19 luglio 2020

LA ZARINA che amava l’ambiente, le rane e il Pci, ma era dura con Montanelli.

Era riuscita a domare tutti e tutto, anche sei tumori, la prepotentissima “Zarina”, come la chiamavano nella redazione del Corriere della Sera, di cui tra gli anni Sessanta e Settanta era proprietaria. E alla fine, a 97 anni Giulia Maria Crespi, appartenente a una ricchissima famiglia di industriali cotonieri (famosi i due grandi Canaletto a tutta parete del suo salotto) è morta come voleva lei, in piedi, cioè senza dover ricorrere all’umiliante eutanasia delle sue amiche che, riferiva con ironia, “avevano già prenotato una camera in una clinica svizzera”, tanto le terrorizzava la morte.
      Lei, invece, non aveva paura di niente e di nessuno, tanto meno dei politici, specialmente democristiani e moderati, che disprezzava apertamente. E guai a contraddirla o a tentare ingenuamente di farle cambiare idea: lei doveva avere sempre l’ultima parola. Il buon repubblicano Spadolini, direttore del Corriere, che buon storico ma pessimo psicologo l’aveva definita “la fanciullina”, come per dire che era immatura sì, ma in fondo innocua, venne da lei esonerato senza tanti complimenti e sostituito dall’ “arci-progressista” Ottone che voleva strizzare l’occhio al Partito Comunista. “Troppo vanitoso e accondiscendente verso il Potere”, si sarebbe giustificata anni dopo la Zarina. 
      Montanelli, la vera anima del Corriere, non sopportava né lei, né tanto meno Ottone, e dopo una sfuriata epocale se ne andò sbattendo la porta. Fondò poco dopo Il Giornale, su posizioni liberal-conservatrici, che poi erano sempre state le sue.
      Alla prepotente Zarina l’imprenditoria milanese, la borghesia del Nord e i politici di Centro e dei partiti Laici imputavano di “calarsi le brache” davanti ai Comunisti, dati per futuri vincitori, tipico esempio dell’opportunismo e della viltà dei capitalisti italiani. Vero, ma in un particolare sbagliavano: la Crespi era di sinistra, sì, per quanto potesse capire di politica, ma a differenza degli industrialotti  padani sempre in attesa di “provvidenze di Stato” (o Franza o Spagna, purché se magna), non per viltà, bensì per forte convinzione. Tanto che qualcuno sparse la voce che fosse innamorata di Capanna (e il buffo è che per eseguire un ordine di cattura del super-contestatore la polizia, che crede a tutte le voci, andò addirittura a perquisire la villa Crespi alla Zelata). Ah, dimenticavo: ora Mario Capanna scrive sul Giornale! Sic transit gloria mundi, anzi, panta rei, tutto scorre.
      Ma, allora, proprio niente di buono ha fatto la prepotente Zarina? Almeno tre titoli di merito vanno ricordati, che s’iscrivono nel medesimo settore: l’ambiente. Era una fervente sostenitrice della Natura e della conservazione dei Beni storici. Fu lei, con la ben nota risolutezza che non ammetteva “no” a indicare il nome di Cederna al direttore del Corriere. E così il giornalista ebbe carta bianca per trattare con grande spazio e risalto allora insoliti – una fortuna unica – i temi della tutela del territorio e della speculazione edilizia. Poi ricordandosi di quanto soffriva da piccola quando le riferivano che era per i pesticidi versati nelle risaie di famiglia che all’improvviso non udiva più il gracidare delle rane, convertì i suoi poderi all’agricoltura biodinamica, di cui divenne produttrice e divulgatrice. E ancora, su suggerimento della figlia di Croce, Elena, a sua volta tra i fondatori di Italia Nostra, diede vita al FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano, col compito di acquisire, salvare e restaurare ville storiche abbandonate o cadenti.
      Così, questa sua “mania per i ruderi”, come ironizzavano i suoi tanti avversari, potrebbe ai nostri occhi farle perdonare il vizietto tipico della borghesia senza dignità degli anni Settanta e Ottanta di “vezzeggiare il PCI”. Che, al contrario di quanto aveva sperato la Crespi, da noi non sarebbe mai diventato compiutamente padrone. Ci avrebbero pensato, anni dopo, i popoli della Polonia e della Germania Orientale a decretare con la caduta del Muro di Berlino, la fine del Comunismo e a smentire la Zarina. Ma, in compenso, la coscienza della borghesia produttiva, almeno quella italiana, da allora non è affatto migliorata: ora si piega davanti a politici ben più cialtroni dei seri – a modo loro – comunisti di quegli anni tumultuosi e ruggenti.

AGGIORNATO IL 20 LUGLIO 2020

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