15 giugno 2011

ACQUA PUBBLICA. Ha vinto l’Italia che ha capito il referendum-metafora.

Festa Ecologisti al Pantheon per il quorum Referendum (2011)ATMOSFERA NUOVA, ANZI ANTICA. Sembrava quasi di essere ai tempi dei grandi referendum radicali, come il divorzio e l’aborto. Certo, non paragonabili le folle in piazza. A quei tempi c’erano ancora i “comizi” oceanici, e le “manifestazioni” erano quotidiane. Oggi tutto si fa da casa col computer nei social forum, sui blog o con email, e una conferenza di venti persone, un tavolino di raccolta firme o un volantinaggio al mercato sono già considerati grandi esempi di “coinvolgimento diretto dei cittadini sui temi sociali”. Ma sicuramente per i quattro referendum del 12 e 13 giugno (centrali nucleari, gestione privata e profitti negli acquedotti e negli altri servizi pubblici, legittimo impedimento in giudizio per gli alti gradi delle Istituzioni) si è respirata un’atmosfera di frenesia, entusiasmo, partecipazione, analoga ai primi referendum. E come nei grandi temi d’opinione, quindi trasversali, l’attivismo era diffuso in tutti gli strati sociali e perfino politici, in città come in provincia.

GIOVANI E DONNE. E poi i giovani! Mai visti negli ultimi vent’anni così tante ragazzi e ragazze, darsi da fare per l’odiata “politica”, fare propaganda ovunque, con tavolini, ai semafori (con scenette rapidissime, in maschera, che dovevano durare esattamente il tempo del segnale rosso), perfino alle feste o in spiaggia, tentare di convincere l’amico incontrato per caso in strada o in autobus. E le donne! Mai viste tante signore qualunque, per intenderci, le classiche “casalinghe”, quelle che magari non hanno neanche un pc o al massimo sanno inviare una email, raccomandarsi l’una con l’altra di votare, e di votare sì. Così, ne è scaturita una propaganda capillare spontanea mai vista nel Paese anti-anglosassone per eccellenza, cioè anti-idealista, che è l’Italia. Paese cinico, però atavicamente fazioso, e in questo caso lo spirito di fazione ha sopperito alla mancanza di idee e di ideali: i “nostri”, cioè i giusti, i buoni, dovevano prevalere a tutti i costi. E meno male che, una volta tanto, l’obiettivo della nostra “faziosità” era indovinato. I “nostri” hanno davvero prevalso, in un nuovo conformismo, finalmente costruttivo.

CHI HA VINTO, E CHI HA PERSO. Vittoria, vittoria, vittoria! Sì, certo. Il 57 per cento degli Italiani al voto, dopo decenni, e di questi ben il 95 per cento per il sì. E vittoria nostra, una volta tanto. Sì, ma “nostra” di chi, “contro” chi? Contro i pochi, troppi, che governano, contro la Casta? Contro questo Governo di Destra senza idee, ma sicuramente in perenne conflitto d’interesse, affarista, anti-liberale, clericale, anti-ecologico, autoritario, talvolta perfino mussoliniano nei modi, nell’ottusità, nell’odio per il dissenso, la cultura, l’ambiente? Contro un modello ultra-conservatore di speculazione sul territorio, in favore dei soliti investitori e costruttori amici? Sì, certo, contro tutto questo.

CONTRO L’ARROGANZA. Ma vittoria di chi? Dei tanti cittadini, per lo più di provincia, riuniti nelle associazioni civiche per la “difesa dei Beni Comuni”, categoria di beni dimenticata in questi ultimi vent’anni di parole d’ordine conservatrici, alla Reagan, in cui l’egoismo, lo spreco, l’abuso delle risorse ad libitum, erano il “valore” dominante, un dovere di status sociale, l’ostentazione arrogante e infantile di un bene inutile come potere (si pensi al valore simbolico di un fuoristrada, il cosiddetto SUV, quando circola ostruendo vicoli e stradine del centro cittadino), oppure  della minoranza di veri e propri ecologisti motivati e informati, o ancora della gran massa di semplici cittadini, magari più zelanti e consapevoli degli altri? O infine di una fetta di opinione pubblica stanca di soprusi e privilegi da parte di una Destra senza l’antica dignità delle destre storiche, e del suo leader così pateticamente inadeguato, che non aspettava altra occasione per rivelarsi, contarsi, compattarsi in vista di una vera e propria nuova opposizione politica?

IL POPOLO DEL SI’: TRANS-PARTITO. Fatto sta che fuori del controllo dei partiti, tutti presi di contropiede, il “popolo del sì” si è inorgoglito del suo stesso numero ed ha seguito solo le associazioni civiche e i comitati promotori (“per l’acqua”, “per il no al nucleare” ecc) decidendo che il sì non sarebbe stato una scelta “tecnica”, “scientifica”, ma una grande occasione di rivalsa politica. E così hanno contagiato perfino i militanti di partito, i pochi rimasti, e l’intera base elettorale referendaria, che com’è noto è ben diversa e ben più mobile di quella elettorale politica. “Finalmente vittoriosi, dopo tante sconfitte”, devono essersi detti perfino nel PD. Qualunque fosse il tema, il pretesto. Non curandosi del fatto che per delineare in prospettiva una vera alternativa politica servono ben altri metodi, ben altri programmi, ben altri leader (categoria vista come il fumo negli occhi dai comitati cittadini). E se pensiamo che proprio il segretario del PD, Bersani, era stato firmatario della legge che permetteva l’ingresso dei privati nell’acqua pubblica, la legge da abrogare, è difficile immaginare che dietro questo successo dei sì possa nascondersi in nuce una futura maggioranza politica alternativa. Però…

UN VOTO DI RIVALSA. Però, ripeto, al popolo variegato e trasversale dei comitati civici, del Beni Comuni, e perfino ai militanti politici del Centro e della Sinistra, e a tanta gente comune, serviva una vittoria, comunque. Dopo anni di Grande Crisi e di Governi reazionari. E serviva la prova che quando si ritrova su temi e metodi di lotta non-violenti tipici degli ecologisti, l’alternativa trasversale diffusa tra Destra, Centro e Sinistra diventa credibile, e vince.

LA KOINE’ ECOLOGICA. Perché oggi c’è un nuovo curioso fenomeno: gli strati, i settori, le frange, insomma le minoranze più disparate che avevano qualcosa per cui protestare, parlando linguaggi diversi e a rigore incompatibili tra loro, dai localisti della Lega ai qualunquisti civici, dai liberali ai comunisti, dai tanti senza nessuna idea (che in genere si astengono) ai pochissimi con idee forti ed esagerate, per esprimere lo stesso sì avevano bisogno di un minimo denominatore comune, un linguaggio “basic” riconosciuto da tutti. Questa koinè insieme linguistica e tematica, è stata il collante vincente: l’ambiente. Nessuno può negare che i temi unificanti  sono stati quelli ambientali, tant’è vero che perfino le lotte dei comitati locali di cittadini e anti-Casta si sono concentrate, all’atto pratico, su temi come inquinamento, acqua, energia, rifiuti, risparmio. Ecco perché tutti hanno, abbiamo, votato in blocco i quattro “sì”, senza stare a distinguere (eppure, tecnicamente, ci sarebbe stato da distinguere, eccome, vedi il referendum sull’acqua), perché ogni distinguo avrebbe compromesso l’efficacia dirompente di questa massa d’urto.

SEMPLIFICAZIONE. E’ vero, inutile cercare il pelo nell’uovo. Un referendum, per lo meno come sono congegnati in Italia, è sempre una grande semplificazione, una simulazione, una rappresentazione ludo-politica, un grande gioco. Per un giorno facciamo “come se” i cittadini davvero contassero, decidessero in prima persona. Roba da Forum dell’antica Roma. E ha poca importanza, in questa visuale, se la volontà popolare si è espressa con grande approssimazione, come voleva la disinformazione d’ambo le parti, e come volevano Governo, Tv, giornali.

LA NON INFORMAZIONE. E, perciò, c’è stata anche mistificazione, come no. E superficialità. E paura. E allora? Le parole d’ordine erano slogan brevi e taglienti, non dimostrazioni di saggi tecnici. E si trattava d’un referendum popolare, non d’un convegno di scienziati. Allo Stato, certo, sarebbe spettato – attraverso tv, web, pubblicità, scuole superiori, ecc – informare i cittadini in modo dettagliato e neutrale, prepararli “tecnicamente”. Questo deve fare uno Stato liberale: fare in modo che sia più agevole per i cittadini esplicare diritti e doveri. Invece un Governo ottuso e scopertamente fazioso fino ad essere autolesionista non ha permesso nulla di tutto questo, ma ha anzi boicottato visibilmente l’informazione popolare, ha fatto di tutto perché gli elettori non sapessero.

LA FURBIZIA PUNITA. Ma la gente se n’è accorta. Questo vero e proprio attentato contro l’informazione democratica (il “conoscere per deliberare” caro al liberale Luigi Einaudi) ha svelato alla massa dei cittadini il vero valore politico sottostante dei referendum, e visto che davano così tanto fastidio ad un Governo di Destra non liberale ha spinto molti liberali e perfino alcuni liberisti, che forse avrebbero votato due o tre sì e uno o due no, a votare per dispetto tutti e quattro i sì, contro un Governo dedito all’intrigo, alla bugia sistematica e alla furbizia, sfacciatamente autoritario e illiberale come mai in passato, tanto da paragonarlo per atteggiamenti e comportamenti – si pensi solo all’allontanamento di comici e conduttori sgraditi dalla tv – addirittura col ventennio fascista. A quel punto – hanno pensato le persone più illuminate e moderate, chiamiamole pure “liberali”, di Destra, Centro e Sinistra – il pericolo più grave e urgente da allontanare non era più l’acqua pubblica e burocratica, o i possibili carrozzoni (anche perché in Italia abbiamo visto perfino carrozzoni burocratici e poco efficienti in mano a privati), ma proprio lo stesso autoritarismo ottuso del Governo. Prima – devono essersi detti – bisogna evitare il guaio maggiore, poi il minore.

IL VALORE POLITICO. E’ stato il Governo di Destra a dare in tal modo “valore politico” di plebiscito sul suo leader a questi Referendum, dandosi la zappa sui piedi. Era prevedibile, perciò, che un referendum reso elementare, impreciso e approssimativo dalla brutale semplificazione del si-no a quesiti in realtà complessi e dalle imprevedibili reazioni a catena (come l’acqua e i servizi), avrebbe chiamato un voto psicologicamente e politicamente denso, complicato, contraddittorio, trasversale, pregnante come se contenesse tanti piccoli “sotto-voti” inespressi e sottaciuti.

VOTO STRUMENTALE. Così, neanche gli ecologisti hanno pensato davvero soltanto all'acqua o al nucleare, come pure andavano dicendo per tattica di comunicazione politica. Molti, si sono immersi consapevolmente in un voto “totale e contraddittorio”,  perché hanno pensato anche e soprattutto al bene o male che col quel voto avrebbero fatto a qualcuno. Da se stessi a certi Partiti, fino al Premier.

INCOERENZA, PROVA DEI TEMPI MUTATI. La prima prova della prevalenza dell’ambiente, del clima, insomma del “sotto-voto”, sul voto in superficie, è che almeno due leader di partito (Di Pietro e Bersani, autori di una delle leggi da abrogare, che porta la loro firma) hanno votato letteralmente contro se stessi. Mancanza di idee, politici-banderuola, uomini incostanti? No, semplicemente hanno capito al voto qual era il “sotto-voto” reale. Insomma, che i tempi erano cambiati. E un politico deve avere le antenne sensibili.

I PARTITI AL RIMORCHIO. Così, gli stessi Partiti sono andati al rimorchio della nuova opinione pubblica. La gran parte moderata della Sinistra e della Destra è saltata sul cavallo al galoppo miracolosamente apparso dietro la curva. Hanno approfittato dell'onda (“emotiva”, “irrazionale”, “passionale”, “non meditata”? che parole sono: tutte le consultazioni sono così in tutti i Paesi del Mondo) per concentrarsi sul secondo e terzo fine sottostante il voto. Scandalo? No. Questa è la politica. Che è anche mobilità, intuito psicologico, accorgersi dei cambiamenti mentre sono ancora in corso.

CINISMO OTTUSO DELLA DESTRA DI POTERE. A Destra, invece, sono così vecchi e perdenti che tutti presi a frequentarsi solo tra di loro, come una setta chiusa, o non si sono accorti dei tempi e delle idee della gente, o – peggio – hanno deciso di fare sfacciato ostruzionismo,  perché ormai lo stile dichiarato di questa Destra illiberale e dai modi fascistoidi è di far vedere di “non vergognarsi di nulla”. Così, hanno perso per questa mancanza psicologica, non per altro. Anzi, avevano già perso prima del voto.

LIBERISTI: COERENZA NOBILE MA FUORI LUOGO. E allo stesso modo hanno sbagliato gli amici liberisti veri, onesti, autentici, dall’Ist. Bruno Leoni (economisti indipendenti di Centro-Destra) alla Voce (economisti indipendenti di Centro-Sinistra), che hanno avuto il torto della professionalità e dell’ingenuità ideologica, e mentre il castello del referendum crollava su di loro, come nobili parigini sorpresi dalla Rivoluzione a giocare a wist, si attardavano a ricordare nostalgicamente come andavano bene le cose economiche temporibus illis, e come sarebbero andate bene se il Governo avesse seguito i loro consigli, perdendo tempo sui propri siti, su blog e riviste a disquisire di “concorrenza perfetta”, di valore sociale del mercato e di altre bellissime e verissime cose. Dimenticando, però, che un Governo per niente liberista, ma affarista in proprio o per conto di amici, ha finora sempre inteso per “mercato” l’arricchimento di alcuni produttori e l’impoverimento dei consumatori. Tutto questo fa a pugni col mercato liberale, basato su poche ma severissime regole. che, come insegna Einaudi, deve partire proprio dalla centralità dei cittadini, oggi diremmo dei consumatori.

LE RAGIONI DELLA POLITICA. Ma non si era all’esame di economia politica all’Università. Qui c’era da dare una lezione ad un Regime, e in subordine ad una Casta di rozzi privilegiati in abito blu che sfrutta l’Italia da decenni. Altro che accademia! Il problema era un altro. Certo che avevano-hanno ragione in teoria, ovvio che anche i privati dovrebbero avere la possibilità di gestire le energie pubbliche. Non solo perché siamo liberali oltreché ecologisti, ma anche perché l’Italia è pur sempre la settima potenza industriale del Mondo.

IL FINTO MERCATO DEGLI AMICI. Ma quali privati? Questo è il punto. Forse i soliti raccomandati, gli amici degli amici, le aziende pericolanti che si attaccano alle tariffe sicure per far quadrate i bilanci dissestati, gli imprenditori furbetti che con le perdite sapientemente gestite su un acquedotto poi vanno a pietire soldi e altre commesse al Governo? No, proprio no. Non è questo il “mercato”. E non può essere certo questo Governo, questa Destra, a farsi paladina o garante – che faccia tosta! – della libertà di mercato che ha più volte contraddetto favorendo non i cittadini, cioè i consumatori (il mercato solo loro, siamo noi, ripeteva Einaudi), ma solo pochi imprenditori amici, spesso finanziando coi nostri soldi le iniziative più anti-economiche e irrazionali.
Insomma, gli amici iper-liberisti, da ideologi puri legati al principio, ma ignari della realtà, non hanno capito che non era questo il momento, il luogo, il pretesto. Stavano ottusamente al testo, ignorando il pretesto. Nel referendum, sotto il referendum, in realtà si parlava d'altro, e loro non lo sapevano. E poi, se davvero tenevano al mercato libero, avrebbero dovuto pensarci prima, diciamo negli anni 90. Com’è che l’economista Martino, il loro leader, si accontentò del ministero della Difesa, senza mai fare la minima critica alla politica economica protezionistica, contro i consumatori e a favore delle grandi lobbies dei produttori?

PRETESTO E METAFORA. Il referendum, dunque, fin dall’inizio ha significato più di quello che diceva nel suo dispositivo di legge. Voleva dire parecchie cose, anche contraddittorie. E soprattutto aveva un valore traslato, analogico, pretestuale, simbolico. E quest’ultimo aspetto la gente del "sì" lo ha capito bene. Perché stavolta non c’erano i Partiti a confonderle le idee. Come lo hanno capito e temuto anche i cinici dell'astensione (i politici della Destra). Non lo hanno capito, invece, gli ingenui o idealisti del "no", che hanno creduto nello strumento del referendum, e con la loro presenza ai seggi, sia pure votando no, hanno rafforzato il quorum. Del che, noi che abbiamo votato tutti sì, li ringraziamo.
Il voto, insomma, era una metafora. E chi l’ha capita ha vinto.

Una indagine sociologica di Ilvio Diamanti, di molti giorni successiva a questo articolo, ha confermato gran parte della nostra analisi.

IMMAGINE. La festa degli ecologisti al Pantheon dopo il raggiungimento del quorum nel Referendum, con il coordinatore Angelo Bonelli (a sinistra) e il presidente dei Verdi del Lazio, Ferdinando Bonessio, che presentano la torta con la dedica “Grazie, Italia”.

JAZZ. Ecco due rare registrazioni col grande chitarrista gitano Django Reinhardt che suona a Roma nel gennaio-febbraio 1949, insieme col grande violinista italo-francese Stefano Grappelli. Li accompagnano gli italiani Gianni Safred (piano), Marco Pecori (basso) e Aurelio de Carolis (batteria). Studi della RAI, Roma. Il primo brano è Undecided, il secondo brano è Où es tu mon amour.

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6 Comments:

Anonymous ing. Peeters said...

Sì, una analisi molto sfaccetata e complessa, con molti ma... L'articolo va riletto 2 o 3 volte...:-)

16 giugno 2011 alle ore 23:08  
Anonymous Mara e le altre said...

Complimenti per aver analizzato da terza persona... il tuo stesso voto, Nico. Il solito tuo sdoppiamento tra Nico 1 e Nico 2, come ripeti sempre...:-)
Bacioni.

18 giugno 2011 alle ore 18:21  
Blogger Christian Arrobio said...

Ottima analisi dell'evento referendum. Che affianco a quella di Luca ricolfi su La Stampa del 22/06/11 intitolata "L'opposizione neo-romantica" (http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8883&ID_sezione=&sezione= ). L'accusa alla sx di essere neoromantica era già venuta a galla in un'intervista sul sito "Linkiesta" che analizzava gli esiti del referendum, e nel dibattito web che ne è seguito (http://www.linkiesta.it/ricolfi-ha-vinto-solo-l-antiberlusconismo , cui è seguito http://www.linkiesta.it/la-mia-idea-di-democrazia-nell-era-di-internet ove inizia appunto il discorso sul "neo-romanticismo" dell'attuale opposizione). Ora, se in una democrazia liberale il cittadino deve prendere decisioni responsabili, dovrebbe esprimere il proprio voto in merito allo specifico argomento trattato, cercando di valutare le conseguenze dell'uno o dell'altro esito (dubito che molti abbiano fatto un esame della questione approfondito come il tuo). Anche te infine giustamente sottolinei che invece hanno prevalso altre valutazioni, in primis un netto schiaffo al governo in carica e alla (in)cultura politica che incarna.

Ed è qui che trovo corretta la valutazione di Ricolfi. Ed in questo rimango interdetto da come concludi. Mi ha colpito l'ultimo paragrafo: "PRETESTO E METAFORA". Se il referendum "voleva dire parecchie cose, anche contraddittorie. E soprattutto aveva un valore traslato, analogico, pretestuale, simbolico. E quest’ultimo aspetto la gente del "sì" lo ha capito bene", allora dubito che in futuro l'opposizione sarà in grado di convogliare, organizzare in maniera utile questa forza popolare, questa voglia di cambiamento. E benché come dici abbia "vinto" chi ha capito questa metafora, se l'opposizione a questo governo non quaglia in qualcosa di strutturato, di "cosciente", in grado di mettersi in un concreto cammino di lavoro (di riforma dello stato ma soprattutto di formazione di una cultura civica negli italiani - lavoro necessariamente luuuungo in questa nostra Italia), dubito che questa vittoria servirà a qualcosa. Ed è qui che sta il neoromanticismo segnalato da Ricolfi. Presente anche nel tuo articolo, a mio parere...

Christian Arrobio

25 giugno 2011 alle ore 23:34  
Blogger Nico Valerio said...

Hai ragione Chrisarr, dopo un'analisi tanto minuziosa e piena di se e ma, poi l'autore va a votare tutti e quattro "sì"? Così è stato, proprio perché l'autore essendo per fortuna diviso in due, con una metà ha analizzato, e con l'altra votato... Era la prima volta in 14 anni che i cittadini venivano chiamati ad un consulto importante, e bisognava dare un segnale. Del resto l'ha voluto il Governo: se avesse detto "siamo neutrali", se avesse permesso in tv una accurata informazione tecnica, tutto sarebbe stato diverso. Avremmo potuto distinguere.
Ricolfi, che io stimo molto, questa volta però non era al meglio. Non ha detto che tutte le elezioni, tantopiù i referendum, sono partecipazioni emotive e irrazionali, proprio per la scarsa qualità del dibattito sulle cose, sui problemi. Sono sempre drammatizzate in pro e contro l'uomo al potere. E' il personalismo della politica che va abbattuto, e poi bisogna spingere i cittadini a dividersi sui programmi non sulle persone. Corollario: vietare per legge l'apposizione di un nome personale sul logo elettorale (come accadeva prima)... E se i partiti si dividono razionalmente per programmi (cioè conservatori, liberali e socialisti)sono anche obbligati ad una certa coerenza. Mentre oggi sono capaci di tutto.

27 giugno 2011 alle ore 15:28  
Blogger Christian Arrobio said...

Non vorrei per passare come il guastafeste che, mentre tutti si rallegrano per la mobilitazione popolare avvenuta, sui si mette a cavillare sulla bontà e sulla autenticità di tutto l'avvenimento. La mia paura è che si canti vittoria troppo presto, o che si sbaglino le valutazioni in maniera madornale. Una nuova "gioiosa macchina da guerra" affosserebbe ciò che resta della credibilità dell'opposizione... In quest'ottica vedo l'intervento di Ricolfi: uno stimolo a tenere i piedi a terra, e a lavorare per una politica concreta.

27 giugno 2011 alle ore 23:12  
Blogger Nico Valerio said...

Ma certo, lo dico chiaramente nella seconda parte del capoverso IL POPOLO DEL SI': TRANS-PARTITO. Inutile illudersi che sia in nuce una nuova maggioranza. Che p.es. sulle riforme economiche si spaccherebbe subito...

Per questo ripeto sempre che questa Sinistra non sarebbe una soluzione (come questa Destra non lo è stata). Il mazzo delle carte va mischiato e diviso meglio. Dovrebbero unirsi tra loro i tantissimi liberali di Centro, Destra e Sinistra, a cominciare dalla base, con Stati Generali. Il Parlamento com'è oggi non è affatto rappresentativo. Ma i nuovi Liberali, senza peraltro tradire nessun principio dovrebbero finalmente accettare l'ecologia...

28 giugno 2011 alle ore 00:33  

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