30 aprile 2006

ARA PACIS DI MEIER. L'arroganza del "monumento sopra il monumento"

"Quelli che dicono sempre di no", scrivono i giornalisti leccapiedi - che devono arruffianarsi i sindaci - pensando a noi progressisti che critichiamo le violenze estetiche sul centro storico di Roma. Una città unica al mondo, nella quale non sono sopportabili le convenzioni, gli accomodamenti e le mezze misure che si vedono in altre città. Ma questa volta la teca dell'architetto americano Meier sopra l'Ara Pacis, tra il lungotevere e la piazza Augusto Imperatore disegnata da Morpurgo e dagli altri architetti degli anni Trenta, è davvero troppo pretenziosa, contrastante e magniloquente. Non si accorda nè con lo stile della piazza, che ha una sua unità stilistica ("architettura fascista", diciamo, l'unica cosa che, per quanto anch'essa discutibile - si vedano le statue grottesche - riuscì bene, anzi benino, al fascismo...), né con l'ambiente del Settecento tutt'intorno, tantomeno con le spallette sul Tevere, a pochi metri. E quando i platani, d'inverno, non hanno le enormi chiome che sembrano cadere in acqua, lo spettacolo è davvero fastidioso fin da lontano. Un pugno nell'occhio (v. foto).
Ed è l'inutile pronao, quasi un atrio del tempio (tempio del Kitsch, del cattivo gusto che ricorda lo stile degli effimeri padiglioni di esposizioni), che rende l'opera più esagerata di quanto non sia, così lunga da sfiorare l'antica chiesa dei Croati. Ma anche lo spazio all'interno è volgare, con la vistosa intrusione di due colonne portanti che deturpano la prospettiva grandangolare (non si potranno più prendere foto professionali dell'Ara Pacis con obiettivi di 35 mm) immiserendo con banali superfici convesse l'area di rispetto davanti al parallelepido sacro.
Al limite - ma è evidente che lì non ci devono essere colonne di sorta - avrebbero stonato di meno due colonne a sezione quadrata.
Certo, il "monumento sul monumento", ricordiamolo, è già un'arroganza culturale. Serviva una semplice copertura dalle intemperie per il capolavoro della Ara Pacis Augusti. Bastava la teca di travertino e cristallo dell'architetto razionalista Morpurgo, già di per sé bruttina con quel parallelepipedo e quel testo lunghissimo inciso, ma che pur offendendo le forme tonde delle cupole vicine rivelava almeno una continuità stilistica con la piazza.
Ora, invece, l'interpretazione modernista di Meier appare una violenza, anzi una prepotenza narcisistica, con un kitsch vagamente alla Disney, un po' da cinematografari di Hollywood. Come se il disegnatore di oggi dopo aver demolito la teca di ieri volesse prevalere e farsi bello con una grande, effimera, costruzione di gesso e cartapsta da film, a spese del capolavoro dell'altro ieri. Il contenitore che alza la cresta e si mette in mostra a scapito del prezioso contenuto. Un paradosso urtante.
Mi dispiace, ma i sindaci "progressisti" (a parole) Rutelli, che commissionò l'opera come un principe d'altri tempi, senza concorso, e Veltroni che l'ha gestita fino ad oggi, hanno torto. Mentre il candidato sindaco Alemanno, "reazionario" (sempre a parole"), ha ragione. Sì, lo so, una vicinanza un po' imbarazzante. Ma così è la vita: alle volte hanno ragione le persone che non dovrebbero averla.
D'accordo con la benemerita Italia Nostra, che da dieci anni metteva in guardia le autorità capitoline dal perpetrare questo inutile e costosissimo (si parla di 15 milioni di euro) sfregio al centro storico di Roma, che ora interrompe la continuità stilistica e costituisce un pericolosissimo precedente per le prevedibili altre pazze proposte di amministratori locali senza cultura né buonsenso.
L’ inaugurazione del nuovo museo Meier dell’Ara Pacis, a Roma hanno spinto Italia Nostra ad intervenire per ribadire l’estraneità dell’associazione alle polemiche politiche in corso, ma anche per rivendicare la giustezza delle previsioni che da circa 10 anni hanno visto la storica associazione a identificare nel progetto Meier il vero e proprio grimaldello urbanistico e culturale nei confronti del centro storico romano, destinato a porre fine all’ intangibilità dei centri storici italiani (quello di Roma, in particolare).
Questo è l’inizio della colonizzazione culturale della architettura-spettacolo omologata. Il problema non è estetico, se cioè la teca di Meier sia in sé "bella o brutta", ma culturale ed urbanistico. E' in pieno centro storico: una mole che mette fuori scala gran parte degli edifici circostanti, insiste sull’antico Porto di Ripetta precludendo definitivamente il rapporto della piazza con il fiume, interrompe il "filo" stradale allineato della via Ripetta e incombe in maniera inaccettabile sulle splendide chiese di S.Rocco e di S. Girolamo. Come se non bastasse, è pronto anche il bando per un sottopasso stradale proprio sotto il nuovo museo.
Siamo d'accordo. Il che non significa ostracismo all'arte moderna e contemporanea - precisa il presidente di Italia Nostra, Carlo Ripa di Meana - ma l'assoluta contrarietà ad ogni intervento moderno nei centri storici, che sono beni culturali complessi, unitari e compiuti, sui quali non abbiamo il diritto di intervenire con modifiche che non siano restauri ed ordinaria manutenzione. Questa è la vera "modernità", ripetevano Antonio Cederna e Mario Fazio. Ma oggi i politici "progressisti" sembrano aver dimenticato quella lezione.
Il museo dell’Ara Pacis - conclude Ripa di Meana - è figlio di una vecchia, vecchissima cultura, oggi tornata imperante, che pretende di risolvere le problematiche sociali ed urbanistiche delle nostre città con la matita del famoso architetto di turno, con l'ennesima spettacolare "Grande Opera", addirittura in pieno Centro, strumentalizzando e "turisticizzando" in modo vergognoso l'opera d'arte, aggiungiamo.