29 luglio 2021

“LA TAVOLA degli Antichi” recensita da Debenedetti sul Corriere della Sera.

 

ERBE RUSTICHE, FORMAGGIO ALL'AGLIO, TRENTA QUALITÀ DI MELE PER UNA CUCINA PIÙ SANA 

SCOPERTA L’ANTICA DIETA DI GIULIO CESARE 

ANTONIO DEBENEDETTI, Corriere della Sera, 29 luglio 1989

Nei romanzi del secolo scorso si mangia molto e si mangia troppo saporito. Nessun medico consiglierebbe oggi di seguire quelle diete ricche di profumati ripieni, di ghiotte selvaggine, di fritture e di dolci, che trovano i loro complici naturali in vini fra robusti e insidiosamente vellutati. Gli scrittori di questi nostri anni soffrono viceversa, dal più al meno, d'un atteggiamento di distaccata sufficienza nei confronti della buona cucina: i loro personaggi si siedono frettolosamente a tavola, evitando generalmente di soffermarsi sul menu.

Molto più consigliabili, a scorrere il ricettario «De re coquinaria» di Apicio o le pagine dei classici (da Plinio a Ateneo di Naucrati, da Catone a Archestrato di Gela volendo escludere l'orgiastico Petronio), ci appaiono viceversa i menu dell'antica Roma. I quali, con un po' d'immaginazione, precorrono quei gusti e quelle mode gastronomiche dell'oggi, che all'appetitoso recupero degli alimenti naturali associano efficaci campagne contro colesterolo, trigliceridi e altri pericolosi inquilini del nostro sangue.

Per chi voglia soddisfare piccole e grandi curiosità, spaziando fra storia della gastronomia e elementi derivati dalla ricerca antropologica, è adesso disponibile un vasto affresco eloquentemente intitolato «La tavola degli antichi» ovvero «In cucina con i Faraoni, con Pericle e Lucullo, con Nerone e Messalina»: sono 328 pagine molto fitte che escono in prima edizione, con evidenti finalità divulgative e di colto intrattenimento, negli Oscar Mondadoriani (lire 10.000). Autore è il quarantacinquenne Nico Valerio: studioso di alimentazione: ha già dato alle stampe saggi come «Tutto crudo», «Il piatto verde» e via così.

Per cominciare, anche nella lettura, nulla di meglio d'un antipasto «naturale» desunto dalla lettura dei prosatori latini: insalata di erbe rustiche, tartine spalmate d'un impasto di formaggio, sedano, aglio, ruta, coriandolo, olio e aceto. Non mancano olive e schegge di formaggio pecorino. Per secondo si può scegliere, accoppiando carni e verdure: agnello al forno, lesso di mare alle erbe, arrosto al miele, cardi in umido, porri gratinati al forno, malva alla Cicerone, broccoli stufati.

Il dessert non può certo dirsi sguarnito: mostaccioli, panini all'uva, purea di mele cotogne, frittelle. La fruttiera, poi, è stracolma: mele di trenta o quaranta diverse qualità, pere, fichi, uva. Quanto ai vini c'è solo l'imbarazzo della scelta: mezzo litro d'un «d.o.c» costa sui 30 denari, la stessa quantità d'un vino superiore ma non straordinario si paga 24 denari. Mezzo litro di vino ordinario, secondo il prezzario imposto nel 301 d.C. dall'imperatore Diocleziano, non supera il costo al dettaglio di 8 denari. I tipi disponibili, secondo una tabella pubblicata da Valerio, sono oltre trenta. Vino? Bisogna intendersi al riguardo: i «d.o.c.» degli antichi romani, dopo essere stati affumicati per giorni nel fumarium, vengono «aromatizzati con nardo di Siria o celtico, rosa, giunco odoroso, fiori di sambuco e di iris, coriandolo, semi di sedano, anice, mandorle amare, cannella.

A tutto questo si mescola, quale correttivo dell'amaro e dell'acido, il miele. Quasi non bastasse, il cocktail così ottenuto finisce a invecchiare in botti spalmate di pece greca o di resina di pino. Non stupisce, dunque, che i bevitori legali, cioè «gli uomini maturi e i vecchi», gustino il loro Albano o il loro Cecubo, il loro Falerno o il loro Labicano annacquati con due terzi o addirittura con tre quarti d'acqua. Nella calura dell'estate, poi, la soldataglia combatte l'arsura con acqua corretta all'aceto. Le signore ricorrono a una bibita di latte arricchito con sedano e crescione. Alle giovani vergini, che s'apprestano alla loro prima notte d'amore, si offre un decotto analgesico a base di papavero, il cocetum. Una cucina più sana e appetitosa dell'attuale, s'è detto.

Le duecento ricette (mancano fortunatamente quelle relative alla preparazione delle pur diffuse pietanze a base di topo o di cane), che figurano in appendice alle pagine dello scorrevole testo di Valerio (e oggi chiunque può ripeterle senza troppa fatica), non sono soltanto una curiosità o un invito a ritrovare insieme con il ricercatore, con l'archeologo antiche golosità. Valgono una dimostrazione. I nostri antenati mediterranei non conoscevano alimenti oggi giudicati indispensabili come il mandarino o la melanzana, la patata o il pomodoro, il carciofo o il fagiolo, il caffè o la cioccolata. Avevano dalla loro una quantità enorme di piante, tuttavia, che rendeva molto più variati, più sorprendenti  sapori della loro tavola. In buona armonia con una natura che ospitava ancora, fin sulle rive del Tevere, il cervo e il capriolo, il lupo e il massiccio orso bruno.

ANTONIO DEBENEDETTI