30 novembre 2007

TROMBA. Il maledetto genio di Morgan, ucciso dalla gelosia

Sta crescendo, anno dopo anno, l'ammirazione postuma per la bellissima tromba jazz di Lee Morgan. Pensate se, invece, fossimo nel Settecento, senza dischi o nastri: di lui ci sarebbe solo il ricordo, sempre più flebile, finché resterebbe solo qualche assolo trascritto malamente sulla carta da musica. Meno male che il jazz, musica in cui conta quasi soltanto l'esecuzione reale, ha spesso potuto valersi delle registrazioni. Dal rullo di pianola, ai rulli di Edison, dai registratori a filo a quelli a nastro, dai dischi di ebanite a 78 giri, fino a quelli di vinile a 45 e 33, ed ora ai compact disc e dvd, senza contare la registrazione diretta in Mp3 di oggi, il jazz è sempre andato di pari passo con le innovazioni tecnologiche.
Lee Morgan è al centro d'un interessante libro biografico che abbiamo scoperto recensito su All About Jazz (Italia), a cura di Enrico Bettinello. Lo riproponiamo qui convinti anche di esaudire i desideri dei tanti appassionati di jazz, di hard bop e in particolare della stupenda tromba di Morgan. Certo, non arriva mai alle altezze artistiche e tecniche di quella di Clifford Brown, ma appare dotata di una sua cifra poetica e anche d'un suono bellissimo. Il libro non l'abbiamo ancora letto, ed anzi lo stiamo cercando, ma ci piace da laici che l'autore non indulga troppo - come fa capire il recensore - allo scandalismo retrospettivo, né ad alimentare l'ennesimo "mito", e cerchi invece di offrire un panorama reale e razionale della vita del grande trombettista, pur così drammatica:

LEE MORGAN. HIS LIFE, MUSIC AND CULTURE
di Tom Perchard
Equinox Publishing, pp.298

“Si deve al giornalista Tom Perchard, appena poco più che trentenne firma di The Wire e all'esordio librario, questo splendido lavoro sulla figura del trombettista Lee Morgan, una biografia che è molto più di una semplice storia della tumultuosa vita del jazzista di Philadelphia.
In questo lavoro infatti Perchard sembra avere trovato un magico equilibrio tra la narrazione dei fatti, l'inserimento delle testimonianze dirette dei tanti colleghi e amici intervistati [la lunga lista va da Amiri Baraka a Reggie Workman, passando per Benny Golson, Billy Harper e molti altri] e la continua dialettica con il contesto artistico, sociale e politico in cui Morgan si trovò a vivere.
Stupisce per misura e efficacia il modo in cui l'autore tratta ad esempio gli aspetti più crudi [e per questo potenzialmente più "appetibili" per facili agiografie di qualsiasi segno] della vita di Morgan, dal pesantissimo rapporto con la tossicodipendenza fino alla tragica fine allo Slugs' per mano [armata] della compagna. Perchard non calca mai la mano su ciò che non è essenziale, ma riesce lo stesso a dire cose che solitamente si omettono o che vengono graziosamente adombrate, come lo strettissimo rapporto tra le sedute di registrazione e le necessità "tossiche" [chi ha il mito "immacolato" della Blue Note e dei suoi artisti potrebbe rimanere davvero male a leggere alcuni passaggi del libro].
Scegliendo un soggetto come Lee Morgan, l'autore compie già un "atto" importante: il trombettista è infatti una figura ideale per delineare al meglio le contraddizioni e le vicende a cavallo tra gli anni Cinquanta e i primi Settanta: a partire dall'infanzia a Philadelphia, passando per le prime collaborazioni con la Big Band di Dizzy Gillespie, per poi approdare - croce e delizia - alla corte di Art Blakey e dei suoi Jazz Messengers di cui sarà per anni uno dei simboli, la vita di Morgan si intreccia con un mondo del jazz che corre a velocità spaventosa, che esplode di talenti e di terribili miserie umane, in cui la creatività e la furbizia vanno a braccetto.
Dopo una lunga lontananza da New York - dove gli avevano spaccato tutti i denti e non gli conveniva rimettere piede tanto presto - Morgan torna nel 1963 e azzecca quel "terno al lotto" che è The Sidewinder, con tutto ciò che questo comporta: il grande successo, la dilaniante tensione tra ripetere quello che il pubblico vuole e esplorare nuovi terreni, l'avere un ruolo di campione di vendite in un momento in cui il jazz comincia a declinare.
Interessantissima è la parte dedicata agli ultimi anni della vita del trombettista, anni di progressivo avvicinamento alle istanze politiche e sociali della gente nera [cui sono dedicate pagine non banali e ricche di aneddoti e testimonianze], di contraddittorie condotte personali e artistiche, fino appunto al tragico epilogo, cui si arriva però con un quadro di Morgan, della sua compagna [più vecchia di 13 anni] Helen Moore, del ruolo di entrambi, che ci dà dell'evento una profondità assai diversa dal classico assunto "ucciso dalla fidanzata gelosa".
Anche dal punto di vista musicale il libro di Perchard, pur senza dilungarsi in analisi troppo specialistiche che ne avrebbero frenato la leggibilità, fornisce spunti e contributi molto interessanti, inquadrando lo sviluppo globale del jazz secondo i più aggiornati strumenti musicologici e tratteggiando le caratteristiche del suono di Morgan con grande pertinenza. Vengono così "svelati", ma sarebbe più appropriato dire che vengono correttamente contestualizzati, i vari "trucchetti" del trombettista, tanto amati dagli appassionati di hard-bop e lo sviluppo dello stile di Morgan trova un onesto [ri]dimensionamento.
Unico appunto che si può fare al libro è, a questo punto, la mancanza di una discografia ragionata: vero è che lo spirito dell'autore tende a rifuggire le ansiose "coperte di linus" degli appassionati, ma un riferimento più schematico alla produzione musicale di Morgan non sarebbe stato male. Comunque un lavoro importante per molti motivi, godibilissimo, intelligente, tutto da leggere e da consultare. Must!

JAZZ. Lee Morgan (tromba), con Jacky Mc Lean (sax alto), Curtis Fuller (trombone), McCoy Tyner (piano), Bob Cranshaw (contrabbasso), Art Blakey (batteria), in un brano lunghetto (9:44), registrato interamente, che dà nome ad un disco poco noto di Morgan, "Tom Cat", la cui copertina Blue Note (v. foto in alto) è malamente riprodotta come fotogramma fisso nell'audiovisivo. Lee Morgan in "Tom Cat"

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27 novembre 2007

FINI. Parabola d’un falso familista. La vera politica dei "due forni".

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Andreotti è un santo laico, al confronto. Morale da liberale ottocentesco, addirittura calvinista. La teoria dei due forni? In Andreotti il peccato, anzi la tentazione era solo enunciata, e quindi consegnata alla Storia depurata, quasi inoffensiva. Ma per Fini, corpo di Bacco - imprecano nelle osterie toscane i vecchiacci di AN più volgari - tra Veltroni e Berlusconi, tra moglie e amante, i "du' forni" sono veri, altroché.

Come se non si sapesse l'accezione volgare di "forno". E, scusate se non allontano subito questo becerume, ma davvero c’è tutto il peggior Guicciardini, nella politica italiana d’oggi. Moralismo? No, moralismo era quello di Fini e di Casini, che su questi temi (famiglia, sessualità, aborto, divorzio, perfino spermatozoi e ovociti) hanno chiesto e ottenuto voti, hanno straparlato per anni, hanno costruito programmi, hanno boicottato un referendum, hanno lucrato seggi in Parlamento che non gli spettavano (grazie alla generosità del Cavaliere), insomma hanno montato due partiti vuoti e inesistenti . Ora è giusto che paghino.

Oggi il segretario di AN, che era un paria e da Berlusconi è stato fatto principe, non solo mostra coram populo tutta la sua ingratitudine, ma si gioca il suo futuro politico. La sua parabola è in fase calante. Sia sul rapporto ambiguo e - ormai è chiaro, a posteriori - puramente utilitaristico col Cavaliere, sia sulle grandi scelte politiche e sul sistema elettorale (incontro, esibito come una minaccia un po' mafiosetta, con Veltroni, certo meno sexy della Tulliani ma anche lui considerato un "secondo forno" possibile), sia infine sulla figuraccia che ha fatto col proprio pubblico a proposito delle due donne "ufficiali" che per un po' di tempo ha avuto, proprio mentre cercava di accreditarsi come difensore ultrà della famiglia.

Uno a casa propria fa quello che vuole, e anche di più, non sarà certo un liberale e volerlo frenare. Ma secondo i loro stessi discorsi, parlo di Fini e Casini, il privato era, doveva essere pubblico. La loro faccia pulita (per chi non s’intende di fisiognomica e psicologica) ha incantato milioni di signore anziane e di giovani ingenui. E ora si scopre che era tutto un trucco.

Meditate, o veri cattolici all’antica. La doppiezza del politico "familista" che di giorno per raccattare voti (che altrimenti per la pocaggine dei suoi programmi non meriterebbe) tuona a favore di comportamenti cristiani e virtù familiari, e aderisce, anzi organizza addirittura il raduno del "Family Day", mentre di notte si diverte con la sua amante, che poi mesi dopo presenterà come nuova fidanzata, essendosi nel frattempo separato dalla moglie. I tempi, calcolano le donne meticolose, non corrispondono.

Certo, i militanti del Centro-Destra sono imbarazzati, e forse cominciano a capire che il cinismo della politica e la finzione toccano anche, soprattutto, i loro Partiti, proprio perché sempre definiti come i più "puliti" (AN e Udc). Altro che diversità. Della altisonante triade ultra-conservatrice "Dio, Patria, Famiglia", solo la seconda si salva, forse, perché spesso si confonde con la Nazionale di calcio. La Destra, perfino l'immacolato Centro, crede poco in Dio visto che non frequenta le chiese (il sillogismo è delle stesse autorità ecclesiastiche), e di famiglie ne ha almeno due.

Una delusione così cocente aveva depresso i militanti Ds quando scoprirono gli intrallazzi del vertice con banche, assicurazioni e supermercati. Voi direte che la gente in Italia è sufficientemente cinica nel Dna, e non è come nei Paesi anglosassoni dove per una bugia il politico perde credito politico e seggio? Eh, ma oggi i tempi cominciano a cambiare. E che tv e giornali mostrano come la morale ostentata in pubblico da un politico, anzi - peggio - strumentalizzata nei programmi, sia diversa da quella personale reale è cosa che oggi fa perdere un po’ di voti.

E pensare che liberali laicisti e radicali sono stati dipinti da questa gente come distruttori di famiglie. E invece, eccola lì la "cristianità" reale, quelli che si erano inventati a puro scopo di lucro elettorale la menata delle "radici cristiane" dell’Europa, le invenzioni lessicali sul "laicismo diverso da laicità", il "cattolicesimo" come testimonianza integrale nella vita della persona.

Moravia parlava di "familismo amorale". Ma qui manca addirittura il familismo. Siamo al puro "Anti-Family Day". Roba che al confronto i Radicalacci sono mammolette monogamiche o celibatarie. Chissà quanti mal di pancia per la buona e sensibile Eugenia Roccella, eminenza grigia del Family Day, roba da soffrire per mesi di colon irritabile, malattia psicosomatica scatenata dagli stress emotivi.

Ma poi, chi sarà mai ‘sto Fini? Dice: in compenso non è mai stato fascista. D’accordo, sarà pure. E con questo? Il "non essere" non ha mai fatto di nessun mediocre un grande. L’essere, semmai. Ma chi è, che cosa è Fini? Una sola cosa, montalianamente, sappiamo: nel marketing, oggi, l’unico semantema utile che si può rapportare al suo nome evoca tortellini ripieni. Ma, anche qui, ripieni di che? Mistero.
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JAZZ. Miles Davis e John Coltrane nel 1958 ("So What")

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22 novembre 2007

GENI DEL MALE. Ma quanto fascino hanno "i più cattivi del Mondo"

Louis Armstrong s’inventò l’aneddoto dello spartito caduto a terra mentre cantava, per dare valore ai propri vocalismi "scat", in cui le parole perdono ogni significato semantico e rifanno il fraseggio d’uno strumento: "dada-di-de-dede-dodedi-du-da…". Ed era un grande bugliardo, perché lo "scat" è vecchio quanto il jazz.
Ma io che m’invento per convincere il pubblico a leggere un libro - sicuramente molto documentato, bello e ben scritto, perché conosco l’autore e so con quanta attenzione al particolare e verve affronta i personaggi della scena internazionale - senza aver potuto leggere non dirò il libro, magari, ma neanche la quarta di copertina, neanche un abstract dell’ufficio stampa?
Be’, se come diceva quel cinico di Longanesi, ripreso dal grande goliarda Flaiano, inventore di aforismi, le migliori recensioni si fanno senza aver affatto letto il libro, per pigrizia, pur avendolo disponibile nella pila di "omaggi per recensione", io invece senza pigrizia alcuna sarò costretto a fare di necessità virtù acrobatica, e senza neanche tentare il "pezzo di bravura" cercherò di suonare l’intera aria su una corda sola: la copertina.
Sì, infatti, l’unico materiale a mia disposizione è una foto, la fotografia della copertina del libro. D’accordo, abbiamo il Governo Prodi e la vita si è fatta difficile, signora mia, ma questa tirchieria inglese degli editori, mi pare una citazione: sembra riportarci al periodo delle "sanzioni" negli anni Trenta, quando la carta costava un occhio.
Una copertina, che però non è un particolare di secondaria importanza, Watson. Contiene un traccia che basterebbe anche ad uno Sherlock Holmes da bar di provincia per iniziare un’inchiesta: la lista dei più fanatici e crudeli personaggi che si leggono nelle cronache internazionali, i peggiori dittatori e terroristi che in questi ultimi anni hanno sparso paura e insanguinato il Mondo, da Ahmadinejad al Mullah Omar, da Myanmar a Kim Jong-il, da Assad a Nasrallah, da Al Zawahiri a Chavez, da Hamas a Mugabe. Senza tralasciare le vecchie conoscenze Gheddafi e Castro, of course.
L’autore, il giornalista di esteri Maurizio Stefanini (Il Foglio e altri quotidiani), è notoriamente un maniaco del particolare, abile nel ritratto psicologico, nel delineare un ambiente con ironia, informatissimo anche del dibattito politico locale, a suo agio negli intrighi internazionali e nei lati oscuri delle carriere politiche e delle alleanze. Per di più, l’essere anche ispanofono lo favorisce nel dedalo dei corrotti personaggi dell’America latina: da ricordare i suoi articoli su Chàvez e Castro.
Fumo di bruciato che, com’è noto, intriga il pubblico molto più del fumo d’incenso. Guicciardini e Machiavelli non c’entrano, lo ripetevano già gli Antichi, lo hanno detto e ridetto anche i divulgatori contemporanei, come Montanelli: se le biografie e la Storia riguardassero solo i personaggi virtuosi, nessuno le leggerebbe. Per fortuna, hanno quasi sempre al centro uomini ributtanti, malevoli, intriganti e imprevedibili, perfidi e ottusi, talvolta traditori e persecutori. Il che riempie la Storia, perfino quella contemporanea, d’un fascino romantico e perverso che le edificanti biografie dei Santi si sognano. Basta confrontare la scarna bibliografia su Santa Teresa del Bambin Gesù e quella sovrabbondante su Adolf Hitler.
L’idea d’un aggiornato vademecum "ai malvagi del Mondo", perciò, è ottima, anche se non nuovissima. E scopre connivenze, accordi trasversali, vicende non trasparenti, responsabilità insospettabili. Noi liberali siamo soliti ripetere che dietro un dittatore o un terrorista internazionale ci sono almeno dieci capi di Stato o responsabili delle Nazioni Unite che non hanno fatto il loro dovere morale e politico fino in fondo. Contraddizioni che Stefanini spesso sottolinea nei suoi articoli.
Se tanto mi dà tanto, in conclusione, se l’autore non si è rimbambito all’improvviso, turlupinando anche l’occhiuto e diffidente direttore del Foglio, Giuliano Ferrara, che ha scritto la prefazione al libro (Maurizio Stefanini, I nomi del Male, Boroli editore, oggi in libreria), tutte cose impossibili, allora l’amico Stefanini deve per forza aver scritto un libro vivace e interessante, attuale come un instant-book, di quelli che la gente e gli stessi giornalisti divorano d’un fiato come se fossero romanzi d’avventura o biografie romanzate. Lo leggeremo, finalmente.
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JAZZ. Art Blakey's Jazz Messengers - "Dat Dere"

13 novembre 2007

FAVOLE O NO? Fanno arrabbiare, oggi, cicale e formiche in politica

Descrivi gli animali per colpire gli uomini. Una massima antica. Anche perché se oggi partono le querele, un tempo partivano le teste degli spiritosi. Segno che le malalingue ci sono sempre state, magari nascoste sotto le insospettabili vesti di censori, fustigatori di costumi, moralisti. Che poi, a ben vedere, spesso sono i peggiori ipocriti. A proposito, non c’è traccia nella storia della letteratura delle vite private dei raccontatori di favole moraleggianti. Se no, ne scopriremmo delle belle.
Rousseau, per esempio, il "grande umanitario", l’utopista della fraternità, il teorico del felice "stato di Natura", abbandonò i propri figli alla povera moglie senza darle un soldo.
Sistemati i moralisti, eccoci al grande raccontatore di storielle animali "morali" o edificanti, il La Fontaine, che non fece altro che continuare il vecchio genere degli animali antropomorfi, cioè visti come gli uomini, spesso adattando in francese le satire di Esopo e Fedro. Una colpisce, La cicala e la formica, soprattutto in periodi di crisi economica e disparità tra cittadini, perché descrive bene la divisione tra i lavoratori e i nullafacenti, i privati che rischiano e pensano al domani, e quelli che non facendo nulla, anzi spassandosela, confidano nell’aiuto degli altri, o dello Stato.
Insomma, una favola "di Destra"? Sembra così, ma non è esatto. Dice verità che possono dispiacere a molti in Italia. Mi è arrivata una gustosa interpretazione "anti-sinistra". Che pubblico. E da liberale che critica tutti, Sinistra e Destra, rido di gusto. Ma, attenti, quanti di Destra che conosco io non fanno come la cicala? Tanti.
E diciamola tutta. Anche perché, noi liberali lo sappiamo, esistono tante Destre, come tante Sinistre. E dunque, i nomi "Destra" e "Sinistra" non significano nulla: servono solo per gratificare, ricompattare, lodare o offendere. Ma nulla di scientifico o storico. Se si facesse un test sui significati percepiti, ci sarebbe dentro tutto e il contrario di tutto. Esempi: l’ordine è di Destra? Si? E allora quello imposto col terrore da Lenin e Stalin? La guerra, almeno, sarà di Destra, no? No. I democratici e radicali di Sinistra erano interventisti nella Grande Guerra, i conservatori di Giolitti contro. Il mercato libero è di destra? Davvero? E allora, come mai c’e anche nella Cina comunista? E gli statalisti sono di Sinistra? No, stanno anche a Destra. E la medesima ambiguità per la Patria, la Famiglia ecc.
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Dunque, la parabola la sapete. La formica lavora tutta la calda estate; si costruisce la casa e accantona le provviste per l'inverno. La cicala invece pensa che, con quel bel tempo, la formica sia stupida; ride, danza, canta e gioca tutta l'estate. Ma arriva l'inverno, e la formica riposa al caldo ristorandosi con le provviste accumulate, mentre la cicala trema dal freddo, rimane senza cibo e muore.
Ed ecco ora la divertente versione tendenziosa anti-Sinistra aggiornata ai tempi nostri:
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La formica lavora tutta la calda estate; si costruisce la casa e accantona le provviste per l'inverno. La cicala pensa che, con quel bel tempo, la formica sia stupida; ride, danza, canta e gioca tutta l'estate. Ma giunge l'inverno e la formica riposa al caldo ristorandosi con le provviste accumulate. Ma che accade allora?
La cicala tremante dal freddo organizza una conferenza stampa e pone la questione sociale del perché la formica ha il diritto d'essere al caldo e ben nutrita mentre altri meno fortunati come lei muoiono di freddo e fame.
Santoro la ospita nel suo programma e dà la colpa a Berlusconi.
Il portavoce di Rifondazione Comunista parla di una grave ingiustizia sociale.
Rai 3 organizza trasmissioni in diretta che mostrano la cicala tremante di freddo mentre un video-verità fa vedere la formica al caldo nella sua confortevole casa borghese con la tavola piena di ogni ben di Dio. I telespettatori sono colpiti dal fatto che, in un paese così ricco, si lasci soffrire la povera cicala, mentre altri come la formica vivono nell'abbondanza. Questa disparità offende.
I sindacati manifestano davanti alla casa della formica in solidarietà della cicala mentre i giornalisti di sinistra organizzano delle interviste e si domandano perché la formica è divenuta così ricca sulle spalle della cicala ed interpellano il governo perché aumenti le tasse della formica affinché anch'essa paghi la sua giusta parte sulle rendite e i profitti.
Naturalmente, alla pacifica manifestazione partecipano anche i Centri sociali che bruciano alcuni alberi del bosco e le bandiere di Israele e degli Stati Uniti.
In linea con i sondaggi, il governo Prodi redige una legge per l'eguaglianza economica ed una (retroattiva all'estate precedente) anti discriminatoria. Visco e D'Alema affermano che giustizia è fatta, Mastella chiede una legge speciale per le cicale del sud. Di Pietro chiede l'apertura di una inchiesta su Berlusconi.
Fatto sta che le tasse sono aumentate e la formica riceve una multa per non aver occupato la cicala come apprendista, la casa della formica è sequestrata dal fisco perché non ha i soldi per pagare le tasse e le multe: la formica lascia il paese e si trasferisce in Liechtestein.
La televisione prepara un reportage sulla cicala che, ora ben in carne, sta terminando le provviste lasciate dalla formica nonostante la primavera sia ancora lontana.
L'ex casa della formica, divenuto alloggio sociale per la cicala, comincia a deteriorasi nel disinteresse della cicala, del Governo e dei Sindacati. Sono avviate delle rimostranze nei confronti del governo per la mancanza di assistenza sociale. E’ creata una commissione apposita con un costo di 10 milioni di euro. La commissione tarda ad insediarsi per la lite furibonda sviluppatasi all'interno della sinistra per la divisione delle poltrone.
Intanto la cicala muore di overdose mentre la stampa evidenzia ancora di più quanto sia urgente occuparsi delle ineguaglianze sociali; la casa è ora occupata da ragni extra-comunitari immigrati. Il governo si felicita delle diversità multiculturali e multirazziali del Paese, così aperto e socialmente evoluto.
Ma i ragni organizzano un traffico d'eroina, una gang di ladri, un traffico di mantidi prostitute e terrorizzano la comunità. Il partito della sinistra propone quindi l'integrazione, perché la repressione genera violenza, e violenza chiama violenza...
E tutto perché una cicala e una formica…
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JAZZ. Gerald Wilson e Mel Lewis Big Band in Europa

04 novembre 2007

ESTETICA D’OGGI: il brutto, il volgare, il cattivo gusto e il kitsch sono “più sexy”.

Rete sexy Viviamo nel brutto perché in fondo siamo brutti, o viceversa? Ah, saperlo… Se un artista o un artigiano del passato, resuscitasse, avrebbe un colpo al cuore nel vedere come la moderna società dell’Occidente vive beata tra brutture, trasandatezze, volgarità, oscenità estetiche, rozzezze, accostamenti sbagliati, cattivo gusto involontario e voluto snobismo Kitsch. Altro che l'alienante Metropolis di Fritz Lang, la città del futuro è già attuale, e ben più alienante per gli esteti e i raffinati: è Kakopolis, la città del brutto.

La pubblicità, la comunicazione, il design, lo spettacolo, che un luogo comune sbagliato dipinge come dediti solo a propagandare il bello, al contrario – se ci facciamo caso – fanno risultare vincenti solo oggetti, poster, attori, libri, musiche ecc. “bruttini, ma originali”. E’ quello che si dice per certe attrici di successo: “è un tipo”. Ma ormai, capito il trucco, l’industria senza scrupoli mette in commercio direttamente il brutto e volgare, perché hanno scoperto una verità psicologica disarmante: “il brutto si nota più del bello”, e in conseguenza “il brutto si vende di più”. Come lo “strano” spicca di più per la strada di ciò che appare come “normale”, “solito”, “ordinario”. Se non altro per quel processo di identificazione del pubblico (la donna e l’uomo della strada) nei personaggi pubblici, i cosiddetti Vip o membri del jet-set, che non è affatto vero che sono “bellissimi, alti e con gli occhi azzurri”.

Il marketing ha subito preso atto di questi gusti popolari con cinico utilitarismo. Me ne accorsi a mie spese. Alle mie proteste per le brutte copertine dei miei libri confezionate dai loro grafici, i dirigenti della Mondadori risposero più o meno così: «Ma guardi che i nostri esperti ci dicono proprio il contrario: le copertine un po’ irregolari o sottotono che lei definisce brutte, sono le più guardate, quelle che attivano di più lo sguardo». Mi ritirai con la coda tra le gambe: sono un cultore della psicologia.

Perfino l’erotismo e la pornografia, che qualcuno crede ingenuamente dediti solo a diffondere il “bello”, si sono accorti che alla fin fine “il brutto piace ed erotizza più del bello”.  Infatti secondo numerose ricerche di psicologia della comunicazione e della percezione, il brutto, l’irregolare, anche il “cafonesco” e il maleducato, sarebbe addirittura “più sexy”, secondo la obliqua sensibilità della società di massa. Ecco perché oggi vanno di moda le donne “nerd”, bruttine, volgari, o con vistosi occhiali, o un po’ grasse. Perché fanno subito pensare al sesso. La prostituta, infatti, ha sempre qualcosa di più rozzo e volgare o antiestetico della tipica signora borghese elegante. Paradossi della psiche. Insomma, il cattivo gusto piace.

Beati gli Antichi del "kalòs kai agathòs", del bello così bello da diventare perfino buono, cioè virtù. L'etèra Frine non è Madame Curie o la Levi Montalcini: perciò ha bisogno di spogliarsi per rivelare il Grande Disegno razionale che è in lei, il Logos nientedimeno. Nuda rivela di essere bella e viene assolta dal giudice, che per paradosso contrariamente alle apparenze pratica un diritto "sostanziale", non formale, perché una persona capace di costruire con intelligenza e rigore la propria armonia avrà dentro di sé criteri severi utilizzabili anche nel resto della personalità, morale compresa.

Insomma, l’etica è l’estetica. Perfino negli stereotipi psicologici: gli autori del cinema e della tv sanno bene che per gli spettatori i personaggi belli sono buoni e i brutti cattivi.

Ma la bellezza come criterio generale morale comprende anche la giustizia. La bruttura, una certa bruttura, evoca infatti l'ingiustizia. Le baraccopoli di cartone, le favelas dei diseredati delle città stringono il cuore quando scopri che la loro disarmonia è insieme estetica, sociale e morale. Anche per il linguaggio comune, non solo per i fini giuristi che vi scopriranno degli errori di diritto, è brutta una sentenza che manda assolto il deputato corrotto o il terrorista. Perché disarmonica: la forma non corrisponde alla sostanza. Perché rompe un equilibrio complesso e raffinato che è, deve essere, legge di civiltà.

E per prima cosa, l’arredo urbano, l’urbanistica e l’architettura si sono degradate per mancanza di questo "ethos" popolare. Nell’antichità il tempio etrusco-romano come poi il duomo d’Orvieto per essere costruiti dovevano piacere a tutti, dalla casalinga al colto letterato. E infatti a tutti piacevano.

Oggi, al contrario, l’arte contemporanea non piace più al popolo. E non perché sia "bella", ma perché è di una bruttezza diversa dalla bruttezza abituale. In questo caso, è l’intellettuale stesso che crea il brutto, sotto sotto come messaggio di rivolta e distinzione. Pensiamo non solo alla pittura, ma anche alla musica rock e pop. Se tutti fanno cose brutte, il brutto diventa linguaggio normale. L’anti-estetica perde la sua carica di rivolta e rivela quello che è davvero: conservazione, appoggio al sistema, consumismo, regresso intellettuale.

D’accordo, l’Occidente fa schifo. Ma allora andrà meglio altrove? Per carità. Anzi, l’Europa orientale, l’Oriente, il Sud del mondo, stanno ancora peggio. Per povertà o incultura ancora maggiore, (già a cominciare dalla Grecia) là è il regno del non-finito, della non-manutenzione che stende una coltre di bruttura su tutto, del cemento a vista, dei tubi, della plastica, del rifiuto riciclato, degli elettrodotti che rovinano ogni visuale, perfino negli Stati Uniti.

L’uomo e la donna-massa non "amano il brutto", sia chiaro: semplicemente non lo riconoscono. Lo producono di continuo, senza riconoscerlo. Il che dice tutto. Quei pochi che lo riconoscono, poi, non gli danno importanza, come se l’estetica non fosse un elemento importante della vita, che può parlare, elevare l’animo o offendere come e più delle parole e delle azioni.

E il guaio è che "tutto ha un significato", non solo il grande Beauburg o un distributore di benzina, ma anche i particolari più minuti e personali della vita quotidiana. Dai pantaloni a mezz’asta ("alla pescatora") che accorciano ancor più le gambe corte delle donne rendendole buffe, grasse e anti-sexy (possibile che non se ne rendano conto, loro che stanno sempre allo specchio?) ai supermercati, dalle fioriere e panchine delle isole pedonali alle pensiline delle fermate dei bus, dalle assurde piste ciclabili tra le case alle torri di acciaio alte oltre 100 metri e munite di enormi pale rotanti uccidi-uccelli che con la scusa del vento (inesistente) rovinano i panorami dell’Appennino, dall’architettura a "scatola di scarpe", tipo il Mausoleo dell’Ara Pacis di Adriano del sopravvalutato Meyer che deturpa il Centro storico di Roma, fino ai tozzi sandali che mostrano orribili talloni, dai jeans stinti e sdruciti abbinati a giacca e cravatta, alle sportine di plastica della spesa, alle gonne lunghe, magari di voile, con le scarpe di ginnastica, meglio se dorate o tempestate di diamanti di vetro, dalle capigliature corte e gli eterni pantaloni femminili ("alla maschietta" si diceva negli ambigui anni Trenta), è tutta una débacle.

Hai voglia a ripetere che quello estetico, proprio come quello umoristico, dovrebbe essere il più alto esercizio d’intelligenza. Figuriamoci: è completamente assente nella nostra società. Altro che Metropolis, oggi un redivivo Fritz Lang esteta la chiamerebbe "Kakopolis". Ma sì, la città del brutto e del cattivo. Che poi sono la stessa cosa.
Il brutto non è solo un paio di scarpe così disarmoniche, purché "originali", da offendere la vista e la ragione. Sono spacciate in modo contorto per una rivalutazione del cattivo gusto o kitsch, insomma per scelta intellettuale.

Ma è anche la quotidiana trasandatezza, innocente perché sembra naturale, insomma il brutto casuale e spontaneo dell'uomo-massa, o il velleitarismo patetico da imitazione. Come la canottiera corta sul ventre obeso, o i calzini sotto i sandali, o un largo cappello da cerimonia portato da una ragazzina bassa, con sedere basso e scarpe basse. Diffusissimi i pantaloni a mezz'asta o i "pinocchietti" in persone che già hanno le gambe corte, e con questi orribili vestiti sembrano volersi tagliare le gambe ancora di più, in un masochismo cieco.

La donna appare la più penalizzata da questa non-intelligenza della moda. Sembra quasi che la dimensione estetica, che è armonia, cioè rapporto tra elementi diversi (proprio come il processo logico) e quindi un’importante lato dell’intelligenza, sia appannaggio d’una minoranza esigua di uomini.

Ma, almeno i mass-media e la cultura… Macché. Basta "guardare" (senza leggere, sia chiaro, tanto si tratta sempre delle stesse cose, scopiazzate, superficiali e mal scritte) i giornali e le riviste, peggio ancora gli inutili se non agli uffici marketing supplementi dei quotidiani, zeppi di pubblicità orribile, composti in caratteri brutti, impaginati in modo antiestetico da art-director e capi-servizio che – è evidente – ormai odiano lo scritto, non leggono più nulla. Anche loro "guardano" le pagine che compongono di malavoglia infilando qua e là a caso titoli brutti, foto brutte, grafiche brutte.

Nessuno più dei giornalisti odia la carta stampata. E si vede, anche senza leggere un rigo. Se uno oggi proponesse di rifare, per esempio, "Il Mondo" di Pannunzio, sempre decantato dagli ipocriti, verrebbe accompagnato alla porta come un povero mentecatto di villaggio montano.

E non parliamo dei libri. Per tacere pudicamente dei tanti piccoli editori, piccoli solo perché per loro limiti estetici e culturali non potranno mai diventare grandi, per non trattare il tema della banalità e inutilità del 99 per cento dei libri (storie senza capo né coda, romanzi brutti o mal tradotti, saggi inutili, mal scritti e incomprensibili), quasi tutti i libri dei grandi editori sono orribili già per l’aspetto estetico, inguardabili perfino in libreria: copertine kitsch o invisibili, caratteri e titoli sbagliati, foto insignificanti. Perfino mal rilegati e mal stampati, e ormai su carta bianca tipo "stampante da pc". Anche qui i grafici del cattivo gusto sottoculturale imperano. Solo il prezzo è giusto, per gli editori, ovviamente.

Sul mensile ecologico inglese "The Ecologist" il contraddittorio e snob miliardario ambientalista Zacharias
Goldsmith, ex direttore del giornale bibbia del movimento verde, ex-antinuclearista convertito all’atomo e oggi consigliere dei Tories (conservatori) di David Cameron, ha elencato quasi per un gioco mondano coi colleghi di redazione tutto il brutto ("ugly") che attornia un uomo d’oggi, non solo nel Regno Unito. In un articolo che ha fatto scalpore è venuto fuori di tutto, non solo agricoltura intensiva e globalizzazione, prevedibili per un ecologista, ma anche alcune idiosincrasie dello snobismo inglese a cui dà fastidio che anche la società di massa faccia le cose inventate dall’élite conservatrice: dall’insalata pronta nelle buste di plastica sottovuoto all’abbronzatura esibita fuori stagione, dai "saldi" natalizi che iniziano ormai a ottobre, dai fuochi d’artificio alle piste ciclabili, dai nuovi "centri residenziali" alle auto utilitarie. Insomma, l’insofferenza, il rifiuto delle forme dell’attuale società di massa.

Per carità, hanno ragione. Quello che noi ambientalisti e liberali abbiamo sempre detto. Solo, c’è solo da chiedere a questi ricchi esponenti dell’establishment inglese snob (sì, perché non sono mai i veri aristocratici) che arrivano solo ora, al culmine del successo e a conto in banca rimpinguato: ma dove eravate nei decenni passati, quando queste brutture, gravi e meno gravi, sono state pensate e programmate?

JAZZ. Miles Davis negli anni Ottanta, alla tromba, l'insolito sax contralto dritto o stritch di Kenny Garrett, Marcus Miller alla chitarra basso, un batterista che a detta di esperti davisiani potrebbe essere Ricky Wellman, e alle tastiere Adam Holzman. In un filmato delle televisione MTV. Il titolo del brano è "Mr. Pastorius"

AGGIORNATO IL 14 SETTEMBRE 2014