanità il farsi alle volte un clistere ci libera da una soprastante malattia…" (in Consulti medici di Francesco Redi gentiluomo aretino, Firenze 1726).
La "seggetta" era una speciale sedia o poltroncina sul cui sedile era praticato un largo foro, al di sotto del quale veniva posto un alto vaso di ceramica munito di coperchio di legno. Era il gabinetto in uso nelle case borghesi e patrizie fino all'Ottocento e oltre. Ancora nei primi anni '50 nella versione semplificata di un altissimo vaso cilindrico di ceramica (da notte e da giorno) dagli ampi bordi rovesciati - così da permettere una comoda seduta - era presente in molte case nel sud Italia (p.es., in Puglia era noto come "lu prise") e nelle province europee più tradizionali. Era ovviamente la destinazione obbligata quasi immediata di chi aveva preso un clistere. Nel solo palazzo reale di Versailles – racconta lo storico M. Raynaud – si contavano ben 274 seggette o "comode" (in francese chaises percées o commodes).
Insomma, nella "civiltà" dell’epoca non c’era il fortissimo tabù della defecazione, tipico del complessato mondo contemporaneo. Per questo era normale per tutti, re e regine compresi, conversare amabilmente in salotto, magari con ospiti di riguardo, stando comodamente assisi sul vaso.
L'alto onore di offrire prontamente la seggetta al re dopo un clistere spettava naturalmente al funzionario di corte di grado più elevato: il Gran Ciambellano (Saint Simon nelle sue Memoires ). Alla corte del Re Sole, che riceveva i suoi cortigiani per il quotidiano omaggio al risveglio (le lever du Roi) seduto sul vaso – il che lascia presumere storie di ordinariae recalcitrante stitichezza tra i regnanti francesi – i  funzionari addetti al trasporto della poltroncina igienica erano due, molto ben pagati, e si alternavano ogni sei mesi. Il loro ruolo era chiamato porte-chaise d'affaires.
Per secoli i fisiologi hanno ritenuto, secondo la teoria "scientifica" del medico e farmacologo Santorio (1560-1636), che eliminando con i lavativi le feci dal colon si creasse un "vuoto" per colmare il quale le feci, a grado a grado, scendevano dalle parti superiori dell'intestino finchè tutto s'era svuotato (riferisce il Benedicenti, cit. dal Lorenzoni).
E la stitichezza, causa prima della diffusione del clistere, quante lamentele ha provocato! Quanti di noi hanno pensato di raccogliere in un libro i migliori graffiti letti sulle pareti delle latrine pubbliche, da sempre frequentate da stitici grafomani? Molti, senza dubbio. La stitichezza, si sa, fa vittime soprattutto tra i sedentari, sia giovani che anziani. In questa categoria, è evidente, studenti e professori – con poco tempo per lo sport e sempre seduti davanti ai libri – sono molto ben rappresentati. Entrambi spesso sono capaci di "rimandare ad un altro momento" lo stimolo all’evacuazione, o perché stanno studiando o perché devono entrare in aula per tenervi una lezione. Riferisce T. Rosebury (Igiene e pregiudizio, Milano 1970) che nel gabinetto del Merton College, in Inghilterra, si leggevano ai tempi suoi due spiritosi graffiti. Il primo, evidentemente, era in pace col proprio colon, e perciò la buttava in filosofia:
Tutto passa, niente rimane (Aristagora)
Ma sotto, in risposta, con una scrittura più nervosa, qualcuno che invece non era proprio riuscito a evacuare, e la buttava in amara ironia:
Tutto rimane, niente passa (Costipagora)
Ecco il perché della fissazione del clistere, fino ad abusarne. "Si può dire che i clisteri sono i migliori e più salubri rimedi della medicina, quando son dati a proposito; spesso però se ne abusa, poiché un gran numero di persone abituano talmente i loro intestini a questa specie di panacea di cui fanno uso tutti i giorni, da sani o ammalati, da rendere il loro ventre pigro ed incapace di compiere da se stesso le proprie funzioni" (dalla Pharmacopée di Lémery, 1729).
L'invenzione di Fabricio Hildano consisteva in un serbatoio a forma di sfera che terminava con una cannula munita di una chiavetta. Era perciò un apparecchio abbastanza simile ai vecchi modelli per enteroclisma in uso in Europa nel nostro secolo.
"Non bisogna darvi una forte purga, madame: potreste anche essere incinta e il purgativo potrebbe farvi danno. Avete solo bisogno di un piccolo clistere e dopo vi estrarrò un po’ di sangue" (Il medico alla borghese malata nel Bourgeois gentilhomme di Molière).
Le vecchie cameriere erano delle virtuose nell’arte di praticare clisteri. Tale era l’ampiezza delle gonne del tempo, ma soprattutto l’abilità e la velocità da prestigiatore con cui la fedele Nanon, inginocchiandosi un attimo come per chiudere una spilla, inseriva la cannula nel principesco didietro della giovane Delfina di Francia mollemente seduta sul divano in attesa di recarsi a teatro, che per anni nessuno dei presenti, compresi il re e la sua favorita madame de Maintenon, si accorse mai di nulla. Ma come era stato possibile? si chiese il re molto divertito. Gli fu spiegato che la cameriera nascondeva l’apparecchio sotto la gonna. E così, con tutto il liquido del clistere in corpo, la principessa era solita andare alla rappresentazione (Memoires di Saint-Simon).
Ben 1200 lavativi furono somministrati in soli quattro anni e mezzo ad una donna che soffriva di non ben precisati "vapeurs" (secondo un’espressione della medicina del tempo) dal dottor Pommé, celebre medico francese del Settecento.
L’abuso popolare del termine "clistere" lo fece diventare, secondo il conte di Mirabeau, una parola volgare quasi impronunciabile nella buona società parigina al tempo di Luigi XIV. I cortigiani e il bel mondo prendono a parlare allora di "lavativo" (lavement), ma i Gesuiti, che di clisteri si intendevano avendoli portati con sé e diffusi nelle missioni in Oriente, obiettano scandalizzati che lavement è una parola anche d’uso ecclesiastico. Seguono polemiche tra abati di opposte fazioni e alla fine i Gesuiti convincono il re e la corte ad usare invece l’innocuo termine remède (rimedio). L’Accademia francese viene subito incaricata di inserire il nuovo termine nel dizionario (Erotika Biblion, del conte di Mirabeau, in L’Oeuvre, Parigi 1921).
"L’odio per gli intestini altrui è caratteristico del misantropo, che invece ama i propri" (N.O. Brown, La vita contro la morte, Milano 1969). Una conferma viene da Freud, che se ne intendeva, quando scrive che il ribrezzo per gli escrementi per quanto intenso non si estende mai ai propri. Eppure, molto meno esperto di Freud al riguardo, chi scrive è convinto che esistono giovani donne che ritardano al massimo l’ingresso in toilette proprio per un profondo e istintivo ribrezzo anche per le proprie feci. Castità escretoria che si ritrova, specularmente, nell’amore cortese dei castelli del Medio Evo: per gli amanti la "donna angelicata" non poteva assolutamente andare di corpo.
Difficile il clistere presso i maomettani, e non solo per non incorrere nel sospetto di omosessualità, dato l’uso della via anale; ma anche per le loro fobie igieniste sanzionate addirittura dal Corano. Infatti, se un sia pur minimo schizzo di materia fecale avesse per puro accidente macchiato i loro vestiti, un vero musulmano si sarebbe considerato "impuro". E’ per questo motivo che i musulmani non solo defecano accosciati, ma – come le donne – orinano nella stessa posizione. La legge religiosa comanda tre azioni ben precise dopo aver defecato o urinato: rimozione, abluzione e asciugamento. La prima si fa con una zolla di terra (perciò il vero maomettano conservava un po’ di terra nel turbante); la seconda va compiuta per due volte di seguito; la terza si effettua con un pezzo di tela lungo quasi un metro, che il fedele dovrebbe portarsi sempre appresso, a meno di non voler utilizzare il turbante, forse nato anche a questo scopo…(da J. G. Bourke, Escrementi e società, trad.it., Bologna 1971).
Ma c’è anche un Villon del clistere. Eccolo: "Voglio che dopo la mia morte le mie ossa siano donate ad un apotecario, perché ne faccia cannule atte a somministrare clisteri, affinché anche da defunto possa dedicarmi a quello che è stato l’oggetto della mia vita: il sedere…" Cioè, come godere all’Inferno; ovvero propositi di rivalsa anale post mortem e per interposta cannula (dalla poesia "Mon testament" scritta dal poeta "maledetto" Piron verso la metà del Settecento).
"E sebbene ho detto che i Clisteri si debbono fare di puro brodo, soggiungo che invece di brodo si può servirsi dell’acqua pura di fontana, dell’acqua di Nocera, dell’acqua di orzo, della bollitura di cocuzza e di altre cose simili. Quegli diacattoliconi, quei diafiniconi, quelle benedette lassative, quei lattuari di Hiera, che come sacri dal volgo vogliono essere fitti nei Clisteri, si debbono fuggire come un veleno o come una peste, siccome ancora tutti quegli altri Olj di Ruta, di Camomilla e d’Aneto. Non mi meraviglio che i Clisteri di latte sieno riusciti dannosi: imperrocché entrato il latte negli intestini, qualche parte di esso latte per l’aspersione di qualche acido si coagula, e diventa caciosa, e ritenuta tra le rughe di essi intestini acquista maggiore acrimonia e maggior acidità, e per conseguenza può cagionare il danno…" (dai Consulti medici di Francesco Redi gentiluomo aretino, Firenze 1726).
"La vera posizione è quella che permette l’inclinazione maggiore, vale a dire quella dell’uomo che cammina a quattro zampe, la testa che sfiora il suolo, di modo che l’orificio anale si trovi ad un livello superiore dell’ampolla rettale… L’estremità inferiore dell’intestino sembra sostenere il ruolo di portinaio dell’immobile, incaricato di vegliare alla custodia dell’edificio" (da L’Apothéose du lavement del medico e filosofo ottocentesco Charles-Ernest Lasègne)
"Il secolo dei lavativi e delle purghe", ecco come è stato prosaicamente definito il Seicento da alcuni storici della medicina e del costume. E non è certo colpa della cattiveria dei commediografi, come Molière, se il clistere viene messo amabilmente alla berlina. "La siringa occupava un posto di rilievo nella società dell’epoca", nota il Berthe. La figura dello speziale, accompagnato o no da un garzone ma sempre armato della caratteristica siringa, era familiare in tutte le città d’Europa.

Il cristianesimo, e in particolar modo la chiesa cattolica, aveva introdotto il concetto di "pudore" o vergogna del corpo, inesistente nel mondo classico pagano. Nel Medioevo alcune celebri sante potevano vantarsi di non essersi mai viste nude. Comprensibile che ancora nel Settecento fossero numerosi i pazienti che non amassero denudarsi davanti al medico o allo speziale, tanto più per un clistere. I medici "filantropi" si erano occupati del problema fin dal Cinquecento. Un certo dottor Heister consigliava siringhe "con una lunga cannula di cuoio", lubrificata con olio, in modo che i malati fossero in grado in tutta segretezza di "inserire da sé la cannula o di farsela iniettare da altri senza doversi spogliare", come era solita fare anche mademoiselle La Dauphine di Francia, nuora di Luigi XIV.
L’autosufficienza completa e il massimo grado di comodità nell’uso del clistere sono stati raggiunti solo nell’Ottocento e per merito di un italiano. Nel 1780 il medico lombardo Giovanni Alessandro Brambilla, che aveva il prestigioso ruolo di "protochirurgo imperial-regio" in tempi di dominazione austriaca, inventa e fa produrre un "grazioso mobiletto" che può essere messo discretamente in camera da letto (a quei tempi la stanza da bagno era ancora rara) ed usato come un bidet per lavativi a qualunque ora del giorno e della notte.
"Spesso gli ambasciatori sono ammessi nella sua camera, tra un brodo sorbito e un clistere restituito da Sua Eminenza, fatto non troppo diplomatico all’occhio degli stranieri…" Così Touchard-Lafosse nelle sue Chroniques de l’Oeil-de-Boeuf (Paris, ed. Garnier) a proposito della vita del cardinale Richelieu.

Il clistere è stato anche lo strumento di avventure, realmente avvenute, che sarebbero piaciute al Boccaccio. Il nobile signore di Estoublon, conosciuto per il suo spirito bizzarro, attraversando un giorno una galleria di sale getta lo sguardo per caso in una camera da letto dalla porta rimasta aperta e nota una donna riversa sul letto col didietro scoperto. Il suo primo impulso è di entrare nella stanza, silenziosamente. Vede un apparecchio da clistere pronto accanto al letto. La donna, madame de Brégis, giace prona e con le natiche nude, ignara della presenza dell’uomo. Evidentemente la serva si è allontanata un attimo e sta per tornare al capezzale della padrona per praticarle il lavativo. Che fa Estoublon? E’ più forte di lui: infila la cannula bell’e pronta nel deretano della sconosciuta e fugge via per i lunghi corridoi. Saint-Simon, che riferisce il piccante episodio, impiega poi molte righe per descrivere con toni esilaranti da commedia di Feydeau quello che succede quando la cameriera torna e trova il clistere vuoto e il dialogo concitato con madame che è "sicurissima di averlo già avuto"…
Come le signore alto-borghesi del primo Novecento si lamentavamo dei prezzi del profumiere e quelle degli anni ’50 delle pretese dello chauffeur o della cuoca, messieurs e dames del Seicento accusavano di venalità gli speziali. Nella commedia di Molière Le médecin malgré lui il signor Thibaut fa il conto di quanti soldi deve al- l’apotecario e si sfoga con Sganarello: "Mi costa più di una dozzina di scudi solo in lavativi".
Il clistere, tanto più se a base di sostanze nutrienti come brodo di carne, "rompe" o no il digiuno? Ecco il quesito di lana caprina che divise e appassionò a lungo i teologi della Chiesa intorno al 1660. Galeno aveva lasciato scritto che i liquidi iniettati col clistere "possono arrivare fino allo stomaco". Dunque, il clistere è nutritivo e va vietato prima della comunione o nelle Quattro Tempora. Ma il dottor Montanus, celebre medico del Seicento, sostiene che il clistere non è cibo. Lo stesso Galeno insegna che un alimento deve essere "viscidum, lentum et crassum"(vischioso, lento da mangiare e denso), tutte qualità che un lavativo non ha. Del resto, lo stesso vino, sosteneva nel Cinquecento il medico Mercurialis nel libro De vino et de aqua, non è un alimento perché è liquido. Poiché anche il clistere è liquido, a maggior ragione non frangit jejunum.
L’amante che vuole sostituirsi ad una cannula di clistere è un topos, un luogo comune obbligato ed abusato della letteratura erotica e del teatro galante europeo. Un esempio tra tanti il "tra sé" di un certo amante Cassandro. E’ solo, mentre sulla porta attende che venga praticato il clistere alla sua amata Isabella):
Ma ecco qua l’apoticario. Oh piccolo Cupido, perché non mi trasformi in quest’istante in una siringa? Avrei così il piacere di entrare…  Ah, ma che dico?  Questa idea è tanto voluttuosa che mi mette fuori di me… (da La Médecine de Cythère di C.F. Ragot de Grandval, 1710-1784).
Consommé e delicati brodi di pollo, anche in tempi di "magro" come la Quaresima, venivano consumati sotto forma di lavativi dalle signore della buona società, non si sa se più ghiottone o più fanatiche del clistere. Come dire: fatta la legge ecclesiastica, trovato l’inganno.
I Tartari non dovevano, almeno in origine, soffrire mai di stitichezza. Altrimenti non avrebbero avuto la curiosa usanza di rimproverare i figli piccoli che perdevano troppo tempo nella defecazione con la strana invettiva: "Possa indugiare tanto, colà, da sentire il puzzo dei tuoi stessi escrementi, come accade ai cristiani". Ed era la peggiore maledizione che potessero pronunciare. Perciò, un venditore di siringhe da clistere nel loro paese sarebbe fallito (da Pinkerton, cit. in J. G. Bourke, Escrementi e civiltà, trad.it., Bologna 1971).
Nutrirsi col clistere? Latte, brodi, vino, perfino "crema d’orzo" e tuorli d’uovo venivano diluiti nei lavativi da clistere in alcuni casi di debilitazione grave. Come riferisce Regnier DeGraaf, il già citato medico autore del trattato De Clysteribus, secondo alcuni colleghi questo era possibile, specialmente quando un malato non poteva nutrirsi in alcun modo, per impossibilità di inghiottire gli alimenti, disgusto per il cibo o malattie di stomaco. "Per la produzione del chilo - essi sostenevano - non è necessario che gli alimenti siano digeriti dallo stomaco: anche gli intestini possono formare il chilo…" Si trattava, insomma, di una vera e propria nutrizione parenterale d’emergenza. Ma il clistere nutriente, obietta de Graaf, non ha sempre l’efficacia che i suoi sostenitori vorrebbero.
Anche a voler immaginare che il liquido possa arrivare fino all’intestino tenue (che arrivino fin nello stomaco è escluso), è certo solo il parziale assorbimento dei liquidi, non dei solidi che hanno bisogno di una elaborata digestione. La ricetta di un enema nutriens o "clistere nutritivo" di Adriano Mynsicht (1697) prevede zuppa d’orzo, carne di manzo e di cappone, latte vaccino, vino di ottima qualità, zucchero rosato, pane biscottato in polvere, rosso d’uovo… Un vero pranzo.
Il periodico lavaggio dell’intestino come ghiotta occasione per carpire notizie e uscire per pochi minuti dal carcere, sia pure con la fantasia. Ecco lo stratagemma a cui nel 1718 ricorre il nobile conte di Laval (nomen omen) arrestato e incarcerato alla Bastiglia dopo una congiura: periodicamente manifesta sintomi gravi di malattie intestinali. E non per "andare in infermeria", come accade oggi. A quanto riferisce Touchard-Lafosse, "per avere più spesso notizie della città, sostiene di aver bisogno di tre clisteri al giorno; il che gli dà l’occasione di stare per tre volte in contatto con l’apotecario venuto da fuori". Qualcuno si lamenta col Reggente di questi abusi, ma Sua Altezza Reale risponde:"Poiché non gli rimane che questo unico piacere, lasciamoglielo" (dalle Croniques de l’Oeuil-de-Boeuf, di G. Touchard-Lafosse).
Più dei tradizionali esorcismi contro il diavolo, il clistere si è dimostrato molto efficace nello scacciare definitivamente Belzebù o Asmodeo dal corpo degli invasati. Come? Semplicemente facendo uscire Satana dall’orifizio a lui più congeniale, l’ano. A dar credito alla Histoire des diables de Loudun di Aubin (Amsterdam, 1693) e al libello di Jean Hervez su Les femmes et la Galanterie au XVII siècle, su cui negli anni Cinquanta Huxley ha scritto un libro di successo ("I diavoli di Loudun") da cui poi è stato tratto un film, un apotecario prontamente chiamato dall’esorcista sarebbe riuscito nel 1631 con un semplice clistere di acqua benedetta a liberare dal demonio Giovanna de Belcier, superiora delle suore Orsoline di Loudun, la cui condotta morale e sessuale era considerata molto riprovevole. Satana, ovviamente, uscì con gran rumore sotto forma di un peto.
"Un buon clistere detersivo, composto di catholicon doppio, rabarbaro, miele rosato e altri ingredienti secondo ricetta, per spazzare, lavare e ripulire il basso ventre del signore: 30 soldi…Poi un clistere carminativo per espellere i venti del signore: 30 soldi… Dunque, questo mese ho preso in tutto dodici lavativi". Ecco il consuntivo di Argante nel Malade imaginaire di Molière. Pochi ricordano che agli apotecari i lavativi rendevano molto denaro.
Quei creduloni del popolino sono così sistemati dal medico Redi; ma anche i nobili…"Il Sig. Marchese si faccia serviziali con semplice acqua di pozzo, con la giunta di due o tre once di Zucchero, con un poco di olio comune e un poco di sale. E se per dare soddisfazione al popolo non volesse torra acqua di pozzo, la tolga di fontana, o tolga acqua di orzo, o tolga brodo di carne, che poco importa…(dai Consulti medici di Francesco Redi gentiluomo aretino, Firenze 1726).
"Per staccare, strappare, espellere, evacuare gli umori, occorrerà una purga molto forte; ma prima di tutto ritengo opportuno impiegare dei rimedi più blandi, cioè dei lavativi emollienti e detergenti" (il dottor Macroton nella commedia L’amour medecin di Molière (1665).
Piglialo bel bello/ ché non vi farà male/ zuccaro latte e sale/ che vòtano il budello…("Ballata del clistere", nella commedia di genere buffonesco Gorgoleo del senese Girolamo Gigli, 1660-1722).
"Moschettieri in ginocchio" ," limonadiers du postérieur" o "artiglieri del cannone umido" erano ironicamente denominati dal popolo gli apotecari addetti al clistere. Non di rado erano soldati all’acqua di rose che facevano breccia anche nel cuore delle piacenti signore che si affidavano alle loro cure.
E continuano le utilizzazioni improprie ed erotiche della cannula. Il giovane moschettiere D’Argentcourt nell’operina L’Apothicaire de qualité (poi divenuta, come in una moderna "Soap opera", Le Mousquetaire à genoux), nell’episodio boccaccesco riferito da Saint-Simon, trovatosi per caso a tu per tu con un clistere pieno e col magnifico deretano d’una giovane e bella vedova sconosciuta, pensa bene, tanto per cominciare coi preliminari e sognando evidentemente la penetrazione sessuale, di sostituirsi alla serva come operatore abusivo della lavanda intestinale.
I bei giovani, forti, sani e "dal vermiglio incarnato", che prestavano servizio come apprendisti presso i tanti speziali di Parigi venivano letteralmente disputati dalle signore. Gli storici non dicono se fossero tutti dei gigolo, ma certo dovevano essere molto preparati in materia. Pur appartenendo alla corporazione dei droghieri, per essere abilitati dovevano fare pratica per ben quattro anni e dimostrare in un severo esame di tre ore davanti a veri medici di conoscere le erbe medicinali e tutte le tecniche di preparazione erboristica, oltre alla dimostrazione pratica del loro "capo d’opera", cioè la preparazione di ben cinque preparati. Altro che garzoni: ben pochi erboristi e farmacisti di oggi, temiamo, supererebbero la prova. Peccato che poi per la loro alterigia a sporcarsi le mani nelle case mandavano gli apprendisti.
"Nei primi due mesi è necessario che la Signora un giorno sì ed un giorno no si faccia un Clistere. E nel giorno nel quale essa suol essere attaccata da’ suoi dolori di testa, si potrà quello stesso giorno far due Clisteri, pigliando il secondo immediatamente dopo che avrà reso il primo" (dai Consulti medici di Francesco Redi gentiluomo aretino, Firenze 1726.
Ma quali intrugli misteriosi erano messi dagli speziali nell’acqua tiepida dei clisteri? In origine pare che i medici dell’antichità non prescrivessero altro che acqua o poco più. Ezio - riportano Cabanès e Witkowski - si limitava all’acqua di fonte pura e semplice, Galeno la addolciva con miele. Ma poi fu aggiunto quasi tutto. Il famoso medico Ambroise Paré passando in rassegna le sostanze usate nei clisteri ce ne lascia una lista sorprendente: infusi di fiori, foglie e frutti di tutte le piante medicamentose, ma anche rimedi "anodini", detergenti, narcotici , succhi vari, mucillagini, perfino tuorli d’uovo, albume, miele, brodo di pollo o di cappone o di castrato, intestini di vari animali, siero di latte, sego, strutto, olio di oliva, olio di noci e quant’altro offrisse la natura e la fantasia (Alberico Benedicenti, Malati, medici e farmacisti, Milano 1924).
La celebre medichessa Trotula di Ruggero (XI secolo) consiglia nel suo trattato De compositione medicamentorum i clisteri di acqua e miele e in alcune affezioni intestinali quelli di acqua e polveri purgative.
La Chiesa, ma anche il popolo, erano convinti in passato che il diavolo fuoriuscisse dall’ano, insieme a gas intestinali di odore sulfureo. Così credeva anche Lutero, che dopo essere riuscito a scacciare il Maligno dal proprio corpo dovette poi sentire una puzza insopportabile che ristagnò in casa per alcuni giorni.
Ma in una antica farsa del Trecento, appare una curiosa variante. Un mugnaio ignorante, credendo che al momento della morte la sua anima uscisse dall’ano, quando fu il momento pregò il prete di metterlo in posizione tale da poter assistere all’evento. Quando il mugnaio emise un grande peto, sùbito apparve un demonio che mise un sacco sull’ano del morente, acchiappò il gas e volò via (da J. G. Bourke, Escrementi e civiltà, trad.it., Bologna 1971).
Tra le critiche che molti medici facevano agli apotecari erano ricorrenti quelle di volersi occupare di ogni male, di dare purgativi per tutte le specie di coliche e di praticare clisteri anche ripetuti e a sproposito, cioè senza una prescrizione medica. Sembrano diatribe di oggi. Tutto questo, solo per spillare più quattrini possibile agli ammalati, denuncia senza peli sulla lingua il maestro Lisset Benancio nella polemica Déclaration des abus et tromperies que font les apothicaires pubblicata a Tours nel 1573. L’autore non è un medico, ma sembra piuttosto un anziano speziale "pentito" che intende salvarsi la coscienza denunciando trucchi, vizi e topiche dei suoi colleghi. Perché, si chiede, si somministrano sempre lavativi purgativi, anche a rischio di far morire il paziente causando coliche da infiammazione intestinale, e mai clisteri carminativi - cioè antimeteorici - a base di semplici semi? Perché i tecnici del clistere vogliono scimmiottare i medici senza averne l’esperienza?
In caso di febbre, specialmente se molto alta, il clistere è molto utile. E anche contro i mal di testa i lavativi medicati fanno miracoli, sosteneva il medico DeGraaf nel già citato trattato De Clysteribus. Come mai? Quale sarebbe il "meccanismo d’azione"? Forse "liberando l’intestino dagli umori escrementizi, i cui vapori possono salire fino al cervello". Insomma, migliorano la circolazione del sangue, interpreta con parole più moderne il traduttore italiano, il medico Cusco. E siamo nel 1668.
A Roma nel Seicento i clisteri erano prescritti di rado dai medici locali e di piccola misura. Se ne lamenta il medico e poeta Francesco Redi che di ritorno dalla città dei papi, dove era stato medico in casa dei principoi Colonna, così scrive all’Eminentissimo Sig. Cardinale Colonna da Firenze, che soffriva di "artritide o reumatismo", dandogli gli ultimi consigli per lettera. "Si frequentino i Clisteri, ma sieno in maggior dose di quello che usa in Roma" . "E poiché mi sovviene di aver osservato quando io era in Roma che costì usano i Clisteri piccolissimi, che mettono in moto e poscia poco risolvono, perciò stimerei che V. Sig. Illustrissima se gli facesse un poco maggiori e che almeno almeno arrivassero alle due libbre ed anche a qualcosa di più, e non abbia mai V. Sig. Illustrissima paura dei Clisteri, che sono medicamento innocentissimo, ma bensì abbia paura di quei neri e torbidi beveroni che noi altri Medici pazzi ed indiscreti facciamo ingollare alla gente…" (dai Consulti medici di Francesco Redi, gentiluomo aretino,1726).
Anche i dolori renali erano curati con clisteri dagli speziali, ma sotto la curiosa intestazione di "Medicina aneddotica e letteraria" l’autore della Declaration des abus et tromperies cela al riguardo il veleno di una vera e propria denuncia di errore terapeutico. Secondo il Benancio il clistere praticato a sproposito in caso di malattie renali potrebbe provocare "un allargamento degli intestini, una forte compressione ai reni e una contrazione dell’uretra". Insomma, più male che bene. E fortuna che l’autore del libello aveva premesso di non volersi arrogare il diritto di trattare l’arte medica.
Orzo, crusca, rose, bietole, mercuriale, agrimonio, centaurea, semi di anice, bacche di alloro, lupini, zucchero, miele rosato, bocca di leone, tuorlo d’uovo, calomelano, grasso di montone, trementina ecc. Ecco la lista, abbreviata di molto, delle sostanze vegetali, animali e perfino minerali che gli speziali aggiungevano all’acqua tiepida del lavativo intestinale, secondo il trattato De Clysteribus del DeGraaf. Ma tra gli ingredienti meno usuali ma pur presenti nei clisteri del Seicento e del Settecento c’erano anche gli infusi di tabacco (che talvolta si rivelavano mortali), l’oppio e perfino l’orina.
Il "clistere purgativo d’Hamec", dal nome di un celebre medico arabo, era composto di ben 27 ingredienti; il catholicum di Fernel aveva ben 30 sostanze. Esistevano poi decine di clisteri diversi a seconda delle indicazioni terapeutiche: astringenti, anodini, divisori ecc. (De Graaf).
Acqua semplice, semmai con l’aggiunta di brodo, sale, zucchero e burro: ecco gli ingredienti preferiti dal medico Redi per i clisteri che ordinava di frequente ai suoi pazienti. In quali casi? Dalla "gravezza di stomaco" ad un "tumore nell’utero", "stitichezza di ventre" , "ipocondria", febbri , "flussioni podagriche", "ardore di stomaco". Perché sforzarsi, poi, di eliminare sùbito quel liquido benefico che "umetta le fecce" e fa tanto bene al ventre? Redi è convinto che l’acqua del clistere debba restare più a lungo possibile nel corpo del malato, contrariamente a quanto vogliono nell’epoca attuale le esigenze sociali e la diffusissima nevrosi da velocità. "Né s’inquieti mai il Signor Presidente quando il Clistere farà poca operazione, anzi allora si rallegri, perché allora i suoi intestini rimarranno più mollificati, meno smunti e risecchi, e per conseguenza appoco appoco si ridurranno in grado di poter senza aiuto sgravarsi dalle fecce spontaneamente: A questo fine ho esperimentato maravigliosamente utilissimo in pratica il farsi per molti giorni continuamente ogni sera un piccolissimo clistere…" (dai Consulti medici di Francesco Redi, gentiluomo aretino, Firenze 1726).
Perfino il tabacco si usava! I vapori di tabacco, inalati con un curioso clistere, non erano così pericolosi come i clisteri di infuso di foglie di tabacco. Erano ottenuti facendo bollire le foglie di Nicotiana con poca acqua in vasi a collo stretto ed erano convogliati per mezzo di un sistema complesso costituito da un soffietto e da una cannula direttamente nell’ano del malcapitato. I medici d’oggi saranno sicuramente incuriositi dall’antico uso"curativo" del fumo di tabacco, soprattutto da parte di terapeuti inglesi. Il manuale Hoepli di Alberico Benedicenti, edito nel 1924, riferisce non senza meraviglia che il grande medico inglese Sydenham (tu quoque) aveva ideato alla fine del Seicento una sorta di vescica iniettoria specializzata per il fumo del decotto di tabacco. I clisteri di fumo di tabacco erano raccomandati anche dal Murray e dal Tissot. Ma quel che è più curioso è che i clisteri di tabacco ebbero estimatori fino all’Ottocento, dato che lo Schaeffer li aveva prescritti anche per l’ernia strozzata. Il Tissot aveva suggerito di servirsi per questo strano clistere d’una guaina di coltello forata all’estremità. Sistema così diffuso in Inghilterra che gli umoristi e gli avversari tradizionali - i francesi tra i primi - andavano dicendo che gli inglesi avevano sul tabacco due simmetriche fissazioni: "la pipa tra i denti e la guaina del dottor Tissot tra le chiappe".
L’oppio era aggiunto ai clisteri, presumibilmente per calmare forti e prolungati dolori. Se ne hanno notizie in Piemonte, dove pare che nel Quattrocento fosse molto in uso presso i medici ebrei, come riferisce il manuale del Benedicenti. Ma il medico piemontese Guarniero, già archiatra di Amedeo VIII di Savoia, stigmatizza questo uso terapeutico, a suo dire molto pericoloso, perché l’oppio finisce per essere assorbito dall’organismo e quei clisteri "invece di calmare provocano sovente il sonno eterno".
L’urina è stata considerata a lungo un lavativo naturale, pratico, economico e salutare da molti speziali e medici del passato. Ma, com’è comprensibile, il suo impiego ha sempre diviso i terapeuti e suscitato forti polemiche. Il celebre fisiologo e medico del Cinquecento, l’istriano Giovanni Sartorio, in cui onore i veneziani innalzarono una statua nel chiostro dei Serviti, era uno strenuo sostenitore del clistere d’urina. Aveva fatto costruire uno speciale apparecchio, costituito da una vescica cui era applicata nella parte inferiore una cannula, grazie al quale – assicurava – lo stesso malato avrebbe potuto, orinando, immettere egli stesso direttamente la propria urina nell’intestino. Dal produttore al consumatore, diremmo noi oggi. E tutto gratis, il che non era senza importanza per i malati poveri, visti i prezzi proibitivi dei clisteri. Ma era efficace? Sartorio sosteneva che il clistere d’urina "eccita i movimenti peristaltici intestinali".
Nella sua Pharmacopoeia medico-chimica sive Thesaurus pharmacologicus, il famoso scienziato del Seicento Giovanni Schroeder raccomanda vivamente i clisteri d’urina per guarire il meteorismo dei bambini (Alberico Benedicenti, in Malati, medici e farmacisti, Hoepli, Milano 1924). Ma anche la sciatica si curava efficacemente con i lavativi di urina, secondo un medico del Rinascimento: "Per guarire ogni sciatica calda o fredda, humida o secca: tre serviziali da mettere un dì si e l’altro no, con decozione di varie erbe, vin bianco buono, vino cotto e orina di fanciullo…"
"Non esiste alcuna parte del corpo che non possa ottenere benefici dal clistere, tanto più quanto è più vicina all’intestino" era solito ripetere il medico olandese DeGraaf, che nel suo De Clysteribus (1668) aggiungeva: "I clisteri sono provvidenziali soprattutto nelle malattie dell’intestino come il tenesma (fitte dolorose nella zona del retto, nota del traduttore italiano, il medico Cusco), le coliche, le dissenterie, le ulcerazioni, i vermi ecc. Sono utilissimi nelle malattie dei reni, della vescica, dell’utero, del mesentere".
Le donne sono state in passato le pazienti ideali per medici o speziali che operavano per mezzo di lavativi intestinali, se non altro perché soffrivano (e soffrono) di stipsi più frequenti e ostinate, spesso dovute solo alla loro tendenziale sedentarietà. La "pia" Madame Fouquet, una praticona francese vissuta nella seconda metà del Seicento, ha lasciato numerose ricette propagandate come "economiche e popolari" (ma si vedrà più avanti che tali non sono) di clisteri curativi particolarmente indicati per le donne nel suo Recueil des remèdes faciles et domestiques (Digione 1686).
"Per bloccare le perdite di sangue delle donne somministrare loro due o tre volte al giorno clisteri di Oxierat, cioè sei parti d’acqua e una di aceto" (Madame Fouquet).

"Per eliminare la malinconia" delle donne, evidentemente ricche, bisognava aggiungere all’acqua del clistere (2 lb) radici di polipodio di quercia (1 oz), radici di prezzemolo, di finocchio e d’asparago (6 pizzichi ciascuno), foglie di fumaria, di scolopendra e di melitoto (1/2 oz ciascuno), fiori di camomilla, di borragine e di buglossa (2 pizzichi ciascuno), semi di finocchio e di anice (1 pizzico ciascuno), vino emetico (1 oz e mezza), catholicon fine (1/2 pizzico), preparato d’Hamec (1/2 pizzico). Far bollire l’acqua con tutti i componenti - tranne gli ultimi tre che vanno aggiunti a decotto ultimato - fino a che si riduce della metà (Madame Fouquet).
"Come si possa con poca spesa e per mezzo del clistere dar sollievo agli ammalati poveri": ecco l’interrogativo che si pone anche il DeGraaf interpretando l’imbarazzo di pochi medici, solo per questo passati alla storia come "medici filantropi", di fronte alle liste di decine di spezie costose necessarie – a dar retta alla maggior parte di medici e speziali – per un solo clistere. E così risponde DeGraaf: "Abbiamo visto talvolta clisteri composti di decotti dei medicamenti più eterogenei, cui venivano aggiunti elettuari, oli e altre sostanze, rimanere senza effetto; mentre un clistere di acqua, miele e sale procurava ai pazienti i migliori risultati. Questo semplice lavativo è considerato dai più come un gran segreto".
"Taluno ha immaginato di modificare la posizione del personaggio passivo, cioè del paziente, nei riguardi dello strumento attivo, prima di penetrare più lontano. Prendere un clistere all’impiedi è troppo da signori: un’eccessiva dignità nuocerebbe ad una penetrazione profonda" (da L’Apothéose du lavement del medico e filosofo Charles-Ernest Lasègne, vissuto nell’800).
Più simili ai "Medici senza frontiere" che ad alcuni professionisti d’oggi, i "medici filantropi" scrivevano libretti facili ad uso delle famiglie, in cui insegnavano il "fai da te" senza rischi per realizzare in casa a costo minimo i clisteri più efficaci e semplici. Chissà come l’avrà presa la corporazione degli speziali. Il più noto di questi manuali popolari era Le Médecin charitable, ovvero "Il medico caritatevole", compilato dal medico Philibert Guybert e molto apprezzato e consigliato anche dal Patin. Le ricette erano "pauca, sed selecta et probata". Il manualetto costava uno o due soldi ed aveva di fatto la funzione di calmiere: era ristampato di continuo, specie dopo ogni contestazione tra apotecari e Facoltà di Medicina…
Un altro manuale popolare, La Médecine et la Chirurgie des pauvres, uscì a Parigi trent’anni prima della Rivoluzione, nel 1758.
Molte altre malattie erano aggiunte alla lista di quelle tradizionalmente curate con clisteri, come il "mal di petto" o di polmoni, il mal di denti (prima un salasso, poi "rinfrescare" l’intestino con un clistere), cadute, "sangue coagulato", malattie di fegato ("clistere di buon vino bianco, più 2 once di zucchero e 2 once di olio di gherigli di noci). Contro i vermi intestinali è consigliato il decotto di genziana maggiore, cui si possono aggiungere aristolochia, assenzio e cicoria amara, oltre al vino bianco; ma nei casi più gravi sono indicati clisteri con "grani di mercurio dolce", olio d’oliva, succo di limone, latte zuccherato.
E’ necessario che tutti coloro che ne abbiano i mezzi possiedano una siringa da clistere per la famiglia. Così eviteranno di farsela prestare all’ultimo minuto, con gravi rischi di contagio di peste, ulcere maligne, fistole sull’ano, vaiolo, scarlattina e altre malattie contagiose, se la siringa non sia stata prima riscaldata al fuoco o bollita…" Ecco, in sintesi, l’utile avvertimento che si legge nel mauale La Médecine et la Chirurgie des pauvres (Parigi 1758).
"Tra le medicazioni topiche dell’intestino, ve n’ha una che tengo a riabilitare e la cui sfortuna proviene dal fatto che si somministra per una porta bastarda, per un luogo generalmente mal frequentato, ciò sia detto senza alcuna allusione a fatti contro natura. Voglio riabilitare il lavativo dei nostri padri, voglio la sua glorificazione, la sua apoteosi, quantunque sia una di quelle cose che si tengono nascoste e delle quali si arrossisce per menzognero pudore" (Apothéose du lavement, del medico e filosofo dell’Ottocento Charles-Ernest Lasègne).

La bella e capricciosa Paolina Bonaparte Borghese, sorella di Napoleone, nel 1808 durante un viaggio al Col di Tenda ebbe una forte colica. Messasi a letto cominciò a fare il diavolo a quattro: per "sciogliere" il ventre voleva a tutti i costi un clistere di "rete di vitello", cioè fatto col brodo ottenuto dalla bollitura dell’omento di un vitellino da latte. Sgomento tra cameriere, segretari, ciambellani e corrieri al seguito: dove trovare a quell’ora di notte un vitello da latte? Finalmente uno dei tanti corrieri a cavallo inviati a raggera tutt’intorno torna con un minuscolo vitellino sulla sella. Le sue budella con tutta la "rete" dell’omento vengono messe a bollire in acqua. Il pancino della bella Paolina, lo stesso immortalato dal Canova a Villa Borghese, è salvo (da Joseph Turquan, Les soeurs de Napoléon, Paris 1908).
Ed ecco i consigli del medico Redi a un suo paziente cardinale: "Il mio povero consiglio sarebbe per vigilie, magrezza e stitichezza di ventre, acciocché Sua Eminenza potesse vivere (come spero e credo) una lunghissima vita… continuare l’uso dei Clisteri puri e semplici, astenendosi da quei Clisteri che noi altri Medici chiamiamo composti… E quando si dia il caso che non lo renda, ma le resti in corpo per lungo tempo, non se ne sgomenti, non se ne inquieti, ma l’abbia caro, carissimo, perché allora il Clistere fa il suo dovere ed opera il bisogno di Sua Eminenza con la piacevole intera umettazione delle fecce, senza violenza veruna" (dai Consulti medici, 1726).
Intanto l’amante Cassandro, quello che approfittava spesso del clistere alla sua donna, torna alla carica con Isabella:
CASSANDRO (a Isabella che si lamenta): Che hai, mia cara?
ISABELLA: La colica, ahi, ahi…
GILLES: Sarà invece la collera.
CASSANDRO: Presto, presto, Gilles, và dall’apotecario qui vicino e digli di portare un clistere che non sia stato usato da altri.
GILLES: Devo portare anche un vaso da notte?
CASSANDRO: Affrettati, e tu piccina mia và a distenderti nel letto nella posizione più adatta per ricevere questo sollievo. Ti manderò l’apotecario tra un minuto.

(dalla Médecine de Cythère di C.F. Ragot de Grandval, 1710-1784).
E se il paziente dopo il lavativo non paga l’apotecario? E’ materia da avvocati. “Esiodo, il più antico gnomografo della Grecia, scrisse ne Le opere e i giorni: date al mercenario la ricompensa che ha meritato. Piteo, re di Trezene e avo di Teseo, che visse trent’anni prima di Salomone, espresse lo stesso concetto". Partendo un po’ troppo da lontano con questi alati esempi storici e mitologici, l’avvocato Grosley cercò di convincere i giudici che…il clistere va pagato. L’accusa della sua cliente, l’infermiera Etiennette Boyau, durante il processo del 1746, aveva messo a rumore la tranquilla cittadina francese di Troyes, nella Champagne. La donna, in qualità di creditrice, aveva citato davanti al tribunale il canonico François Bourgeois, che non le aveva pagato i 2190 lavaggi intestinali da lei praticati in due anni. Possibile – avrà obiettato il giudice – che un uomo solo sopportasse tutte quelle irrigazioni? Sicuro, rispose la donna. C’erano stati giorni, ricordò il suo difensore, in cui aveva dovuto praticare anche sei clisteri al Bourgeois. "Il religioso era affetto – dirà l’avvocato mitologo con una diagnosi immaginosa che potrebbe causare una colica in un ematologo di oggi – da "lancinante sregolatezza di intestini e da quella specie di acredine del sangue che ne fa travasare i globuli rossi". Ma come andò a finire? Con una transazione extragiudiziale, direbbero gli avvocati odierni. Per venire incontro al debitore ed evitare le lungaggini del processo, la donna accettò di ridurre le sue pretese a soli 150 franchi, calcolando per difetto solo 1200 lavaggi. E anche così, sarà stato un colon pulitissimo…
Ridono, urlano e giocano come bambini Valcourt e Celestina, una giovane coppia alloggiata a Parigi in un economico albergo per artisti e studenti. A causa dello strepito che fanno vengono spiati attraverso le fessure delle assi sconnesse delle pareti dal loro vicino di stanza curioso. Ma questi resta senza parole quando vede che i due, completamente nudi, non fanno che praticarsi reciprocamente clisteri tutto il tempo. Un amore maniacalmente igienista che non transige sulla perfetta pulizia dell’intestino o piuttosto una sessualità sublimata e contorta? Ma il dottor Freud era ancora di là da venire (J. P. R. Cuisin, La vie des garçons dans les hotels garnis de la capitale, 1820).
Nel tetro carcere parigino della Bastiglia, già verso la fine del Cinquecento, ai carcerati venivano offerti servigi sanitari impensabili in altri stabilimenti di pena anche vari secoli dopo. Gli apotecari del carcere non solo distribuivano ai prigionieri infusi e decotti di erbe, non solo praticavano salassi e altri medicamenti, ma fornivano addirittura un completo servizio di lavaggi intestinali come se si fosse trattato di un ospedale. Lo sappiamo dalle memorie di un carcerato d’eccezione, il nobile René de Renneville, alla Bastiglia nel 1702. Alcuni suoi compagni di carcere, ricorda il Renneville, fingevano qualche malattia pur di avere il "conforto" del clistere di Stato, ovviamente gratis (A. Savine, La vie à la Bastille, Paris 1908).
"Qui giace il cardinale Dubois, che senza merito né nascita illustre, per mezzo di sordidi uffici, salì dalla siringa al titolo di Eminenza…" Così recitava un velenoso epigramma che gli avversari scrissero nel 1723 alla morte del prelato Guillaume Dubois, che da semplice figlio d’un apoticario si era elevato al rango di primo ministro di Francia, dopo una vita di turpitudini (da G. Normand e F. Mitton, Quatre maitresses du Régent, Paris 1911).
"Il Lavativo", commedia in cinque atti tradotta dal francese in lingua italiana (seconda metà del Settecento), è un titolo raro che sorprenderebbe qualsiasi storico del teatro. La pièce polemizza con Rousseau, forse ritenuto un filosofo sovversivo teorico del lavaggio intestinale alle belle donne altrui, ed ha come protagonista femminile Felicita, una bella ragazza amata in modo manifesto da Alessandro e, in modo più nascosto, da Egidio. Quest’ultimo ripete il ruolo un po’ maniacale che era ormai un leit motiv già utilizzato da altri lavori teatrali del genere "piccante". Insomma, introdottosi con furbizia in camera della donna desiderata, il torbido Egidio la scopre prona sul letto e a natiche nude, pronta per un clistere e, particolare più imbarazzante, con un libro di Rousseau in mano. E qui si verifica qualcosa di impensabile ai nostri tempi: Egidio, che desidera follemente la donna, le pratica un clistere abusivo. Seguono scene di gelosia. alti lai, sospetti su folletti maligni, querele, frati esorcisti, matrimonio riparatore (Piero Lorenzoni, op.cit.).
Hobby di moda, ormai divenuto tradizionale, per le belle donne francesi e di mezza Europa, così veniva visto il clistere dallo scrittore Lesage. Ecco che cosa scrive di una bella donna matura ma ancora piacente: "La signora Giacinta, benché piuttosto sfiorita, conservava ancora una certa freschezza. E’ vero che non risparmiava niente per mantenerla: oltre a prendere tutte le mattine un clistere, inghiottiva degli squisiti sughi concentrati…" (dalla Histoire de Gil Blas de Santillane, di Lesage, 1715).
"Viens me tenir lieu d’Apollon, Esculape dieu des Clystères…" scriveva nel 1744 il letterato Piron in un’ode goliardica e scatologica che, insieme alla pornografica Ode a Priapo, gli costò l’elezione ad Accademico di Francia. La volgarità dei versi sul dio greco è ben rappresentata sia dal titolo (L’étron royal, ovvero "Lo stronzo regale") che da questi esempi di versi: "Esculapio, dio dei clisteri, vieni a farmi le veci di Apollo. Che la tua cannula e il tuo stantuffo mi facciano cacare senza sforzo dei versi puzzolenti e sublimi, come quelli che escono ogni giorno dai culi untuosi dei nostri frati Minimi…" (dal volume La Médecine anédoctique, rif. da P. Lorenzoni cit.).
"Signori, se colui che per primo dette i nomi alle cose e assegnò loro delle qualità, avesse dato importanza, nobiltà e considerazione a ciò che è utile, non dovrei oggi riscattare uno strumento meraviglioso dall’ignoranza dei nostri pregiudizi e dall’ingiustizia del nostro disprezzo che l’hanno fatto relegare ignominiosamente nell’oscurità del nostro guardaroba fra tutti quei mobili ignobili che la buona educazione ordina di nascondere e che la delicatezza proibisce di nominare…"Su che cosa sta pronunciando l’orazione un oratore così forbito e ampolloso? Sulla siringa del clistere, in un curioso e prolisso saggio storico-letterario ("L’elogio della siringa") apparso nelle Memorie della Accademia di Nancy nel 1757 (dall’antologia di Claude de Saint-Hièble, cit.).
I Cadet, celebre dinastia di apotecari parigini, avevano bottega in rue Saint Honoré ed avevano servito lavativi a tutti i re francesi, ai cortigiani e ai primi ministri, compreso il cardinale Richelieu. Il loro famoso capostipite, Louis-Claude Cadet (1713-1799) era uomo molto colto e trovava il tempo di scrivere epigrammi arguti e satirici sul Journal de Paris, uno dei quali – del 1778 – autoironicamente considerava robaccia ("drogue") le operire di Cadet, dato che, come ammetteva l’autore, un "uomo che aveva sempre vissuto per servire il didietro" non poteva che completare la sua opera offrendo ai suoi lettori della carta igienica ("torches-cul"). (Dagli Anecdotes secrètes du Dix-huitième Siècle, Paris 1808).
Curiosi casi di "clisterofobia" e per di più ereditaria furono raccolti da Cabanès e Witkowski nella loro opera Joyeux propos d’Esculape (Paris, s.d.). Una donna aveva una tale avversione non si sa se per il lavativo oppure per il suo strumento, che – riferiscono – era capace di svenire solo alla vista di un clistere. Ma quello che è più curioso è che anche suo figlio, a cui la donna aveva evidentemento trasmesso questa sua strana fobia, si rifiutava di prendere clisteri. Una volta, però, alcuni medici d’ospedale lo vollero costringere con la forza, e nonostante le sue urla disperate e i suoi sforzi per divincolarsi, riuscirono a praticargli il clistere. Dopo pochi minuti il giovane cessava di vivere. L’aneddotica riferisce anche che un giovane aristocratico che aveva rifiutato strenuamente la siringa come strumento "vergognoso", morì "di crepacuore" dopo che il medico gli fece praticare con la forza un clistere.
Clistere politico. Durante i festosi e affollati carnevali di Parigi, alla fine del Settecento, migliaia di persone sfilavano lungo rues e boulevards la cosiddetta "processione delle siringhe" da clistere del Monsieur de Pourceaugnac di Molière, come riporta L.S. Mercier nel Tableau de Paris (Amsterdam 1782-1789). La siringa fu anche usata spesso nelle vignette satiriche, ma anche – nella realtà – in cortei pubblici quasi come un’arma allusiva per punire i politici corrotti, a cui veniva indirizzato un ben mirato getto d’acqua o di altro liquido.
Uno strano apparecchio idrosanitario a forma di bidet era presente nei padiglioni dei nuovi bagni di Parigi già alla fine del Settecento, come scrive il curioso cronista Louis-Sébastien Mercier nell’opera in dodici volumi Tableau de Paris pubblicata ad Amsterdam tra il 1782 e il 1789. "Vi si trova anche una doccia unica in Europa; si tratta di una doccia ascendente con cui si può fare a meno della siringa del clistere, perché fa le veci di un getto d’acqua e forma così con la sua forza rapida e ascensionale un clistere perfetto. Si può quindi lavarsi le budella a volontà e non c’è bisogno per questo né di stantuffo né di cannula. Poiché il lavativo comprende, credo, la metà della scienza medica, questa doccia ascendente compie in due ore ciò che dodici garzoni apotecari non riuscirebbero a fare in quindici giorni. Basta sedersi sulla chaise percée e l’irresistibile getto d’acqua sale, s’insinua a quattro pollici dall’ano e vi innaffia gli intestini con dolcezza, sicurezza e profusione".

"Senza i bagni, senza i clisteri, non avrei potuto sopportare l’esistenza [nell’esilio di Sant’Elena, N.d.R.] e, conformemente alle mie idee sul diritto dell’uomo al suicidio, avrei abbreviato i miei giorni". Sono parole di Napoleone Bonaparte , secondo quanto riporta il Berthe (Historique de la purgation, Paris 1909).
L’iconografia ottocentesca, sia seria che satirica, può scegliere finalmente tra gli strumenti più diversi per rappresentare sulle stampe e le enciclopedie popolari l’irrigazione intestinale. A parte la satira di vecchio tipo che sembra preferire la siringa a pistone, perché più facile da disegnare e nota a tutti, è ormai disponibile per disegnatori, divulgatori scientifici e umoristi anche il più asettico enteroclisma (nel ‘900 avrà serbatoio di vetro e lunga cannula di caucciù), come si vede in un bell’acquerello del tedesco Otto Schoff o in una vignetta umoristica tratta dal Musée grotesque in cui due vecchi coniugi in berretto da notte brindano alzando anziché i calici due enteroclismi di foggia arcaica colmi di liquido. La peretta di gomma, anch’essa della fine ‘800, è invece appannaggio delle riviste di divulgazione medica con serissime incisioni in bianco-nero. Fa eccezione un arguto acquerello dell’austriaco Geiger (1805-1880) in cui un serissimo medico, alle prese con l’enorme sedere della cliente, usa non la siringa né l’enteroclisma ma la pratica peretta di gomma.
Restano le inibizioni o i rifiuti categorici di alcuni pazienti per il clistere, sia siringa che peretta o enteroclisma. Una interpretazione in chiave psicoanalitica la possiamo dedurre per analogia dallo scetticismo mostrato da Sigmund Freud (Tre contributi alla teoria sessuale) di fronte alla ripugnanza da alcuni ostentata verso l’ano a causa della vicinanza ai suoi escrementi. "Non ha valore maggiore - scrive - dell’argomento che molte ragazze isteriche portano a giustificazione della ripugnanza del membro maschile, affermando che serve all’emissione dell’urina". 
https://nicovalerio.blogspot.com/2006/01/la-siringa-di-dio-va-dove-ti-porta-il.html
NICO VALERIO
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IMMAGINI.  Una incisione del Settecento; vari modelli di siringhe per clistere conservati in raccolte e musei; la divisa dello speziale che effettuava i “lavativi”; acquerelli sull’ossessione del clistere periodico dei collegi femminili (Helga Bode).

* NOTA. Questo testo è un saggio di storia della medicina e una ricerca sugli antichi rimedi popolari, sia pure in uno stile brillante. Non vuole dare indicazioni mediche pratiche valide oggi, tantomeno spingere a utilizzare clistere, enteroclisma, peretta o idro-colon-terapia. Anzi, i lettori sono invitati a non far ricorso a questi metodi, o a utilizzarli con estrema prudenza e sotto controllo medico, e a risolvere eventuali problemi digestivi, dopo consulto di uno specialista laureato, per mezzo di un’alimentazione sana e naturale. Checché ne pensassero gli Antichi, il clistere è pur sempre un mezzo artificiale e traumatico per l'intestino, per niente naturale per l’uomo: può irritare le pareti intestinali, sbilanciare la flora batterica, rendere irregolare il funzionamento dell’intestino. La risposta giusta è seguire una alimentazione sana, varia e naturale, quanto più possibile preventiva e protettiva, fondata su cereali integrali, verdure, legumi, frutta, semi oleosi, e pochi cibi animali, seguendo p.es. i miei due blog specializzati di alimentazione sana e naturale e di dieta vegetariana scientifica, che coniugano il meglio della Tradizione con le scoperte della Scienza moderna.

AGGIORNATO IL 22 DICEMBRE 2021

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