10 settembre 2012

ATLETI SENZA ETÀ. Quell’intelligenza superiore che governa la mente e il corpo


Vittorio Colò salto triplo record mondiale veterani a 92 anni
Per i giornalisti, bombardati ogni giorno da centinaia di eventi da trasformare in pochi secondi in “notizie”, un evento vale l’altro, e la notizia così creata durerà lo spazio d’un mattino anche nella loro mente. Domani altre notizie la cancelleranno. Eppure anche chi per questo meccanismo cinico e perverso non può avere vere “idee” personali, altrimenti smetterebbero di fare il giornalista, ha capito la naturalità estrema - altro che stranezza o mostruosità! - della vita di Giuseppe Ottaviani (v. ultima foto) che a 100 anni di età, ha vinto l'ennesima medaglia d'oro mondiale (della sua fascia di età, s'intende: gli ultra-seniores, i veterani): quella del salto in lungo.
      E ancora, Vittorio Colò, atleta e sportivo fino a 95 anni suonati, ancora uomo attivo ma non più sportivo a 101 anni, tanto che pesandogli ormai in modo insopportabile la vita “da vecchio”, che è una non-vita, ha dovuto suicidarsi.
      A Novara l'ottantenne Benito Bertaggia ha battuto il primato italiano sui 300 metri, dopo aver superato il record dei 150 metri.
      Ma perché Ottaviani, Colò, Bertaggia e altri sono e resteranno dei simboli? Non perché il primo ha fatto la II Guerra Mondiale, ha iniziato a fare sport a 70 anni e ha vinto decine di medaglie; e neanche perché il secondo a 92 anni ha vinto quattro titoli mondiali nella categoria “veterani” (salto in lungo, salto triplo, velocità 60 m., salto in alto); ma perché svergognano la pigrizia e il fatalismo dell’uomo della strada, specialmente in Italia, smentendo lo stereotipo dell'anziano iperprotetto e buono a nulla, con tutti gli stupidi luoghi comuni di psicologi, sociologi, medici di base e gerontologi che danno per scontato il regime di vita innaturale dell’uomo fondato sul sedentarismo, che è l’alibi di atteggiarsi ad animali “intelligenti”  (“Io sono un lavoratore intellettuale, sai, mica un bracciante agricolo: faccio il funzionario al Ministero dei Beni Culturali!”) di chi intelligente non è. Il solito errore dei medici e degli altri “lavoratori intellettuali”: ragionare ottusamente - scusate l’ossimoro - solo in base alle statistiche riferite alle fasce d'età, che altro non sono che fotografie acritiche di quello che accade nella realtà, una realtà però in cui tutti sbagliano. Tu sei anziano, anzi nella maturità? Bene, “è normale” che tu non debba far nulla tranne che occuparti di nipotini o annaffiare le piante in giardino, che tu sia sedentario, che tu sia malato.
      Insomma, il vecchio che corre, o meglio l’uomo che correndo diventa a poco a poco vecchio, non è un “mostro di Natura”, ma la Natura stessa. Non è l’eccezione che conferma la regola, ma la regola. Colò, dunque, è stato un testimone, un grande educatore del Genere Umano, che lo volesse o no.

Ciclista centenario Robert Marchand 2012 ALTRI SPORTIVI CENTENARI. Gli anziani, si sa, hanno minori prestazioni, ma questo riguarda molto meno gli anziani che fanno esercizio. Del resto, si comincia ad essere “anziani” fin dai 30 anni, quando inizia a decrescere la gittata sistolica del cuore di 1 per cento all’anno. Ma la tarda età, in tempi di stupido o necessitato sedentarismo generale, è paradossalmente l’età in cui lo sport può davvero salvare la vita e offrire anche una grande motivazione psicologica, combattendo la depressione. E dunque conoscendo rischi e decadenza di organi e funzioni, è l’intelligenza stessa che dovrebbe imporre l’esercizio fisico nella vecchiaia (v. articolo).
      E in parecchi sport aerobici i centenari vanno “bene”, purché col fisico asciutto, debitamente allenati e dal perfetto stile di vita, compresa l’alimentazione. Certo, i pochi vecchissimi sono paradossalmente “favoriti” dalla scarsa concorrenza dei coetanei (nello sport si va a categorie per fasce di età), non vanno fortissimo, e devono stare attenti a non superare un certo numero di pulsazioni cardiache (p.es. 130/min nel caso del centenario ciclista di cui si parla), ma è già un miracolo – in un mondo in cui tutti, anche i ventenni e i trentenni, sono sedentari e incapaci di qualsiasi esercizio – che portino a compimento una gara e anzi facciano corse a ripetizione. Parliamo del ciclista francese Robert Marchand, dal fisico microscopico (151 cm), il che è un ulteriore vantaggio, ma pur sempre con 100 anni di età, che è tornato con successo a gareggiare e vincere in pista, cosa che aveva fatto l’ultima volta a 80 anni. Ha battuto il suo record anche a 105 anni.
Podista maratoneta Fauja Singh indiano sikh vegetariano      E nella corsa a piedi, addirittura nella classica maratona di 42 chilometri, c’è poi l’altro fenomeno dell’indiano sikh e vegetariano Fauja Singh, nato nel 1911, che ha gareggiato nelle maratone competitive fino a 101 anni di età (poi ha promesso solo “corsette” simboliche per beneficienza, perché dice di “cominciare ad accusare gli anni”). Anche lui va “piano” (una maratona in 6 ore circa) ma le gare le porta a compimento. Pizzolato, ex campione che ancora corre tra i cinquantenni, sostiene che Singh più che maratoneta è da considerarsi un camminatore veloce (in media 11 km/h circa). E ci sono parecchi corridori della maratona di New York e di altre maratone, come ha notato nel 2010 il New York Times, che in realtà non staccano mai i piedi da terra, come invece dovrebbe fare un vero maratoneta. E va bene, sottigliezze tecniche. Ma chiunque di noi cammini in città in modo spedito (8 km/h) sa che vuol dire fare quei tre km/h in più: che impegno e quanto sudore! Figuriamoci per un centenario.
      Un'intelligenza superiore, naturistica, dunque, quella che governa il corpo, cioè la mente che governa il corpo (ecco perché molti intellettuali, vecchi anzitempo a trent'anni, senza parlare della quasi totalità delle persone, che non sono né intellettuali né sportivi, sono biologicamente stupidi). Onore ai “geni” Vittorio Colò, Robert Marchand e Fauja Singh, che dimostrando quello che solo pochi veri saggi sanno (che cioè si può essere vecchi a 20 anni, la anormalissima “norma”, e giovani a 100, l'eccezione) hanno dimostrato semplicemente di saper vivere. E anche morire, come è accaduto a Colò – e non per morte naturale, ma per suicidio, per giunta – a 101 anni, dopo aver gareggiato fino a 95.
      E anche in montagna eccellono gli anziani, favoriti dal fatto che la lunga camminata lenta e regolare si addice al loro fisico e al corpo umano in generale. In qualunque sede del Club Alpino Italiano (CAI) vi racconteranno aneddoti sui vecchi iscritti ancora in attività. Se schivano gli acciacchi, gli anziani possono essere grandi camminatori. E, anzi, le continue camminate aiutano a prevenire le malattie, purché con buon allenamento e a velocità non eccessiva, per non produrre radicali liberi che invecchiano. Nel Trentino sono diventati famosi i “super-nonni di Bieno”, come li chiama la stampa locale. Camillo Santambrogio, di 84 anni, e Otto Dellamaria, di 83, due o tre volte a settimana fanno escursioni di 10-20 chilometri con dislivelli di 1000-2000 metri, partendo da questa località. E quelli che si accodano non riescono a stargli dietro.
      Come sarebbe a dire “che merito hanno avuto?” Non sono “mostri di Natura”: definizione troppo comoda per il rag. Rossi stravaccato in poltrona davanti alla tv, e per i tanti che non sanno vivere. Hanno e hanno avuto la rara intelligenza, propria del Naturismo, di utilizzare in modo razionale quello che la Natura ci ha messo a disposizione, e che la totalità degli uomini non sa usare. Il corpo. E se non sanno usare il corpo, che è una funzione relativamente facile, figuriamoci la mente! 
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Ecco l’articolo del Corriere della Sera su Colò (Cesare Giuzzi,10 settembre 2012):
IL CENTENARIO CHE NON VOLEVA SMETTERE DI FARE L’ATLETA

“Ha scelto di fermare il tempo. Gli anni, che a novembre sarebbero stati 101. I secondi, contro i quali aveva combattuto in pista, nella sua seconda vita da atleta. Una fila di record del mondo e venticinque primati nazionali nella categoria Master. Sette medaglie ai Mondiali per veterani del 1997 in Sudafrica. Vittorio Colò ha corso fino al 2006 quando aveva 95 anni. L'ultimo record è di due anni prima: tre metri nel salto in lungo nella categoria over 90. Ieri, poco dopo mezzogiorno, è uscito dalla sua casa di via Pergine, davanti al Monte Stella al quartiere Qt8. Ha percorso poche centinaia di metri a piedi, è entrato nella chiesa dedicata a Santa Maria Nascente e s'è sparato un colpo di pistola alla testa.
      Un unico, letale, proiettile dall'arma che per anni aveva regolarmente denunciato. Sul pavimento, appoggiati con ordine e cura: la carta d'identità, un foglietto con il nome e il numero del cellulare del figlio, una serie di lettere indirizzate alla famiglia. La grafia ferma, poche parole per chiedere scusa. Nessuna motivazione, solo la stanchezza - come ricorda il figlio arrivato in parrocchia assieme alla moglie - per una vita che stava presentando il conto: «Da quando aveva smesso con lo sport era iniziato un lungo malessere, non una depressione. Ma qualcosa gli mancava. Un anno fa, dopo la festa per i 100 anni, con l'Ambrogino d'Oro del Comune, sembrava essere tornato più solare. Poi il calo fisico s'era fatto sentire, non lo accettava».
      La sua gioventù era durata fino ai 95 anni, senza invecchiare mai, correndo a 89 anni i 100 metri in 16 secondi e mezzo. «Era la sua vita, adorava confrontare statistiche e record - spiega il figlio -. Viaggiava per il mondo e non smetteva di allenarsi». Non un eterno ragazzo, nessun patto con il diavolo. «Sapeva che il tempo non lo avrebbe risparmiato. Non era Dorian Gray, sfidava la mente e il fisico, non la vita», racconta chi si allenava con lui nel centro XXV Aprile. Il campo d'atletica che intravedeva dalla finestra del suo balcone. Lì dove tutto era in qualche modo cominciato.
Colò, nato il 9 novembre 1911 a Riva del Garda (Trento), da studente del liceo venne arruolato per il Gran premio dei giovani. Era il 1929. Una gara, poi subito la finale nazionale del pentathlon. I record regionali e gli anni nelle fila della gloriosa scuola d'atletica Quercia di Rovereto. Infine il trasferimento forzato a Milano per gli studi universitari (Chimica) e il lavoro in una grande industria. Lo stop con l'atletica «a malincuore», come racconterà lui stesso in un'intervista ad una rivista dedicata al mondo della corsa: «Arrivavo quinto o sesto nazionale, non aveva senso proseguire». Un amore interrotto, ma mai sopito. Dopo la pensione il ritorno sulla pista grazie alla storica associazione sportiva milanese Atletica Riccardi. Prima come allenatore: conseguì il «patentino» e iniziò a lavorare con i ragazzi due giorni a settimana. Inventò i corsi di avviamento all'atletica. Suo allievo è stato Andrea Colombo, finalista nella 4 x100 ai Giochi di Sydney. Poi le gare Master, una sorta di grande campionato mondiale diviso per fasce d'età. Colò le ha scalate tutte fino, appunto, alla M95 dedicata agli ultranovantenni. Vittorie, podi e record tanto da farne diventare un personaggio internazionale. Interviste, servizi fotografici, perfino la Rete che impazzisce per quello che ribattezzano «il nonno sprint». Di lui si sono innamorati anche i giornalisti sportivi del Mundo , dopo una gara in terra di Spagna. Colò è un atleta forte e invincibile, con le dovute proporzioni, come Usain Bolt o Michael Phelps.
      Accanto, dopo il matrimonio celebrato quando aveva cinquant'anni, la moglie Enrica. Un unico figlio, che oggi lavora in Università, due nipoti. Proprio la moglie oggi sarebbe dovuta tornare a casa dopo una degenza ospedaliera. Non è più autosufficiente, ha bisogno dell'assistenza di una badante. Vittorio Colò, invece, continuava se non altro a camminare. A quasi 101 anni ogni mattina andava fino all'edicola di via Isernia, poi al parco di piazza Santa Maria Nascente, con le panchine, l'ombra e gli amici con i quali perdersi ancora in chiacchiere e discussioni. E la chiesa, edificio moderno che somiglia a un'enorme capanna, frutto di un progetto bandito dalla Triennale nel 1947. Nel cortile pieno di sole quattro macchine dei carabinieri, sotto il porticato il parroco don Carlo Casati con i parenti. È stato don Carlo a dare l'allarme. Dentro, le pareti di mattoni rossi che si susseguono in un enorme motivo geometrico e le panche di legno scuro. Sul pavimento il corpo di Colò e la pistola. Il suo cuore d'atleta s'è fermato in un istante”. 


JAZZ. Il grande e ancora quasi misconosciuto arrangiatore e pianista Tadd Dameron, anima dell’hard-bop, col suo Sestetto con Fats Navarro in Our Delight (1947). Fats Navarro trumpet, Ernie Henry alto sax, Charlie Rouse tenor sax, Tadd Dameron piano, arranger, Nelson Boyd bass, Shadow Wilson drums. Ancora in sestetto con Fats Navarro in Lady Bird dal vivo al Royal Roost (1948). Fats Navarro trumpet, Allen Eager tenor sax, Rudy Williams alto sax, Tadd Dameron piano, Curly Russell bass, Kenny Clarke drums, Chano Pozo bongos. E infine, stessa seduta, in Good Bait (1948). L’annunciatore è il celebre Symphony Sid, il primo disc jokey del jazz, il bianco che ha avuto il merito di far conoscere con la radio tanto jazz (specialmente nero) degli anni 40 e 50 a chi non poteva permettersi di comperare i dischi.

AGGIORNATO IL 24 APRILE 2017

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