IMMAGINI nei giornali e sul web: una faccia (anche finta) per ogni circostanza.
Non si tratta solo di scegliere, però, ma addirittura di “decidere”, dopo che è accaduto l’evento che lo riguarda, l’espressione “giusta” che “dovrebbe avere”, anzi “deve avere”, secondo gli stereotipi di “basic psicology for children” in possesso della Redazione, un personaggio della cronaca ritratto nella foto se gli accade qualcosa. Corrucciato o anche indispettito per l’accusa lanciata da un avversario; sdegnato o perfino irato per il tradimento della moglie annunciato in tv; amareggiato o financo avvilito per la denuncia d’un figlio per droga; tetro oppure solo depresso dopo una condanna penale o civile? Per di più, si sa, le cattive notizie essendo giornalisticamente molto “migliori” delle buone (il che vuol dire che anche i giornalisti mediocri riescono a cavarci un pezzo), si privilegiano le vicende negative. Che, appunto, secondo l’immaginario collettivo redazionale tutto, assicurano le facce più espressive, che rendono di più.
Peccato, però, che la foto sia stata scelta – e pure con molto cinismo – tra mille che giacciono in archivio, accumulate preventivamente per ogni bisogno.
Peccato che poi nella realtà, essendo il personaggio pubblico di solito una famosa imperturbabile faccia di bronzo stile KGB ai tempi dell’Urss, rispetto a cui perfino il re degli scacchi Spasski apparirebbe un giovincello istintivo facile-facile a tradire i propri sentimenti dai muscoli del volto come tenera fanciulla al primo incontro amoroso, le redazioni non trovano mai quello che cercano.
Così devono “simulare”, cioè accontentarsi di foto di repertorio scattate casualmente dai bravissimi e pazienti fotografi delle Agenzie. Ecco come, con una apposita didascalia generica e solo allusiva, un industriale che si massaggia la fronte per il solito malditesta va benissimo se qualche mese o anno dopo la sua azienda fallisce. Un ministro un po’ stanco che sta solo compiendo il sano e salutare rito del “face massing”, il massaggio facciale che tutti noi dovremmo fare più volte al giorno, viene dipinto, anche sull’implacabile internet, come “disperato” (ormai anche certi blogger imitano tutti i viziacci dei giornalisti, ma senza i pochi pregi e senza saper scrivere). Così un amministratore del sud che con tutta tranquillità si era stropicciato gli occhi per sonno, stress e noia in un tranquillo Consiglio comunale, oggi che è scattata l’accusa di mafia si ritrova su tutti i giornali e telegiornali in quella evidente, lampante – diciamolo – ammissione fotografica di shock e colpevolezza.
Ad esempio, il politico o ex-politico Silvio B (ma, attenzione, qui è solo un simbolo: il problema tocca tutti i personaggi pubblici e i politici ritratti) sembra che si disperi come una qualsiasi donnetta sensibile o un impiegatuccio appena licenziato, dopo la conferma della sentenza della Cassazione che lo manda a casa o a un lavoro socialmente utile. In realtà, è stata scattata chissà quanto tempo fa, in un momento in cui l’ineffabile mister B., notoriamente di scorza dura e poco emotivo, era stanco o sonnolento, come capita a tutti noi. La foto è stata archiviata dall’agenzia e utilizzata al momento opportuno. Lo fanno un poco tutti i giornali del mondo, per vivacizzare un giornalismo ormai chiaramente in decadenza. Solo che in Italia si esagera.
E le espressioni delle foto cambiano da un giorno all’altro: e questo è il bello. Il trentino Alessandro Ghezzer senza saperlo mi ha dato lo spunto per scrivere questo articolo di “costume giornalistico” dicendosi sulla sua pagina Facebook scandalizzato per il diverso “trattamento fotografico” ricevuto da un noto politico locale dall’Adige, il giornale più importante della regione. Prima (sopra) una bella foto sorridente, con tanto di dita a V, quando il politico era in auge; poi (sotto) un’espressione profondamente scettica, impotente e di doloroso rifiuto (apparentemente) dopo una sentenza sfavorevole dei giudici. Certo, il confronto trattandosi del medesimo personaggio con le due foto accostate è vistoso e impietoso, ma colpisce solo chi non conosce o non accetta la psicologia dell’immagine nelle redazioni oggi. Finiti i tempi delle foto asettiche, rarissime, ieratiche e quasi “ufficiali” del Corriere della Sera di Albertini. Non è tanto servilismo (per questo ci sono ben altri mezzi e più nascosti, figuriamoci: la stampa in generale è maestra in quest’arte), ma proprio l’adeguamento alla logica dell’espressività fotografica, al moderno ABC di ogni responsabile fotografico di giornali e Tv.
Comunque, ogni volta che vedo queste “foto d’archivio e di circostanza”, attento come sono alla psicologia della comunicazione, mi arrabbio. Perché mostrano il prepotere che hanno nei giornali da oltre 30 anni grafici, art-director e fotografi, che condizionano ormai anche i contenuti e le misure. E anche il cinismo di chi gli ha dato pieni poteri per agganciare gli ultimi lettori marginali. E, guarda caso, è da 30 anni, cioè da quando sono “più belli” a vedersi” (da lontano) ma più insulti o più insopportabili a leggersi (da vicino), che i giornali italiani hanno imboccato una china sempre più ripida. E da critico n.1 del giornalismo italiano, non posso che notarlo.
La parola alla difesa? Bene, parla un testimone eccelso, a discarico: Ma guarda che una foto impressionistica, come la chiami tu, suggerisce, aiuta emotivamente, è meta-semantica, anzi è più semantica dell’articolo stesso (il grande Pannunzio, mio preferito, al cui nome mi inchino).
Già, caro Pannunzio, ma le “tue” geniali foto erano fuori testo, quindi veri e propri articoli, anzi erano spesso in voluta contrapposizione al pezzo in cui erano quasi casualmente annegate. Insomma, non imbrogliavano il lettore, ma davano flash, spunti, commenti paralleli o ironici.
Oggi invece si truffa, si imbroglia, perché il lettore-massa di oggi (e quello del Mondo era sicuramente di ultra-élite) tende a coincidere con quello Tv per semplicità, ingenuità, ignoranza e scarso spirito critico. Quindi crede che davvero quel politico appaia così affranto o gioioso per motivi attinenti all’articolo, all’evento. Non sa che i personaggi pubblici e soprattutto i vecchi politici, ammesso che siano così sensibili, stanno bene attenti a non mostrarsi deboli e affranti davanti a tutti. Del resto, se fossero delicati come mammolette e non avessero grinta e durezza di carattere, come avrebbero potuto sopravvivere e prevalere nella dura lotta politica o mediatica?
Ad ogni modo, che vi devo dire, questa "tecnica impressionistica" dei ritratti mi dà fastidio due volte: perché è antiestetica e volgare di per sé, e perché presuppone che i giornalisti dirigenti abbiano cinicamente programmato il giornale sull’intelligenza media (in realtà bassa) del famigerato lettore di strada, ingenuo, emotivo, credulone, poco esperto di tecnica della comunicazione. Insomma, se non vedi tutto come l’impiegato Rossi al bar, è umiliante oggi vedere i telegiornali o sfogliare un quotidiano.
IMMAGINE: 1. Berlusconi ripreso col malditesta (Corriere della Sera/La Presse). 2. Il ministro Alfano mentre si massaggia il viso per relaxin: su internet verrà definito “disperato”! 3. Ecco come l’art director o il grafico di Redazione vorrebbe che un personaggio sotto accusa rispondesse degnamente per dare una mano alle vendite del giornale all’evento che lo ha colpito (Courbet, Uomo disperato, autoritratto). 4. Il politico trenino Grisenti così era effigiato quando era in auge. 5. E così invece è stato presentato dall’Adige dopo una condanna.
JAZZ. Un album di Clifford Brown in Jam Session (1954) che probabilmente pochi avranno in discoteca. I brani: 1. What Is This Thing Called Love (Cole Porter), 2. Darn That Dream (DeLange - Van Husen), 3. Move (Denzil Decosta Best), 4. Medley : My Funny Valentine (Rodgers - Hart), Don’t Worry ‘Bout Me (Rube Bloom-Ted Koshier), Bess, You Is My Woman Now (Gershwin-Heyward), It Might As Well Be Spring (Hammerstein-Rodgers). I musicisti sono: Clifford Brown trumpet, Maynard Ferguson trumpet, Clark Terry trumpet, Harold Land tenor saxophone, Herb Geller alto saxophone, Richie Powell piano, Junior Mance piano, Keter Betts bass, George Morrow bass, Max Roach drums, Dinah Washington vocal. Hollywood, California. October 14 of 1954.
Etichette: comunicazione, giornalismo, psicologia
2 Comments:
Nico ti do ragione. Detto questo, devo dire che la scuola di questo uso delle immagini, è nata non da Novella, ma da nobile fonte che riterrai inimmaginabile, ovvero il vecchio Espresso, quello a lenzuolone. Ed è rimasto famoso nelle redazioni il ricordo di un importante impaginatore che smise di chiamare i personaggi ritratti nelle foto non più con i loro nome, ma i . Pupazzi che, come i personaggi di un fumetto, servono a illustrare titoli e testo. Manipolazione? Non direi, nella misura in cui i sono accessori al testo scritto. Oggi che lo scritto non c'è più più che manipolazione la chiamerei fiction.
Vero, verissimo, Roberto, L'Espresso fu la prima grande testata a usare le foto in modo spregiudicato e manipolatorio (e sì, lo dico in modo neutro, se erano immagini prese in altra occasione e altro contesto dai paparazzi politici...), grazie alla nuova tecnica tipografica che non distingueva più tra testo e foto, essendo tutto inciso su una lastra curva). In fondo, Santoo, Piazza pulita e gli altri talk show che urlano i titoli e mostrano le immagini impietose fanno la stessa cosa, solo che è multimediale. Ma mi dicono gli storici del giornalismo che essendo il rotocalco nato negli anni 40, anche Oggi di Arrigo Benedetti usava le foto in modo birichino. E poi c'erano i tanti giornali di opposizione e polemica per partito preso (Paese Sera, Unità, ABC ecc) che ricorrevano a tutti i trucchi fotografici possibili. Perfino io nel mio piccolo di direttore del giornale dell'Università (Roma Università), ancora 18 nne, mi misi a scimmiottare i settimanali di denuncia, e nel primo numero sopra lo strillo d’una inchiesta su “Il clericalismo oggi” misi a tutta copertina un’enorme foto di due CC in alta uniforme che salutavano non so più quale discusso e corrotto monsignore d'allora. Che però, ecco il punto, non c’entrava niente col clericalismo: anzi, era un moderato, poveretto. Solo che... eehm... i nostri modesti mezzi di studenti non ci avevano permesso di acquistare le foto migliori, allora molto costose, ma solo quelle di seconda scelta. Come vedi, ho anch’io il mio piccolo peccato di manipolazione da farmi perdonare...
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