CHIESA e vaccino. Una storia ricca di sorprese, tra medici, preti, papi e filosofi
Vaccinazioni in Campidoglio |
Le donne della Circassia
erano così belle che i padri le concedevano agli harem e alle corti di tutto il
Mondo. Da loro venne l’uso, utilissimo all’Umanità – scrive un paradossale Leopardi
nelle Operette Morali – di prevenire con un’inoculazione il vaiolo che devasta
i volti.
E se dal male talvolta viene
il bene, nessun incipit leggendario è più adatto a introdurre l’intricata e
contraddittoria storia del vaccino tra Settecento e Ottocento, tanto più se la
si osserva come dibattito di “tutti contro tutti” tra Chiesa, filosofi, uomini
di scienza, e anche all’interno della Chiesa stessa.
Né i virus, né tantomeno il
loro uso preventivo, si conoscevano nel primo Settecento, quando inizia la
nostra storia. La nuova pratica appare esotica, una vera magìa, perfino ai
medici. Si può immaginare, perciò, quanto la novità paradossale e scandalosa d’innestare
nei bambini e adulti sani un “male”, nella speranza di ottenerne un “bene”,
cioè d’evitare una malattia ben più grave capace di uccidere o deturpare per
sempre, potesse dividere la società d’allora, dominata dalla prima grande
divaricazione nella Storia tra nuova civiltà della Scienza, già mitizzata, e
antica o eterna Morale, tra cieche paure e altrettanto cieca fiducia nel
progresso e nella modernità.
La Chiesa è contraria o
favorevole alla inoculazione? Ed è vero che tra gli intellettuali laici si
manifestano – contrariamente a una diffusa vulgata – differenze, riserve,
incomprensioni ed entusiasmi analoghi a quelli presenti nella Chiesa? E qual era il sentimento dell’opinione pubblica colta, un’élite,
dato che la quasi totalità del popolo era analfabeta?
Prepariamoci a correggere non pochi stereotipi nel
districarci in tempi in cui ancora antico e moderno convivono, in un’Europa
terrorizzata che per la prima volta nella Storia tenta di rispondere a
un’epidemia devastante. Un virus asiatico anche il vaiolo (“vajolo arabo” lo
chiama anche la Chiesa), dalla mortalità altissima: in media il 30 per cento,
ma nei bambini arrivava fino al 90 per cento. Per questo, a differenza
dell’attuale Corona virus, a essere
vaccinati erano per lo più i bambini. Eppure le proteste degli adulti non
furono inferiori a quelle di oggi.
Le due inoculazioni: due “scienze” a confronto
Per
la prima volta si susseguono in un confronto su larga scala, lungo il
Settecento e l’Ottocento, come in una grande ricerca sperimentale, due metodi
di prevenzione: quello empirico antichissimo in uso nelle campagne d’Oriente, e
quello empirico-sperimentale della nascente medicina scientifica europea.
Il
primo metodo, in vigore per tutto il Settecento, è la rudimentale
“variolizzazione” (dal nome latino del virus del vaiolo, Variola virus), “inoculazione” o “innesto” da uomo a uomo, mediante
il graffio d’un pennino sporcato col virus del vaiolo umano preso dalle pustole
dei malati leggeri o in via di guarigione. Nessuno sa come e perché funziona. È
il metodo millenario che alla fine del Seicento dal lontano Oriente arriva al Caucaso, in Circassia, e di qui a Salonicco
in Tessaglia (Grecia, allora turca ottomana), poi a Costantinopoli; infine
grazie a due geniali medici italiani e figli di italiani, nati nelle isole veneziane
dell’Egeo, Jacopo Pilarino ed Emanuele Timoni, che studiano e
migliorano l’imprecisa tecnica di “mammane” cristiane-greche a Smirne e
Costantinopoli e creano un metodo razionale che sarà adottato per un secolo in
tutt’Europa e in America. Per tutto il secolo dei Lumi, quei “graffi”
funzionano. Se va bene, come nella maggior parte dei casi, la variolizzazione
causa una breve malattia benigna e un bubbone dov’è avvenuta
l’inoculazione, che poi regredisce a grande cicatrice. E rende immuni e senza
cicatrici sul volto o sul corpo, e non è poco. Ma se effettuata da inesperti o
se qualcosa va storto, altro che prevenzione: persone sane sono infettate di
vaiolo, muoiono o restano deturpate per tutta la vita, diffondendo ancor di più
l’epidemia. Quindi tutti torti non li hanno quei nobili o contadini, religiosi
o laici, colti o ignoranti, tradizionalisti o modernisti, che per paura
rifiutano di farla praticare ai propri figli.
Il secondo metodo, quello del “vaccino” (dal lat. vacca) si diffonde ovunque e con
rapidità dall’Ottocento, e s’impone come più sicuro ed efficace della
variolizzazione. È ottenuto non
dall’uomo malato, ma dalle mammelle delle vacche infette del vaiolo bovino che
è un virus poco aggressivo sull’uomo. Il medico inglese Edward Jenner inocula
per la prima volta nel 1796, e mette a punto, prova e pubblica uno studio scientifico
convincente, accettato dalla Società di medicina (1798). Ma, anch’egli come
Pilarino non parte da zero, fa tesoro di numerose osservazioni, precedenti
anche di vent’anni, di tanti che avevano osservato l’immunità delle mungitrici
di vacche affette da vaiolo: allevatori, agricoltori, medici, perfino un religioso
protestante.
I due
metodi, uno dopo l’altro, rappresentano quasi simbolicamente il passaggio dalla
“Scienza antica” alla “Scienza moderna”. La Scienza antica e tradizionale, individualista,
intuitiva, ancora con tracce di magia e superstizione, ma pur sempre partita dall’osservazione,
da categorie, idee e ragionamenti (come aveva insegnato Ippocrate), tramandata
per generazioni da medici rurali decaduti a guaritori contadini o “mammane”
ignoranti, che però avevano ereditato qualcosa dai dispersi segreti degli
Antenati sapienti. E poi la prima Scienza moderna, fondata su ripetute
osservazioni, sperimentale, razionale, anonima, prudente, che non parte da
zero, ma adatta e perfeziona la secolare tradizione contadina e vi aggiunge più
precise e ripetute prove, ipotesi da formulare e avvalorare, dimostrazioni, logica,
deduzioni, correzioni degli errori, ripetibilità dell’esperimento; e poi numeri,
tanti numeri, come ha imposto la svolta di Galileo.
Pio VII Chiaramonti |
Ma sia la variolizzazione, sia la successiva vaccinazione, non sono accolte bene, né dalle Accademie di medicina, anche le più laiche, né dalla Chiesa cattolica e dalle altre Chiese cristiane. "Superstizione popolare", "pratiche bestiali, sataniche", erano i commenti più ricorrenti. E anche i mussulmani, gli islamici d'allora, dell'Impero Ottomano, erano diffidenti. Quindi non era la religione a opporsi alle varie forme di prevenzione del vaiolo, nonostante quello che si scrisse in seguito; ma la diffidenza popolare e colta verso la scienza, l'istintiva prudenza e paura del nuovo, specialmente quando si tocca in base a nuove teorie direttamente il corpo umano.
Mettiamoci nei panni degli uomini dell’epoca: l’idea d’inoculare in un bambino sano, più di rado in un uomo adulto, un terribile virus nella speranza di prevenire la malattia da questo provocata, sembra insensata e diabolica. Non solo ecclesiastici tradizionalisti, ma medici, farmacisti e speziali, intellettuali illuminati e progressisti, sono all’inizio per lo più contrari o perplessi. E figuriamoci nella Roma dello Stato Pontificio e nella Chiesa d’allora – ironizzeranno gli anticlericali – refrattarie a ogni novità fuori dell’ordine naturale, come si legge nei “Sonetti” del Belli. Ma stavolta, come si vedrà, questo stereotipo non funziona.
È
giusto, etico, oppure contravviene alla legge di Dio, alla Tradizione e al
diritto naturale, inserire un pericoloso virus umano (variolizzazione) o addirittura
animale (vaccinazione) nel corpo dell’uomo? Ed è opportuno – ci si chiede in
presenza di questi dubbi e pericoli fisici e morali – vantarsi di “salvare” in
questo modo vite umane? O non si fa che ostacolare il naturale decorso della
Natura e gli imperscrutabili disegni divini che anche nell’apparente male
tendono sempre al bene?
Temi
da fini teologi, moralisti o scienziati d’un tempo, non certo da analfabeti.
Perciò è assai curioso che nei suoi “Sonetti” romaneschi il poeta satirico Giuseppe
Gioachino Belli, impiegato in Vaticano (sarà perfino funzionario alla Censura e direttore della
Biblioteca),dedichi nel 1834 il sonetto “Er linnesto” all’opinione che sulla
vaccinazione ha un immaginario popolano romano che addirittura s’interessa di
vaccini e morale cattolica, in tempi in cui oltre il novanta per cento della
popolazione è incapace di leggere e scrivere. Ebbene, l’idea che il fittizio
popolano ha del vaccino è perentoria: è contro la Natura. Perché proprio ad essa Dio ha affidato il compito di “mandare al cimitero chi vuole”. E
invece, avverso questo disegno divino, imprecisati “medici massoni”,
oltretutto per futili motivi estetici (evitar loro le cicatrici sul viso),
impedirebbero ai bambini di ammalarsi e morire di vaiolo, e perciò, innocenti
come sono, di andare in Paradiso! Insomma, un crimine. Per fortuna – continua a
sproloquiare il Belli sotto i consunti abiti del popolano – è arrivato papa Leone XII, il restauratore del vecchio
ordine, che metterà le cose a posto, cominciando col vietare il vaccino. Che
Dio lo benedica!
È
chiaro che l’autore per rendere la satira più arguta mette in bocca a un presunto popolano romano idee proprie
inconfessabili o ricavate dalla società romana più conservatrice, magari orecchiate
nelle anticamere da un vecchio ecclesiastico misoneista più papalino del Papa,
reso loquace dall’anonimato e da un buon bicchiere di vino d’Orvieto. Del resto
l’avversione alle “diavolerie scientifiche” moderne, è un topos della satira.
Eppure nel 1834 il Belli doveva sapere che l’inoculazione preventiva del vaiolo
era ormai accettata dai medici e perfino dai Papi, anche i più prudenti (v.
oltre), come l’unico modo per salvare vite umane e stroncare la terribile
epidemia.
In realtà, come vedremo, nessun Papa ha usato
queste argomentazioni, neanche l’intransigente papa Leone XII della Genga qui invocato, severissimo cultore dei costumi
cattolici più tradizionali; ma che abrogò solo l’obbligatorietà del vaccino, oltretutto
fino ad allora non messa in pratica, senza proibirlo, pur potendolo fare. La
“malafede” satirica è confermata in una piccola nota del Belli: «Il
vajuolo arabo. Si allude all’abolizione fatta da Leone XII dell’istituto di
vaccinazione ecc., ed allo scioglimento de’ sudditi della Chiesa dall’obbligo
di esibirgli i loro figliuoli». In un’altra sua nota la tesi che il “vaccino
ruba il Paradiso ai bambini”, che suona d’un cinismo senza pari, è attribuita,
come per scusarsi, a un consulente teologico d’eccellenza del Papa, ovviamente dopo
la sua morte: «Massima favorita della Ch. M. del Cardinale Severoli, tenuto da Leone XII per
l’oracolo dello Spirito Santo». Qui il sarcasmo, l’ironia satirica, serve a
denotare il distacco del Belli, vero "Dottor Jekyll e Mr Hide", da
questo personaggio portato in palmo di mano dal pontefice, per motivi che
diremo in seguito, legati al Conclave.
Leone XII Della Genga |
La prima
leggenda da sfatare, perciò, è quella di papa Leone XII. Le cronache, gli
editti e i documenti – come vedremo – escludono che la Chiesa al suo vertice la
pensasse sull’inoculazione come il popolano immaginario dell’ambivalente Belli.
Si possono avanzare alcune ipotesi sull’origine di tale leggenda. L’autore dei
Sonetti, da buon conservatore è contrarissimo al vaccino, ma si vergogna di
apparire passatista, e perciò si nasconde dietro lo scudo della satira
attribuendo la propria opinione a uno strano popolano inventato che sotto la
lingua greve nasconde concetti etici e teologi da monsignore. Macché, sotto
sotto, è cripto-illuminista, come si vede anche dalle note del Sonetto, e
prende in giro i conservatori. Acqua, acqua: Ma la sorpresa è che può esistere
un’altra interpretazione, come dire, “psicopolitica”, forse la più fondata, che
ha a che fare con le idiosincrasie dell’autore e perfino con gli equilibri
politici della Chiesa scaturiti dalla movimentata elezione di papa Leone.
Nel Conclave del 1823 in Quirinale il favorito
card. Antonio G. Severoli del
partito degli “zelanti”, rigoristi intransigenti fautori d’una restaurazione
religiosa della società e della riaffermazione identitaria della Chiesa dopo il
“turbine laicista napoleonico”, arriva a soli sette voti dall’elezione; ma è
bloccato dal colpo di scena del veto (jus
exclusivae) dell’Austria. L’altro partito è quello dei moderati, favorevoli
al riformismo del Segretario di Stato di Pio VII card. Ettore Consalvi. Il giorno dopo è la Francia a porre il veto a
qualsiasi candidato degli zelanti: si sa che vorrebbe il card. Giulio M. della Somaglia, che si era
definito durante l’occupazione napoleonica “cittadino Somaglia”.
Un
“papa giacobino” allarma tutti, zelanti e moderati. Serve una mediazione. Ed
ecco sorgere dal nulla la candidatura del card. Annibale della Genga, vecchio, malato e cadente, quindi – pensano
tutti – destinato a durare poco. Ripiego che mette tutti d’accordo, in
quanto Genga è “zelantissimo”, reazionario e amico di Germania e Austria. Così è eletto papa, come male
minore, con i voti determinanti del Consalvi, dopo che si è dissolta la
candidatura del candidato moderato, il Castiglioni. Prende il nome di Leone XII.
«Avete
eletto un cadavere» dirà appena eletto. Molto malandato, fa sperare i cardinali
in una rapida dipartita; ma poi una volta Papa, forse con l'aiuto dello Spirito
Santo, rifiorisce come per miracolo. Tiene fede, invece, all’aspettativa della
corrente intransigente, anti-francese e anti-liberale che voleva una radicale
restaurazione dei valori religiosi e spirituali nel già ultra-conservatore
Stato della Chiesa, a suo dire troppo secolarizzato.
Sulla
sincera religiosità e onestà del nuovo Papa nessuno ha qualcosa da dire, ma i
cattolici liberali criticheranno sul piano politico la velleità di quasi
costringere alla fede per legge. I liberali del Risorgimento lo dipingeranno giustamente
come uno dei Papi più moralisti e meno tolleranti della Storia, capace
d’innumerevoli provvedimenti che impongono a tutti i sudditi il rigore d’una
morale ortodossa con la stessa forza che i sudditi romani gli avevano visto
esercitare come Cardinal Vicario. Tenta di ricreare il clima morale d’un Ancien
régime e di trasformare Roma nella “città santa” d’uno Stato teocratico fuori
tempo, una lugubre città caratterizzata da continue processioni, penitenze e
digiuni obbligatori, e i pochi teatri chiusi (a meno che non mettessero in
scena opere edificanti di santi).
Con un
Papa così fanatico, che proibiva perfino di bere nelle osterie la popolare
“fojetta” (tradizionale piccolo boccale da vino senza manico), costringendo gli
avventori a bere in strada (v. sonetto “Li cancelletti”, del Belli), cronisti e
storici laici dell’Ottocento – come non capirli? – dettero per scontato che quando
abrogò l’Editto “liberale” del predecessore
Pio VII avesse inteso proibire severamente il vaccino. Così, Inglesi e
Americani, da sempre anti-papisti, anche di recente, hanno sparato a zero su
Papa della Genga. Ma sono scivolati sulla buccia di banana della vaccinazione.
«Nella sua insensata rabbia contro il progresso – aveva scritto Georgina S. Godkin, storica del
Risorgimento italiano, nel 1880 – vietò la vaccinazione. Di conseguenza il
vaiolo durante il suo regno devastò le province romane». Così tutti noi abbiamo
creduto a lungo. Ma era un’affermazione sbagliata, almeno nella prima parte.
Il
luogo comune errato o impreciso era fino a ieri così radicato che il 27 gennaio
1986 in una conferenza ad Albany (New York) il prof. Daniel Maguire, della Marquette University, tira in ballo ancora
una volta la presunta opposizione della Chiesa ottocentesca al vaccino (oltretutto
lasciando intendere a contrario che
tutti i laici fossero pro-vaccino): «Chiunque si fa vaccinare cessa di essere
figlio di Dio», dice il conferenziere riportando presunte “parole di Leone
XII”. Perché in fondo «il vaiolo è un giudizio di Dio. La vaccinazione è una
sfida al Paradiso». Parole che Papa della Genga avrebbe pronunciato nel 1829,
l’anno stesso della sua morte. E questa citazione con la condanna senza appello
dei vaccini da parte della Chiesa continua ancor oggi, dopo 200 anni, a essere
citata su giornali e siti internet anglofoni.
Ma il
gesuita americano Donald. J. Keefe,
che ha il pallino dell’investigazione, non potendone più, si è messo a
controllare. E ha scoperto che per quante ricerche siano state fatte da
studiosi ecclesiastici e laici, difensori della Chiesa e acerrimi nemici, mai
nulla è stato trovato che si possa attribuire a dichiarazioni orali o scritte
di papa Leone in questi o analoghi termini sui vaccini. Del resto l’inesistente
non può essere provato: deve esser cura di chi afferma qualcosa provarlo.
Ebbene, mai questo è stato fatto. Tutti gli autori dell’attribuita citazione si
citano per pigrizia l’un altro, senza che si possa mai arrivare a una fonte
primaria certa. Così degli innumerevoli testi che attribuiscono a Leone XII il
divieto di vaccinazione contro il vaiolo – scrive Keefe su “Fellowship of
Catholic Scholars” – nessun documento ufficiale o ufficioso, e neanche
una qualsivoglia testimonianza o indiscrezione documentata di terzi, riporta
tali affermazioni.
Sia
chiaro, vogliamo fare gli avvocati del diavolo: essendo nota la sua posizione
integralista, non si può escludere in teoria che papa Leone possa aver pensato
o perfino pronunciato le parole citate da Maguire, magari in privato, come
monsignore o cardinale (come Papa è più improbabile: per chiunque sarebbe stata
indiscrezione troppo ghiotta per tacerla). Ma ciò non risulta da nessun testo.
E sì che – ecco la motivazione caratteriale fondamentale – una personalità così
decisa non avrebbe certo avuto scrupoli per dire in pubblico chiaramente no
all'inoculazione e al vaccino, come non ne aveva per decidere e attuare con
piglio decisionista tanti altri provvedimenti politici ben più duri.
E poi
sono i fatti, anzi, i non-fatti che parlano. Pur potendo, Papa della Genga non fa nulla di concreto per vietare la vaccinazione;
ma si limita ad abrogarne l'obbligatorietà con Circolare legatizia pontificia del 15 settembre 1824,
probabilmente per i mugugni di basso clero e popolo (non più dei medici, ormai,
da quando la variolizzazione era stata sostituita dal più sicuro vaccino).
Ma sì, anche i Papi (e i loro ispiratori fidati) vaccinano
Ma
come, la vaccinazione era obbligatoria nei domini della Chiesa, prima di Papa
Leone? E da quando? Certo, il vaccino di Jenner era stato reso formalmente
obbligatorio nello Stato Pontificio nel giugno 1822, dopo due anni dallo
scoppio dell’ennesima epidemia di vaiolo, da papa Pio VII, Barnaba Chiaramonti, con l’Editto del Segretario di
Stato, Consalvi, per le pressioni o
il parere ascoltatissimo, nientedimeno, dell'influente conte Monaldo Leopardi, padre del poeta,
grande propagandista del vaccino. Ma l’Editto è di fatto inefficace: la doppia dipartita
del Consalvi e del Papa inducono i
maldisposti burocrati a non darne più esecuzione.
Perciò
papa Leone XII abroga un Editto Consalvi inattivo. Poi conferma, pur potendolo
non farlo, l’obbligo dei medici dello Stato della Chiesa di praticare la
vaccinazione volontaria, cioè su richiesta dai sudditi, gratuitamente. «Rimane
obbligo a Medici e Chirurgi condotti di eseguirla gratuitamente [la
vaccinazione antivaiolosa, NdR], a quanti vogliano prevalersene, essendo questa
la cura ed il preservativo di una malattia alla quale, come a tutte le altre,
essi hanno l'obbligo di riparare». Anche ai più increduli americani di oggi,
come anche alla storica inglese Godkin, la Circolare di Leone XII del 1824
dovrebbe dunque parlar chiaro: addirittura conferma per decreto che i Medici se
richiesti sono obbligati a vaccinare, e che solo il vaccino previene il vaiolo.
Anzi,
c'è una curiosa coda in quest'ultima frase, che se papa Leone fosse stato in
modo forsennato anti-vaccino non avrebbe aggiunto. Perché ricorda ai medici
"l'obbligo di riparare" questa malattia, pur "data da Dio",
come dicevano preti e teologi anti-inoculazione, riconoscendo al vaccino di
essere "la cura ed il preservativo". E se l'analisi logica non è un'opinione,
l'ultima frase tradisce addirittura una sua posizione in teoria non contraria.
Ma poi, un papa duramente anti-vaccino avrebbe mai conferito l’onorificenza pontificia
dello Speron d’oro al primo dei medici vaccinisti, il milanese Luigi Sacco, detto il Jenner italiano,
primo teorico della vaccinazione di massa? Insomma, verrebbe quasi da pensare
che papa Leone nel suo provvedimento si sia in realtà barcamenato, abbia
mediato diplomaticamente tra due posizioni presenti nella Chiesa. E tutto
questo il Belli, non il satirico, ma il serio funzionario del Vaticano, non
poteva ignorarlo.
È
vero, però, che dalla liberalizzazione di papa Leone scaturirono conseguenze pratiche,
cioè sanitarie, ben oltre le parole
della Circolare, come lamentò – per prudenza molti anni dopo la morte di Papa
Leone, in una Relazione scientifica del 1836 – il medico cattolico prof. Giacomo Tommasini, capo della Commissione delle Vaccinazioni di
Bologna, quindi suddito del Papa. Ecco perché la “libertà di vaccinazione”
ristabilita da Leone XII al posto del mai praticato obbligo vaccinale dell’Editto
Consalvi, fu interpretata non solo dal popolano del sonetto del Belli e dagli stessi
medici dello Stato della Chiesa; ma anche nella “Storia d’Europa nel secolo
decimonono” da uno storico del calibro di Benedetto
Croce (che con intelligenza guarda non alla lettera d’una circolare
legatizia, ma alle sue pratiche conseguenze storiche e sociali), come un segno
di minor interesse della Chiesa alla profilassi anti-vaiolo, anzi, un invito dissimulato
a ridurne la diffusione. E, infatti, questo lassismo ebbe effetti
epidemiologici: la successiva ondata epidemica del 1828 nella piccola Bologna
causò 553 morti, e molte altre vittime una terza ondata nel 1835.
Eppure,
da laici e liberali dobbiamo riconoscere che lo Stato della Chiesa in questo,
solo in questo, non era peggiore di altri Stati, compresi quelli liberali e
anticlericali. “Libertà” e non “obbligo” era allora il principio vigente in
quasi tutti gli Stati d’Europa, inclusa la Gran Bretagna che il nuovo vaccino
aveva creato. Nel Regno di Sardegna la vaccinazione diventa obbligatoria solo
per i militari, con tanto di premi per i medici (Lettere Patenti 1819); ma nel
Regno d’Italia (legge Crispi) solo nel 1888, per i neonati.
Dopo
il plauso del papa illuminista Benedetto
XIV Lambertini e il salto in avanti di Pio
VII con un Editto sul vaccino che resta sulla carta, poi abolito da papa Leone XII, a ridare slancio alle
vaccinazioni nello Stato della Chiesa sarà papa Gregorio XVI, Bartolomeo Cappellari, di Belluno, cioè “austriaco”
per i monsignori romani, ingiustamente satireggiato dal Belli per pura
antipatia e futili motivi – dalle grandi cene (“magnate”) alla bruttezza – in
ben 273 “Sonetti” ("A Papa Gregorio je volevo bene, perché me dava er
gusto de potenne di’ male", si legge in un appunto trovato fra le sue
carte). E invece, papa Gregorio crea la Congregazione speciale di Sanità
(1834), comincia a vaccinare dando qualche esecuzione pratica all’Editto Consalvi
e dispone la vaccinazione obbligatoria per i detenuti. Dopo di lui, papa Pio IX, Mastai Ferretti delega i Comuni. Per esempio il Comune di Roma – si legge
in un manifesto del 1848 – espone un programma di vaccinazione, parrocchia per
parrocchia, in Campidoglio, non solo gratuita, ma anzi “retribuita”. Se il
vaccinato torna dopo otto giorni e il medico vaccinatore ne constata l'esito
favorevole, è premiato con un “papetto”, moneta d’argento di 2 paoli nota a
Roma anche come “prospero” o “lammertini”, dal nome dell’amatissimo Papa che vi
è raffigurato. Solo che il popolo non risponde e anche i poveri si rifiutano,
insospettiti proprio dal premio: va a finire che si vaccinano impiegati,
“minenti” (popolani arricchiti) e sparute élites dirigenti.
La grande disputa tra filosofi, medici, scienziati e religiosi
Ma
che ruolo hanno gli intellettuali nella discussione? Sono i primi animatori. La
polemica divide i pochi sapienti e letterati, religiosi e laici, quando le
prime scoperte cominciano a essere prese in considerazione dalla medicina, cioè
dalla prima metà del Settecento. Umanisti e scienziati di tutt’ Europa si
entusiasmano della variolizzazione: fatti i conti, si risparmiano parecchie
vite umane.
Il
matematico svizzero Daniel Bernoulli
nel 1760 mostra in uno studio statistico presentato all’Accademia delle Scienze
di Parigi che il cittadino d’una grande città ha una probabilità tra 1/4 e 1/8 di morire di vaiolo; ma solo 1/200 di
morire di variolizzazione. Gli risponde il filosofo enciclopedista Jean d’Alembert, che fa notare l’atroce
contrasto tra proiezione statistica e principio morale, argomento usato spesso
anche dalla Chiesa. La morte diventa un numeretto? Ai parenti dei deceduti
variolizzati sarà di nessun conforto, anzi motivo di disperazione ulteriore,
sapere che sono morti per una “giusta” e raffinata causa scientifica (i
misteriori “effetti avversi” di cui tiene conto la probabilità del prof.
Bernoulli), anziché per una “ingiusta” e rozza causa naturale.
Per
gli Illuministi, però, la variolizzazione è una sorta di miracolo laico: gli
artifici dell’intelligenza umana e il metodo scientifico sono il Progresso.
Peccato che le “mammane” contadine della Tessaglia e i medici italiani che le
osservano e studiano, sembrano lasciar fare tutto alla Natura.
Eppure,
con tutti i suoi rischi la variolizzazione è patrocinata da intellettuali
milanesi di prestigio, tra i quali Cesare
Beccaria (“pratica vantaggiosissima”), Pietro
Verri (“si tratta o di lasciar
perire o di conservar la vita alla decima parte del genere umano”, Caffè,1766)
e dall’abate poeta Giuseppe Parini, insieme cattolicissimo e
illuminista, che in una prolissa e illeggibile ode “L’innesto del vajuolo” (1765)
critica il fatalismo e la mancanza di prevenzione di chi ritiene questo, come
ogni male, ineluttabile: «Oh, debil arte, oh mal secura scorta / che il mal
attendi e no’l previeni accorta».
Anche
al Papa l’innesto diretto del vaiolo umano sembra ammissibile e da consentire,
perché naturale, malgrado i non pochi effetti avversi. L’innovatore card. Prospero Lambertini, Benedetto XIV,
caro agli intellettuali nord-italiani ed europei (Voltaire stravede per lui), ha tutto il tempo – morirà nel 1758 –
di prender parte come sostenitore al grande dibattito che infiamma l’Europa. Molto
favorevole in via di principio, ma in pratica moderatissimo. Segue il suo
teologo di fiducia, l’illuminato sacerdote Ludovico
Antonio Muratori. I tempi – dice papa Lambertini – non sono ancora maturi,
e per far accettare questo “preservativo” bisognerà aspettare più d’un papa. In
fondo, i papi sono gli ultimi a dover innovare in queste cose. «Se io fossi
imperatore o re – scrive all’amico Giovanni
Bianchi, esponente dei medici contrari
– l’inoculazione, in vista de’ vantaggi che vi scorgo, sarebbe ormai ammessa
ne’ miei Stati. Ma non voglio scandolezzare li timidi e li deboli». Insomma,
sì, certo, un dono del Cielo; ma non è il momento. In pratica, no. E' la nuova
impostazione modernista, o non piuttosto la vecchia attendista di sempre?
Il
fatto è che la Chiesa è divisa e incerta, ma non strenua oppositrice come
sosterranno poi liberali e anticlericali nell’impeto della passione politica. I
Gesuiti, sempre attenti alla scienza, recensiscono con favore e incredibile
tempestività la prima Relazione scientifica del dottor Jacopo Pilarino nel
1715. Nello stesso anno gli efficienti padri della Compagnia di Gesù cominciano a sperimentare l'inoculazione sugli
indigeni delle loro missioni in America del Sud, anticipando le colonie inglesi
e francesi del Nord, dubbiose fino al 1777. Anzi, poiché l'innesto del vaiolo
viene dall’Oriente, fanno dell’ironia sui cattolici anti-innesto: «Sembra quasi
che temano che col vaiolo sia inoculato anche l’islamismo!», scrivono col
consueto acume..
In
effetti questa sembrava la principale preoccupazione dell’Occidente cristiano,
compresi alcuni medici, fino al tardo Settecento. A Londra il predicatore
anglicano rev.Edmund Massey fa
stampare a grande richiesta nel 1722 il durissimo “Sermone contro la pratica
pericolosa e peccaminosa dell'inoculazione” che tanto successo aveva provocato
tuonato dal pulpito della chiesa anglicana di Saint Andrew’s Holborn.
L'inoculazione non è cristiana – sosteneva – perché l’uomo non ha il diritto di
infliggere malattie ad altri o di decidere in materia di vita o di morte. Solo
a individui di religione superstiziosa e fatalista, l'inoculazione può sembrare
ragionevole. Dove non si conoscono le dottrine della Salvezza, e si confonde la
Provvidenza con l'assurda credenza di una Fatalità, non c'è da meravigliarsi se
gli uomini si abbandonano a pratiche empie o irragionevoli.
Anche
Voltaire, dall’altro versante, crede
di sapere perché i preti sono contro l’inoculazione: è per pregiudizi teologici
e perché è una pratica non cristiana che proviene dagli “infedeli”, e che “può
avere successo solo tra gli islamici” (“L’inoculazione del vaiolo”, Lettere
filosofiche 1734). Come pure sostenevano – gli opposti coincidono – il
rev.Massey a Londra e l’inascoltato cappellano di lady Montagu, che non era
riuscito a impedire a Costantinopoli l’inoculazione del di lei figlio suggerita
dalle mammane greco-cristiane e dagli studi dei dottori italiani Pilarino e
Timoni.
Ma
sia il predicatore anglicano (contrario), sia l’anticlericale illuminista
Voltaire (favorevole), ignorano che paradossalmente l’innesto che dovrebbe
proteggere dal “vaiolo arabo” è poco praticato dai “fatalisti e irragionevoli”
arabi. Infatti da testimone oculare, il cristiano medico Pilarino in una
relazione alla Royal Society di Londra aveva scritto nel 1715 che nell’ottomana
Costantinopoli erano piuttosto i Cristiani a volersi far variolizzare, come si
faceva da tempo in Grecia (Salonicco) grazie alle mammane greco-cristiane, le
stesse poi incontrate nella capitale ottomana, non i mussulmani. “Solo i
Turchi, così assuefatti alle loro nozioni sulla predestinazione, e così
ancorati agli antichi pregiudizi, trascurano di trarne vantaggio"
(Philosophical Transactions). La stessa moglie dell’ambasciatore inglese, lady
Montagu, fanatica della variolizzazione, anzi, la più tenace propagandista,
abita nel quartiere cristiano di Costantinopoli.
Ai
fatalisti (contrari) Cristiani della Predestinazione, perciò, alcuni scienziati
come il filo-inoculista Charles M. de la
Condamine obiettano con ironia: «Ma si potrebbe rispondere anche che chi è
inoculato era predestinato all’inoculazione!» (1754). Anche Voltaire la pensa
così. I Gesuiti non credono nella predestinazione e approvano i modernisti; ma
poi diventano più prudenti, fanno un passo indietro e si ritirano dal
dibattito: troppo spinoso e imbarazzante trovarsi dalla parte dei mangia-preti
e di Voltaire.
Insomma,
un grande equivoco culturale. Altro che inoculazione come “pratica mussulmana”:
era semmai vero l’opposto. Anche perché il lontano Oriente dove l’innesto era
nato in tempi remotissimi era quello dell’India (graffi sulla pelle) e della
Cina (aspirazione di polveri dal naso), non certo il più recente Impero
Ottomano. I Gesuiti e il medico italiano avevano ragione.
Voltaire
non sa nulla dei medici italiani Pilarino
e Timoni, i veri scopritori e primi studiosi della variolizzazione, e dando
origine a una vulgata erronea che dura fino ai giorni nostri, loda l’innesto
come cosa “inglese”(e intende lady Montagu…). Denuncia l’oscurantismo di gran
parte di medici e preti. “Perché lo Stato – lamenta – aspetta il loro
beneplacito? Non è forse chiaro ormai che l’esperienza inglese è positiva?”
(Lettres cit.).
E
intanto la polemica divampa e si espande. Sono contrari alla variolizzazione,
nei primi decenni, buona parte del clero di base cattolico, anglicano,
protestante, e perfino l’opinione pubblica laica di Francia, già ricca d’una
evoluta borghesia, ben più razionalista di quella italiana. L’abate Jacquin in una “Lettera
sull’inoculazione” si dice del tutto contrario non solo all’innesto, ma anche a
qualsiasi forma di prevenzione della malattia. Gli si contrappone il
razionalista cancelliere Ètienne-Dénis
Pasquier, favorevole. Denuncia: preti e popolo devoto sono convinti
addirittura che “somministrare a un essere umano una malattia che forse non gli
verrebbe naturalmente, significa tentare Dio”. Una nuova forma di
superstizione, insomma.
Sono
contrari i medici cattolici, come Philippe
Hecquet che nelle “Ragioni per dubitare dell’inoculazione” (1722) sostiene
che “è una pratica riprovevole, contraria al potere divino, che non ha nulla di
medico e somiglia alla magia”. Intanto i parroci bretoni riuniti in assemblea
parlano di “crimine contro la legge divina”.
E in
America? All’attivismo dei missionari gesuiti in Brasile e Sud-America si
contrappone l’incertezza delle Colonie del Nord. Dal divieto della
variolizzazione (motivi etici, religiosi, ma anche medico-igienici, perché
pratica ad alto rischio) si passa al ricorrervi in massa e affannosamente quando
le ondate dell’epidemia terrorizzano tutti. E’ lo scienziato Benjamin Franklin a far notare che il
vaiolo fa molti più morti degli effetti avversi della variolizzazione. Nel
1777, durante la Guerra d’Indipendenza che porterà alla proclamazione degli Stati
Uniti, un’epidemia di vaiolo più forte delle altre convince il generale in capo
George Washington a rendere
obbligatorio l’innesto tra i soldati.
Ma
intanto in Europa passano i decenni e le posizioni si addolciscono. L’anglicano
vescovo di Worcester nel 1752 si
dichiara favorevole all'innesto, suscitando scalpore in tutte le comunità
cristiane tradizionali di base. L’Italia è in ritardo ovunque. A Bologna, Stato
Pontificio, sede della famosa Università, le variolizzazioni dei medici Vincenzo Menghini, primo nel 1756, e Leopoldo M. Caldani trovano l’Accademia
delle Scienze bolognese diffidente, perché timorosa del Legato Apostolico, e il
popolo contadino ostile, tanto che il Caldani per condurre la sperimentazione
deve innestare bambini all’insaputa dei padri, il che già allora è
deontologicamente scorretto.
Non
solo alcuni medici romani si dichiarano favorevoli nel 1754; ma il teologo
agostiniano Gian Lorenzo Berti nel
1762, con altri due dotti teologi, il Raimondi-Adami
e il Veraci, pubblica
l’opuscolo “Tre consulti”, un importante documento
etico-religioso in difesa dell'inoculazione. Il Raimondi considera che “la
Legge Cristiana insegna di ricevere tranquillamente dalla mano di Dio le
malattie, dalle quali siamo assaliti, ma non ci vieta di cautelarci contro di
esse con gli opportuni rimedi, e di prevenirle co’ i segreti dell’arte”. Perciò
il medico “farà azione utile, prudente e caritatevole, col prevenire il
naturale pericolo”. Perfino i più retrivi monaci ortodossi in Grecia –
riferisce lady Montagu – hanno “cristianizzato” l’innesto dando alla
disordinata serie di punture sulla pelle la forma d’una croce.
L’intera
Cristianità in sostanza, divisa tra i no del basso clero ligio alla regola
della Provvidenza e i sì illuminati delle alte gerarchie che si sentono sulla
coscienza il numero di morti, sembra sospendere il giudizio; resta in attesa
dell’evoluzione scientifica per tutto il Settecento. Il che per i laici è una
grande novità: sembra quasi che nelle sue varie Comunità la Chiesa si appresti
a riconoscere per la prima volta libertà di dibattito e una certa autonomia
della ricerca scientifica.
E gli
Ebrei come prendono la novità? Con buonsenso e realismo analogo a quello dei
Papi. Alla fine del Settecento Rav
Yehudah Chayim Ghiron, di Casale Monferrato, chiede un responso al Gran Rabbino Posseq Ishmael Cohen, di Modena,
scomparso nel 1810. È permessa l’inoculazione, “come fanno i re”, oppure come
sostengono alcuni non è il caso di competere con i danneggiatori (il virus)?
Rav Cohen è scettico all’inizio: la vaccinazione stessa è un pericolo di vita.
Ma poiché beneficio e salvezza sono più probabili della perdita, e considerato
che non si usa vaccinare se non dove il contagio è già diffuso, si possono
asseverare le parole degli scienziati a sostegno di tale operazione. A
condizione che il medico attesti che non si evidenzia un rischio per il
soggetto che vi si sottopone. Insomma, pur nella contraddizione tra il pericolo
in sé dell’inoculazione e l’impossibile “garanzia” da chiedere al medico,
l’autorità rabbinica non trova motivi per proibire l’innesto. Un parere
favorevole, ma non entusiasta.
Poi
quando all’inizio dell’Ottocento arriva il “vaccino” dell’inglese Jenner, sicuro ma tratto dalle pustole
delle mammelle delle vacche, le critiche degli antimodernisti e le paure
popolari, dopo quasi un secolo di rischiosa ma efficace variolizzazione da uomo
a uomo studiata e fatta conoscere dagli italiani Pilarino e Timoni, non
cessano, come si potrebbe immaginare, ma anzi se possibile si esacerbano, come
si è visto nel sonetto del Belli “Er linnesto”. Figuriamoci se può sfuggire che
si tratta d’un siero proveniente da “animali”. “Sangue di animali mischiato a
quello dell’Uomo”? “Bestialità” la definiscono alcuni filosofi moralisti laici,
oltre ai religiosi tradizionalisti di ogni Fede. Così si va a intaccare la
“sacralità” dell’Uomo, lamentano alcuni teologi. Insomma, aumenta la diffidenza
di intellettuali laici, medici, preti e popolo; popolo che ormai non è
dappertutto il popolino emarginato e analfabeta del Belli, ma in alcuni Paesi
ormai comprende tutta la borghesia attiva, colta e perfino abbiente. Come
l’Emilia o la Lombardia.
Ora,
però, i medici cattolici prevalgono sui religiosi e sembrano avere l’ultima
parola. In Italia, si lamentano della diffidenza popolare il già citato prof. Tommasini, responsabile per le
vaccinazioni a Bologna, e soprattutto il grande medico filantropo Luigi Sacco che il vaccino se lo fa con
vacche italiane. A Milano e in tutta la Repubblica Cisalpina dal 1800 al 1810
vaccina di persona e gratuitamente circa 500 mila bambini e adulti (una media
di ben 136 al giorno, a quei tempi!), oltre a 900 mila vaccinati dai suoi
collaboratori, nella più massiccia campagna di vaccinazione mai effettuata in
Europa. E il numero dei vaiolosi a Milano e in Emilia (a Bologna Sacco sarà
chiamato nel 1801) per la prima volta crolla.
L’incredibile paradosso del conte Leopardi “modernista”
Le
contraddizioni si annidano in tutti gli angoli della Storia e si fanno beffe
della coerenza e della logica. E così proprio un intellettuale cattolico
ultra-tradizionalista avverso a ogni nuovismo è uno dei maggiori sostenitori
del modernismo della vaccinazione nello Stato della Chiesa, anzi in Italia.
Dopo il Tommasini, è il più tenace diffusore del vaccino nelle Marche e nello
Stato pontificio, con la differenza che è molto influente sul Papa. È il conte Monaldo Leopardi di Recanati.
Tutti abbiamo imparato a conoscerlo a scuola, come padre del poeta Giacomo,
topo di biblioteca, severo difensore dell’ortodossia, poco meno che un “bieco
reazionario”. Ma la Storia smentisce i luoghi comuni. Fatto sta che
all’età di soli tre anni nel 1801, regnante a Roma papa Pio VII, Barnaba Chiaramonti,
il bambino futuro poeta e filosofo per iniziativa privata del padre è fatto
vaccinare, primo nelle Marche e nello Stato della Chiesa, come vanterà il conte
esagerando, “fiero di aver accreditato questa nuova benefica scoperta”.
Il bibliomane
conte Leopardi, pur nel “natio borgo selvaggio” di Recanati, ha già in biblioteca
il libro del medico inglese tradotto in italiano e stampato a Pavia nel 1800
(“Ricerche sulle cause e sugli effetti del Vajolo delle Vacche”), e ne diventa
subito un acceso propugnatore. Visto che né ad Ancona né a Roma le Autorità
sono provviste di “vaccina”- scrive nel diario – mentre l’epidemia infuria,
dall’amico conte Doria di Genova si
fa inviare la “marcia”, un filo impregnato di materia infetta che servirà al
medico di Recanati, dottor Alberini,
per praticare con apposito pennino poco più che un graffio sul braccio dei
figli.
Erudito umanista
non alieno dalle scienze (ecco da chi eredita i geni il poeta Giacomo),
cattolicissimo, ultraconservatore, in seguito nominato anche Gonfaloniere
(sindaco) di Recanati, il conte Monaldo sorprende tutti, anche la Curia romana
che lo tiene in grandissima considerazione, diventando all’improvviso un
fervido apologeta e propagandista in tutte le Marche, anzi nell’intero Stato
pontificio, della vaccinazione anti-vaiolo, una sorta di “lady Montagu
italiana”, ma in pantaloni e spadino. Sarà sul tema l’ispiratore fidato di papa
Pio VII, neanche fosse un medico. Grazie alla sua influenza Papa Chiaramonti incaricherà il card. Consalvi di redigere l’Editto
sull’obbligatorietà del vaccino (1822). A leggere le sue carte, quello che più
sbalordisce è la competenza da scienziato, lo spirito d’osservazione più che
settecentesco, maniacale, con cui scrive il “diario sanitario” in cui annota
minuziosamente, giorno per giorno, ora per ora, anche per fatterelli
insignificanti, l’evoluzione della breve “malattia” nei figli. Il più forte dei
quali risulta proprio Giacomo.
Un attivismo frenetico anche sul
piano sociale che contrasta con la fama di misoneista e individualista scolpita
per sempre sui libri di scuola. Non solo esorterà vivamente i parroci, spesso
riluttanti o contrari; ma i bambini poveri portati dai genitori alla
vaccinazione avranno in regalo 5 baiocchi (1818). E, a riprova che ogni
propaganda di massa vuole delle penalità, il capofamiglia che non fa vaccinare,
a meno di motivata dichiarazione, è multato di ben 50 baiocchi. Anche se
l’Editto Consalvi, dal Leopardi promosso, non fu applicato, lo fu invece a
Recanati e nelle Marche, dove grazie al conte il vaccino fu di fatto
obbligatorio, ben prima della stessa Inghilterra che lo aveva inventato, e di
altri Stati italiani.
Questo furore ”illuminista” e
paternalista “per il bene del cittadino” (che farebbe infuriare i conservatori
di oggi) in chi si dichiara nemico giurato dell’Illuminismo e vorrebbe tornare
all’Ancien Régime, fa sorridere, perché sarebbe tanto piaciuto al progressista
Voltaire. Che però non sappiamo se avrebbe còlto, come del resto il Leopardi,
il divertente duplice paradosso della Storia: i reazionari che non appena
possono agire diventano modernisti e rivoluzionari, e quindi autoritari; e i
liberali che trovata la verità da loro sempre negata la vogliono imporre con
autoritarismo e intolleranza.
L’eterna dialettica tra solidarietà e libertà, autorità e tolleranza.
Del resto, a Voltaire e agli altri
Illuministi, tutti presi dalla polemica in nome del Liberalismo contro la
“Chiesa che non vaccina” o lo fa senza convinzione, sfugge che una polemica
liberale dovrebbe rilevare elementi di paternalismo e autoritarismo anche nello
“Stato che vaccina” in modo sempre più stringente e obbligatorio, dalla fine
dell’Ottocento ricorrendo perfino alla polizia contro gli adulti.
Così il primo vaccino della Storia
diventa occasione di scontro tra i diversi diritti che il nuovo Stato moderno liberale
afferma di tutelare. Di fronte al nuovo obbligo, accompagnato da dure sanzioni (il
Vaccination Act inglese è del 1840), le
autorità locali tendono a non farlo rispettare; ma nel 1871 la legge è
modificata per punire i funzionari inadempienti. E in Inghilterra come nell’America
del Nord si moltiplicano le proteste. A Leicester nel marzo 1885 oltre 20 mila
manifestanti si radunano vicino al castello di York per protestare contro l'incarcerazione
di sette attivisti. Una legge del 1898, disattesa da leggi successive,
riconoscerà la “obiezione di coscienza”. Che paradossalmente già la Chiesa di
fatto tollerava.
La giusta solidarietà umana e
sociale, il bene comune, la tutela della salute e la pietà umana verso i malati,
che uniscono in teoria Cristiani e Liberali, non bastano più come contrappeso,
se si annulla o umilia – obiettano alcuni pensatori – la libertà intesa come
diritto all’integrità del corpo e della persona. L’Habeas corpus (letteral.: abbi il tuo corpo) accettato
nella Magna Carta dal re d’Inghilterra nel 1215 proteggeva nobili e religiosi,
e sarà esteso a tutti i cittadini inglesi nel 1679. Il re, cioè il potere, non
può da allora “mettere le mani addosso” a nessuno che non abbia commesso reati,
senza il suo consenso. Chi lo fa si pone fuori dello Stato liberale e di
diritto.
Ecco perché perplessi, quando non
duramente contrari, di fronte ai Governanti che impongono obbligatoriamente la
vaccinazione al cittadino adulto, tanto più se pensante e portatore di idee e
teorie che vanno rispettate anche se potrebbero essere al limite
scientificamente “false”, sono grandi filosofi, pensatori liberali e
scienziati, come il filosofo tedesco Immanuel
Kant e il sociologo inglese Herbert
Spencer.
Il vaccino e la “modernizzazione” della Chiesa
La Chiesa, grazie alla sua
struttura monocratica, sa gestire meglio queste contraddizioni. Superata la
presunta incompatibilità morale-scienza, è comunque coinvolta dal contrasto tra
princìpi ed esigenze pratiche di salute pubblica, ma anche indirettamente tra
libertà e autorità. E bisogna riconoscere che, più dei nascenti Stati liberali
che ricorrono troppo spesso a multe salatissime, prefetti, questori, gendarmi e
carceri, evita di cadere nel nuovo “autoritarismo scientista”, da un lato
consigliando a tutti la vaccinazione per cercare di prevenire la malattie e la
morte, ma d’altro canto rispettando opinioni dissonanti e rifiutandosi di
punire severamente, multare o arrestare gli “obiettori di coscienza”.
In base ai documenti, la Chiesa non
espresse mai avversione dichiarata per nessuna delle due forme di inoculazione del
virus per la prevenzione dell’epidemia, come invece lasciano intendere il riportato
sonetto del Belli e le infondate dicerie, perfino nel Novecento, su papa Leone.
Quando alcuni Papi furono dubbiosi, non lo furono mai in modo drastico, ma
molto moderato; mai vietando, ma limitandosi a garantire la libera scelta delle
famiglie e assicurando il dovuto supporto dei medici, comunque sempre obbligati
a vaccinare se richiesti. Diverso il caso di singoli ecclesiastici, predicatori,
parroci, frati.
Eppure, ancora in pieno Ottocento persiste
la residua contrarietà di minoranze, sia di religiosi sia di laici, che
intendono giudicare e decidere unicamente in base alla propria coscienza. Anzi, come mostrava già più d’un secolo prima
la parabola altamente simbolica del conte Leopardi, parrebbe ormai che le più
forti perplessità di fronte al nuovismo scientifico, almeno in materia di
salute, siano paradossalmente più frequenti nelle classi popolari delle aree
urbane e tra i moralisti laici o anticlericali, che della Chiesa.
Così, cedono le ultime resistenze
religiose e laiche nella guerra contro il Variola virus, grazie al duplice
ricorso alla Tradizione, sia pure riscoperta e studiata dai medici
(variolizzazione), e alla moderna Scienza empirica che aveva tenuto d’occhio le
mungitrici (vaccino): ma grazie anche alle pressioni verso la gerarchia dei
tanti nuovi medici cattolici. Impegno che sarà lunghissimo: l’eradicazione
totale è del 1981, quasi tre secoli dopo le prime osservazioni del medico
italiano Pilarino sulla “femmina della Tessaglia”. La più grande vittoria della
storia della medicina, e della medicina “empirica”, commenta oggi l’Istituto
Superiore di Sanità.
Il vaccino ha
costretto alla “modernizzazione” la Chiesa quanto Rivoluzione francese,
Illuminismo e Industrializzazione?
Un’ipotesi, quella dello storico della medicina Leonello Manzi, suggestiva, ma esagerata. Forse ha segnato solo
l’inizio d’un lento processo di “superamento del ruolo della Chiesa come Stato
detentore di un potere temporale in grado di condizionare nazioni e popoli”,
sostiene lo storico.
Certamente,
se da questa nostra ricerca preliminare si può trarre una conclusione, non sembra
affatto vero che di fronte ai problemi medici, morali e di libertà aperti dalla
prima vaccinazione, i più anti-modernisti fossero i Cristiani, e i Cattolici in
particolare. Anzi, va loro riconosciuto, in complesso, un prudente e saggio
pragmatismo; visto che riuscirono a bilanciare come o più del mondo laico
princìpi e opportunità, pietà e libertà individuali, senza ricorrere alla
forza. Incomprensioni e geniali intuizioni riguardarono, piuttosto, l’intera
società del tempo, scusabile per l’assoluta novità della prevenzione.
Nell’emergenza della pandemia tra Settecento e Ottocento, nel falso scontro tra morale e scienza, il buonsenso dei Papi, perfino dei più intransigenti, fa intravvedere una Chiesa che ricorre a quella parte del Logos che ha in comune con la tradizione filosofica greco-romana, con l’antica sapienza ebraica e col moderno pensiero laico-liberale. Cioè, quel principio di Ragione universale che determina il Mondo.
NICO VALERIO
Il Saggio è un totale rifacimento e ampliamento dell’articolo critico-storico di Nico Valerio sul vaccino visto nei Sonetti di G.G. Belli, pubblicato nel 2016, cioè quattro anni prima dell’epidemia del Covid: “Vaccino e Chiesa: storia curiosa. E lo diffusero due medici italiani”.
È consentita la citazione o la ripresa letterale di brani tra virgolette, soltanto citando l’Autore e il sito.
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AGGIORNATO IL 7 SETTEMBRE 2022