31 maggio 2007

CIBO PERDUTO. Quando fece scandalo su Repubblica il primo “mangiar sano”.

Fruttivendola (V.Campi 1536-1591)

.NUTRIRSI CON SAGGEZZA: QUANTE VERITA’ E QUANTE FAVOLE SI DICONO SUI CIBI GENUINI

.ALLA RICERCA DEL

CIBO PERDUTO

L’educazione che più ci manca è quella al mangiar sano.
Sagge indicazioni ci vengono dalle tavole dei nostri avi.
Le due pagine centrali dedicate al “weekend in casa” le abbiamo riservate questa settimana a un argomento monografico: l’alimentazione naturale. Abbiamo voluto fare una specie di punto a proposito delle molte verità, ma anche dei molti miti che si sono accumulati negli ultimi tempi sui cibi genuini, sulle loro proprietà, sui presunti benefici effetti. Una guida, non priva di humour, per i lettori.

.di NICO VALERIO, La Repubblica, 3 marzo 1978.

Se la Doxa o la Demoskopea chiedessero agli italiani «quali sono gli alimenti più adatti all’uomo», pochi saprebbero rispondere. Su questo tema c’è ignoranza anche a sinistra, nonostante che antichi filosofi materialisti e lo stesso Feuerbach abbiano dichiarato: «L’uomo è ciò che mangia».

Ma è vero, poi, che noi mangiamo «più naturale» di americani, tedeschi, inglesi e francesi, ormai allungati e gonfiati come polli di allevamento dalle vitamine sintetiche, con tutte le loro scatolette, patatine, Coca Cola, pizze all’amido?

Fortuna che noi, invece, mangiamo male come si mangiava male nell’America degli anni ’40-50; non come si mangia male oggi, nell’America del ’78. c’è una bella differenza, solo che seguiamo a distanza anche in questo. È un fatto, però, che senza bisogno di revival o mode retrò, oggi in Valtellina ancora si usa la polenta bigia di saraceno, nel Lazio la minestra di farricello degli antichi Romani, in Puglia il passato di fave con le cicorie. Pietanze che sgusciano dalle maglie dell’industria alimentare; nessuna multinazionale, Nestlè o Unilever che sia, ci può speculare sopra. Cibi per etruschi e sabini, fieri e un po’ tracagnotti, piatti ricchi di sapori e profumi della terra. Nelle testimonianze raccolte da Nuto Revelli nel suo Mondo dei vinti i vecchi piemontesi ricordano di aver mangiato fino al 1918 solo e sempre castagne, poca polenta integrale e pan di segale. Nel Sud il “piatto di resistenza” è stato la pasta o la pizza al pomodoro. In più, per gli uni e gli altri, molte verdure; di rado mandorle, formaggi e fichi secchi. La carne non era una pietanza, era un “rito”, per gli sposalizi. Latte e uova? Neanche a parlarne. Galline, vacche e pecore erano un capitale che dava reddito.

Oggi gli scienziati anglosassoni ci invidiano quella che chiamano la “dieta mediterranea”: è più naturale, nutre meglio, evita il cancro e le malattie coronariche. Vaglielo a dire al contadino piemontese di Revelli. Il guaio, ancora 50 anni fa, era che essendo tutti molto poveri, di quel cibo gustoso, naturale e nutriente ne avevano sempre poco.

Ma buona razza non mente. Ancora oggi noi italiani siamo i più forti manducatori al mondo di frutta, ortaggi e verdure. Di soli ortaggi ognuno di noi consuma 155 chili l’anno, contro i 118 del francese, i 69 dell’inglese, i 47 del danese. In compenso abbiamo esportato ovunque la moda degli spaghetti e della pizza all’amido puro, fonte di molti mali, dall’acidosi alla stitichezza cronica, all’obesità, fino alle ulcere e al cancro al colon (Burkitt, Paoletti, Painter ecc.). americani ed europei non finiranno per chiedere i danni?

Chi ha capito istintivamente che bisogna tornare alla dieta degli anni ’50, arricchendola però – ora che possiamo farlo – delle proteine del latte, delle uova e dei formaggi, sono i giovani, soprattutto le donne.

Dietro non c’è solo la crisi economica. In questo senso la flessione del consumismo carneo in Italia, negli ultimi due anni, va oltre i problemi dell’inflazione e della diminuzione del potere d’acquisto. Si inserisce, è vero, nelle nostre abitudini e nella nostra cultura; ma nasconde un elemento di novità nelle motivazioni, proprio come il nuovo movimento anti-caccia: il rifiuto, specie nei giovani, di identificarsi in quei miti di aggressività e di violenza propri della cultura alimentare carnea e, perché no, la ridicolizzazione di certi modelli ultra-maschili e viriloidi che la società dei cacciatori-soldati ha creato.

Quando il filosofo masticava grani d’orzo

Il Naturismo alimentare non è una moda, un’invenzione recente. È un’antica pratica nata, si può dire, con l’uomo. Ippocrate la consigliava fin dal 400 a.C. dettando le regole per gustare i veri sapori, vivere a lungo, prevenire e curare tutte le malattie. Suggeriva il frugivorismo e il granivorismo con abolizione dei cibi carnei.

Ma a quei tempi Ippocrate non era davvero originale: più o meno tutti la pensavano come lui. Nell’Antichità quasi tutti i filosofi: Platone, Pitagora, quelli del Peripato e della Stoà, anche Sofocle. Anche il popolo era d’accordo. I latini mangiavano il puls, una polenta di di farro con formaggio, asparagi o carciofi selvatici, cipolle e mandorle. Perciò i Romani li chiamavano “pulmentari”. Ma anche loro si nutrivano di minestre di farro e verdure, formaggio caprino, aglio e cipolla. Il moretum dei pastori e dei primi soldati era un impasto analogo, molto energetico ed eccitante. Richiestissimi i dolci rustici al miele. Bevevano il vino con l’acqua e chiamavano ubriaconi i Greci che lo bevevano schietto. Mangiavano carne di rado, ma anche troppa secondo il rompiscatole dell’epoca, Catone il censore. Cesare pagava i soldati con un sacchetto di grano e una testa d’aglio ciascuno, ogni giorno. Però gli operai delle piramidi egiziane erano pagati meglio: grano, aglio, cipolle, frutta.

Come spiegare poi la fine dell’Impero romano? I Germani, mangiatori di avena, eccitante e rinvigorente, ebbero la meglio sui romani e meridionali, mangiatori di grano e orzo, buoni tutt’al più per la riflessione e il pensiero (Schmidt, Rezembrick) non per l’azione. I filosofi greci, infatti, quando si ricordavano di mangiare si nutrivano di stiacciate d’orzo e pani d’orzo.

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CARENZE DELLA DIETA ORIENTALE
Macrobiotica che tristezza

Nella confusa ricerca di culture “alternative” è facile fare il passo più lungo della gamba e ritrovarsi in braccio a Shiva o alla dea Visnù. Come? Seguendo gli allettamenti pubblicitari della Grande Mafia degli alimenti esotici. In una certa sottocultura di periferia è agevole spacciare per “naturali” la dieta mistica dei Veda o la screditata ma onnipresente macrobiotica “imported from Japan”. Non si riesce a recuperare la nostra genuina cultura alimentare, ma in compenso c’è sempre un “guru” furbacchione che approfitta dell’insicurezza piccolo-borghese di impiegati complessati, studenti ex ’68 o ex ’77 in crisi, casalinghe plagiabili, per “piazzare” la dieta orientale a sfondo esoterico.

Un’alga, due chicchi di riso, una minzione di tamari, due granelli d’incenso mistico. La sacra mensa va servita sull’altare o in tavola? Guai a dire che il tamari è ormai acqua e sale; che questo tipo di alimentazione è demineralizzante, sbilanciata e carente di proteine, che le pietanze non sanno di niente. A sentire i “teorici” della macrobiotica i cereali integrali li ha inventati un certo Oshawa cinquant’anni fa. Il consumismo macrobiotico è caricaturale. Nelle lussuose “farmacie macro” tutto è già confezionato ed etichettato dalle multinazionali del ramo, Arche de Vie, Lima, Céréal, e venduto a caro prezzo.

Ormai è però accertata la pericolosità di questa dieta. Per la carenza di alimenti crudi, frutta e vegetali, ma anche di latte, uova e formaggi, la dieta macrò è estremamente povera di “vitalìe” (vitamine naturali, enzimi, oligoelementi, sali minerali, lieviti) e di calcio, oltreché di proteine, vegetali e animali, e può essere molto dannosa, specie per i giovani. Si aggiungano poi gli scarsi stimoli psicologici di gusti piatti e insapori, la tetraggine e la depressione quasi autopunitiva che aleggiano nei ristoranti dedicati allo “ying” e allo “yang”.

Del masochismo latente nel consumatore di questa dieta – come della evidente necrofagia dei grandi mangiatori di carne – ci sarebbe molto da dire. Si è parlato di una vera e propria “sindrome”, che si rivela attraverso la facies macrobiotica: volto triste, scarno, teso, inquieto (avete notato che i macrobiotici non sorridono mai?), per lo più decisamente brutto, corpi disarmonici e, spesso, flaccidi.

La famigerata “dieta n.7”, poi, sarebbe meritevole di denuncia penale. Solo riso, per mesi. Nelle comuni macrobiotiche Usa diversi bambini, condannati dai genitori alla “dieta n.7”, sono morti.

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SECONDO LA FISIOLOGIA UMANA APPARTENIAMO
AI FRUGI-GRANIVORI

Il molare piatto dimostra che l’orango è nostro zio

«Carnivori, onnivori, frugivori, granivori, erbivori di tutto il mondo, disperdetevi e cercate il vostro cibo». Gli animali, almeno, hanno l’istinto per trovare il proprio cibo elettivo. Ma noi, che l’istinto lo abbiamo perso, che cosa siamo; carnivori o onnivori? O né l’uno né l’altro?

Carnivori non siamo, perché non abbiamo i canini sviluppati per dilaniare le carni, né denti a sega, artigli o becchi adunchi, né mandibole possenti per stritolare insieme carni e ossa delle vittime, né stomaco molto forte e molto acido, né un fegato capace di neutralizzare completamente le tossine della carne, né un intestino molto corto come i carnivori.

Erbivori non siamo. Ci manca il rumine, non abbiamo l’intestino molto lungo e la dentatura poco sviluppata. Ma neanche onnivori, aggiunge la studiosa Angela Cattro, cioè divoratori non qualificati e specializzati, come il cane e il gatto, il cigno e il pettirosso. Il nostro organismo non è indifferente a quello che mangiamo. Quando mangiamo la carne, per esempio, il sangue che dovrebbe restare alcalino si acidifica; l’intestino crasso che dovrebbe restare acido si alcalinizza.

Che cosa siamo, allora, secondo natura? Soprattutto frugivori e granivori, rispondono gli antropologi e i biologi. La mano, anatomicamente funzionale alla raccolta del frutto (alberi e spighe sono a portata di braccio), i molari piatti per molare semi oleosi e grani, gli incisivi sviluppati per addentare i frutti, l’intestino di media lunghezza, sono tutti segni che ci accomunano ai primati, all’orango e allo scimpanzè, frugi-granivori per antonomasia.

Anche l’enfant sauvage di Truffaut o i bambini perduti nei boschi vivono mangiando le bacche e le radici istintivamente. Eravamo così, insomma. Tutto cambiò quando, avendo spogliato la natura, non avendo ancora scoperto l’agricoltura, e dovendo pur vivere, diventammo nomadi e inventammo la caccia.

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LA DIETA A BASE DI CIBI SANI HA REGOLE D’ORO DA RISPETTARE

Comandamenti per chi vuol mangiar giusto

Hanno fatto scalpore le ricerche antropologiche di alcuni studiosi nei villaggi del Perù e del Caucaso. Là gli ultracentenari si precano, i “vecchi” di 90 anni lavorano nei campi e fanno ancora l’amore; sconosciuto l’infarto, rare le malattie d’ogni tipo. Come mai? Certo, per l’aria non inquinata, l’assenza di rumori, l’equilibrio nei ruoli sociali; ma soprattutto grazie al cibo sano e semplice. Ecco, in sintesi, le regole dell’alimentazione naturista.

FRUTTA – Meglio cruda e lontano dai pasti, se no può fermentare. La mela, però, può essere consumata a fine pasto. Con la buccia o senza? È questione di scelte. Senza buccia c’è un minor rischio di inquinamenti, ma quasi spariscono le vitamine, gli enzimi, la cellulosa. La miglior garanzia sarebbe la frutta d’una volta col “baco”, ma chi la vuole più? In ogni caso la frutta va ben lavata. Boicottiamo le primizie e la frutta esotica, di solito maturata artificialmente, costosa e poco vitale.

ORTAGGI E VERDURE – Se usati crudi, prevengono e curano molte malattie, oltre ad essere gustosi. Carote, crescione, cavolo scuro o rosso, sedano, cipolla, aglio, tarassaco, finocchio e tutte le verdure molto verdi sono adatti per aprire il pranzo. Possono essere anche cotti “al dente” e conditi.

CEREALI COMPLETI – (Frumento, avena, orzo, saraceno, riso, farro, miglio, segale), pane, paste e pizze integrali al 100% per mantenere il tenore di scorie (Burkitt, Reuben). Costituiscono la parte centrale del pasto, il “piatto di resistenza”. Si usano in grani, fiocchi, sfarinati. Sono molto nutrienti per l’alto tenore proteico, ma non ingrassano perché in percentuale hanno meno amido dei cereali raffinati. Quantitativamente possono avere le stesse proteine della carne (l’avena fino al 16%), però hanno meno aminoacidi. Si equilibrano unendoli ad altri cibi, come si usa normalmente.

LATTE, LATTICINI, FORMAGGI – Il latte intero, meglio se di vacche selezionate (ma non quello “a lunga conservazione”) o sterilizzato, che è sostanza inerte e si presta a sofisticazioni, è un alimento molto utile, specie per i giovani. Berlo molto lentamente. Non lo digerisce bene chi si è disabituato a consumarlo ed ha perso gli enzimi che lo trasformano: può riabituarsi bevendolo a poco a poco. Meglio però trasformarlo in yogurt. Salutari anche i formaggi: tener conto però che hanno dal 40 al 65% di grassi. Boicottare i “formaggini” ottenuti con prodotti di scarto pastorizzati. Attenti alle mozzarelle e alla ricotta, facilmente sofisticabili ed esposte a germi d’ogni tipo.

UOVA – Il cibo animale più nutriente ed equilibrato. La loro NPU (utilizzazione proteica netta) cioè il valore biologico, è 94; quella del latte 86; quella della carne solo 76. molto digeribili e utili per gli individui sani.

LEGUMI SECCHI – Ottimi se non troppo vecchi. I fagioli di soja hanno il 45% di proteine, più del doppio della carne. Proteici anche lenticchie e ceci. Perciò niente piattoni all’italiana, ma mezzi piatti.

GRASSI, OLII E CONDIMENTI – Da evitare i grassi animali (lardo, strutto, bacon), burro solo crudo, in piccole quantità. l’extra-vergine di oliva, cartamo, vinacciolo, mais e girasole sono i più sani e digeribili. Ma vanno sempre consumati crudi. Eliminare l’aceto e condire con limone, sale integrale, rosmarino, timo.

CARNI, PESCI, CROSTACEI – Consumarne il meno possibile, meglio farne a meno, riducendone la quantità gradatamente per dare modo all’organismo di disintossicarsi. Dopotutto sono sempre organi morti, pieni di sostanze tossiche (purine e ptomaine, acido lattico, putrescina, cadaverina, scatolo, indolo, acido urico, ormoni, antibiotici).

DOLCIFICANTI – Per torte, gelati, biscotti naturali, per la colazione del mattino, dolcificare con miele grezzo (ha un odore caratteristico). Lo zucchero bianco è un tossico, responsabile di molti mali. Quello giallo di canna è praticamente raffinato come lo zucchero bianco. Solo lo zucchero di canna “color liquirizia” ha ancora le sostanze nutritive della melassa. Per dolcificare le torte bastano l’uvetta, i fichi secchi o i datteri.

BEVANDE – Se l’alimentazione è corretta, in genere, non si ha sete: l’acqua è già contenuta nei cibi “giusti”. Non bere perciò durante i pasti per non diluire i succhi gastrici e gli elementi nutritivi. Si può invece bere dopo due ore dai pasti (tè aromatici, infusi, succhi).

ALCOOL, CAFFE’, CACAO – Nervini da usarsi come medicine, in piccole quantità o comunque sporadicamente, non come alimenti correnti. Un infuso salutare – al posto del caffè – è quello di bardana o quello di cereali misti tostati.

FAME E SETE – Non mangiare se non si ha vera fame, non bere se non si ha vera sete. Il digiuno totale è disintossicante e benefico fino al 7. giorno.

PROTEINE – Mescolare proteina a proteina (uova e legumi, formaggi e carne) può renderle indigeste e meno utili.

COSTI – L’alimentazione naturista ha costi nettamente inferiori a quella industriale-cittadina. Un piatto di cereali costa da 30-35 lire (grano) a 60-80 (avena), a 70-100 (riso), a 140-170 (farro). Due etti di vero pane integrale costano 160-190 lire. 50 grammi di miele grezzo 120 lire; un vasetto da 120 centimetri cubici di yogurt fatto in casa costa 50 lire; un chilo di sale integrale del Monopolio lire 100. I prezzi di frutta e ortaggi, uova e formaggi, sono noti.

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A volte cuocere è un po’ peccare

Il crudo o il cotto? Non c’è dubbio che per conservare agli alimenti tutte le loro proprietà l’ideale sarebbe mangiarli ancora freschi e crudi. I “crudisti” sono le persone più sane e longeve: del cibo assimilano tuti i principi vitali, che il calore distrugge. Per quanto i profani pensino il contrario, la maggior parte dei cibi è più digeribile allo stato crudo. Il cavolo crudo, per fare un esempio, si digerisce in un’ora e mezza; cotto, in un 3 ore e mezza-4 ore. Lo stesso accade per uova, formaggi, latte, grassi e olii, con l’aggravante che, riscaldandoli molto, i grassi danno luogo a idrocarburi cancerogeni e acroleina tossica per il fegato. Niente fritti, quindi.

Ortaggi e verdure possono essere sbollentati a vapore o cotti appena in pentole dal coperchio chiuso, senza acqua né olio ma con un po’ di sale. Cereali e legumi, invece, richiedono cotture consistenti. I più secchi possono essere messi a bagno per una notte e più, poi immersi in una pentola di coccio con acqua fredda e cotti per il giusto tempo a fuoco basso. Ma per i crudisti irriducibili c’è anche il modo di mangiarli crudi. Si lasciano due-tre giorni in acqua fredda, poi si scolano alla meglio e si adagiano su un panno bagnato: germoglieranno in 2-4 giorni. Vitamine ed enzimi così si moltiplicano miracolosamente: sono delicatessen molto tonificanti da usarsi in insalata o come contorno.

Altri nemici del calore, il miele grezzo e lo yogurt: enzimi e batteri muoiono oltre 40-43°. Per la preparazione casalinga, molto facile, di yogurt, pane e pasta integrali, consultare una delle guide indicate a parte.

E gli utensili? Gettate via la plastica e l’alluminio, private del coperchio o della guarnizione le pentole a pressione (la pressione fa aumentare la temperatura oltre i 160°, distruggendo vitamine, enzimi, aromi: una vera violenza al cibo), l’ideale sarebbe usare solo terracotta: si risparmia energia e si conservano i sapori.

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Un menù “bomba” per chi si muove

Suggeriamo un menù rivitalizzante e molto energetico, oltretutto economico. Sarà ben difficile, dopo, aver ancora fame. Un esempio – è chiaro – che non tutti devono o possono seguire. La professoressa, il bancario, l’impiegato di concetto, l’intellettuale e in genere tutti i sedentari, si contentino di molto meno.

Al risveglio: 2 frutti di stagione (200-300 g.)

Colazione (dopo mezz’ora): zuppa di fiocchi di avena con latte, yogurt, uvetta, pinoli o noci, 2-3 cucchiai di germe di grano, 1-2 fette di vero pane integrale con miele grezzo; 1 tazza di caffè di cereali tostati o un infuso tonificante di rosmarino.

Metà mattina: 2 frutti di stagione.

Pranzo: antipasto di crudités (carote.

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ECCO I TESTI E LE RIVISTE DA CONSULTARE

Naturismo è anche carta stampata

L’unica guida italiana ai libri sull’alimentazione naturista è la seconda parte dell’opuscolo Naturismo: quali libri, edito dalla Lega Naturista (L.1000). stralciamo qualche indicazione bibliografica.

Tra i libri teorici-pratici: Passebecq, Dietetica e salute (Siad, L.4800), Oudinot, La conquista della salute (Armenia, L.4200), Dextreit, Le virtù della frutta e della verdura (Martello-Giunti, L.3800), Cattro, Natura, nutrice universale (in 3 voll, piuttosto esoterico-filosofico).

Tra i testi più pratici: Harris, Trucchi in casa (Sperling & Kupfer, L.5900), Buonfino, La cucina integrale (Mondadori, L.1800), Gevaert, Vivere sani con cibi sani (Sperling & Kupfer, L.4900), Couffignal, La cucina povera (Rizzoli, L.1200), Cecchini, La cucina naturista (De Vecchi, L.2900).

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MAPPA COMPLETA DEGLI INDIRIZZI UTILI A CHI SCEGLIE IL “NATURALE”

Guida alla casta mensa

[Seguiva un indirizzario dettagliato per città e Regioni, con decine di indirizzi e numeri di telefono, di club, esperti di alimentazione, ristoranti, terapeuti, botteghe ecc., del tutto superato e inutile oggi].

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NOTA DI OGGI. Questa qui riprodotta fu la prima inchiesta in Italia sulla filosofia e la pratica del cibo sano, quella materia che poi chiamerò nel primo libro, due anni dopo, L’Alimentazione Naturale. Una rivelazione per tutti a quei tempi, quando – sembrerà strano – le uniche correnti di pensiero alimentare erano: 1. la arretratissima gastronomia ufficiale, cioè cuochi e gastronomi, che ancora si rifacevano alla allora pesantissima cucina francese (e infatti sulla Repubblica il critico gastronomo Leo Pescarolo protesterà nei giorni successivi con un articolo sostenendo che volevo far mangiare a tutti solo verdure…); 2. i rarissimi vegetariani, allora per lo più anziani intellettuali spiritualisti, che chiamavano il movimento “Vegetarianismo”: fui io a far notare l’errore e a imporre “Vegetarismo”; 3. i macrobiotici, unica alternativa di qualche vitalità, con un minimo di spiegazioni scientifiche, club, ristorantini ecc. 4. I medici dietologi, che dovevano quasi soltanto far dimagrire, la cui competenza non andava oltre la realizzazione di diete pratiche a base di calorie, proteine, carboidrati e lipidi. Ma qualcuno più sveglio e curioso leggeva i primi studi scientifici che timidamente collegavano il cibo alla prevenzione, sia pure per bollare tutto come faddism (fisime, fissazioni, leggende), come faceva su L’Espresso il dietologo Djalma Vitali. Per il resto tutto taceva. Non esistevano, cioè non erano a contatto di pubblico, i nutrizionisti, che oggi sono di moda e inflazionano tv, giornali e web, anche troppo (e non pochi dicono cose…). I pochissimi allora esistenti erano studiosi chiusi a studiare (ah, se si aggiornassero anche quelli di oggi!). Ah, sì, dimenticavo i medici generici o specialisti. Tranne quei tre o quattro naturisti, erano tutti e in gran parte lo sono tuttora, del tutto ignari di tutto quello che riguardava il cibo.

E il giovane autore dell’inchiesta? Anche lui sapeva poco o nulla oltre alla base di biologia della nutrizione, naturismo alimentare e storia del cibo. E confessa che ora, a rileggere l’inchiesta, si vergogna un poco. Ma ha una quadruplice scusa. 1. A quel tempo erano rari gli studi scientifici sul cibo: i ricercatori non lo prendevano sul serio come oggetto di ricerca. 2. Ma anche se ci fossero stati, negli anni 70 in Italia, visto il bassissimo livello del lettore medio, era vietatissimo scrivere cose scientifiche sui giornali, citando questo o quello studio. 3. E poi il Capo-servizio gli aveva assegnato solo poche “cartelle”, e nelle pagine della lettura del week-end. 4. Perciò inutile sarebbe stato andare nelle biblioteche di biologia dell’Istituto di Sanità, dell’Università La Sapienza e del CNR, come 15 anni dopo avrebbe fatto per il Manuale di Terapie. In compenso l’autore aveva letto tutti i libri pubblicati dai medici o terapeuti naturisti francesi, svizzeri, americani e italiani, con molte cose interessanti e fondate, ma anche con le loro idee personali, le loro esagerazioni fanatiche, gli “studi” condotti solo su 3 o 5 pazienti per di più conosciuti (oggi non varrebbero nulla), le fissazioni, le opinioni più azzardate e bislacche, tra cui quella dell’agronomo francese che assicurava la vitamina B12 nel germe di grano. Insomma, era più filosofia e religione che scienza. In questo non aveva poi tutti i torti Pescarolo. Ma tutto è relativo: nella totale ignoranza generale perfino degli Accademici, l’autore appariva un sapiente. Così l’anno dopo un dirigente Mondadori, allora editore di Repubblica, letta con entusiasmo questa inchiesta, approvò l’idea di trasformarla in un libro per gli Oscar. E solo allora l’autore decise che valeva la pena cominciare a studiare. E così nacque il primo Manuale in Italia su L’Alimentazione Naturale (NV).

AGGIORNATO IL 16 MARZO 2015