8 MARZO. Ma serve il giorno della festa della donna, la metà del genere umano?
Qualunque sia l’origine storica dell’evento, che dal primo Novecento in poi, tra Germania, Stati Uniti e Russia, si è svolto nelle date e occasioni più diverse, la Giornata Internazionale della Donna, oggi popolare in Italia come “Festa della donna”, che pure era nata come evento di sensibilizzazione e protesta, si è banalizzata anno dopo anno, snaturata in una forma minore e “meno tossica”. Come hanno lamentato molte intellettuali donne, tra cui le stesse femministe storiche. E’ vissuta ormai come una “festività” uguale a tante altre, addirittura stampata sui calendari, dove bisogna ammettere che calza a pennello tra due SS. Felicita e Perpetua, ovviamente martiri (il 7 marzo), e S. Francesca Romana, religiosa, cioè suora. Martirio aggiuntivo – hanno denunciato cristiani di base e inquirenti – quello riservato alle donne della Chiesa, molte delle quali costrette dai preti a fare da cameriere, inservienti, cuoche, amanti (il 9 marzo).
E, certo, con grande successo di pubblico, di donne soprattutto, ma anche di uomini, che ovviamente non si lasciano scappare l’occasione più unica che rara d’un giorno in cui i locali e le strade sono affollati del colorito pubblico femminile. Visto che gli esseri umani, e gli italiani in particolare, tendono alle ricorrenze festive, e che ogni cosa seria, drammatica, luttuosa, col passare dei decenni diventa una ricorrenza gioiosa (regali, fiori, risa, divertimento, cena tra amiche, perfino vacanza dal lavoro, come diceva ieri una ragazza della Moldavia)! Le donne, perciò, si fanno gli auguri e li accettano dagli uomini, come se si trattasse di un onomastico personale.
Ma la ricorrenza, essendo le donne la metà del genere umano, e in certi Paesi come l’Italia, la maggioranza, è una terribile arma a doppio taglio, anzi ipocrita, inadatta e sconveniente. Se infatti l'8 marzo, soltanto l’8 marzo, è la ricorrenza della donna, logica vuole che tutti i restanti 364 giorni siano, "a contrario", la lunga, lunghissima, illimitata festa dell'uomo, come fa notare il disegnatore satirico Origone nella vignetta in alto.
Ecco perché da liberali che amano la giustizia, il buonsenso e il "mai troppo", siamo un po' contrari all'8 marzo come si è caratterizzato nel tempo. Non solo perché a noi interessa, giustamente, l’intelligenza, il merito e anche l’onestà delle persone, non il genere sessuale, a cui non prestiamo la minima importanza pubblica, se non per le nostre private scelte affettive e sessuali, ma anche per un motivo minore e più popolare.
Una festa del genere, andrebbe bene, semmai, per una causa ultra-minoritaria, per tutelare una minoranza di persone (p.es. i nudisti, gli atei, gli ebrei, i buddisti, gli amanti del jazz), oppure per ricordare ai cittadini di tutelare un animale raro o in via di sparizione, come l’orso, la lince, il lupo o l’esotico panda, o meglio ancora per i poveri alberi, che non hanno neanche zanne e artigli per difendersi dalle stupide violenze degli uomini, non certo per la parte preponderante o quasi del genere umano.
Siamo seri: un Paese in cui ben 30 milioni e 688 mila sono le donne, mentre “solo” 28 milioni e 745 mila sono gli uomini, non solo non celebra la Festa del suo genere più diffuso, maggioritario, ma neanche la Ricordanza della donna. Sarebbe, anzi è, altamente offensivo e discriminatorio per le donne, che se è vero che si sentono discriminate, così sarebbero, sono, come dicono a Napoli “cornute e mazziate”. Anzi, credo che se i maschi fossero donne, si offenderebbero a morte, e farebbero in strada e sui giornali il diavolo a quattro contro questa umiliante festicciola, e ancor più per le “quote celesti” nelle Istituzioni pubbliche, messinscena che sotto l’apparenza di una spensierata festività, occasione di guadagno per i venditori di fiori e dolci, e per bar e ristoranti, in realtà riconsegna le donne al ghetto della minoranza inetta, incapace, che perciò va tutelata come un animaletto indifeso. Addirittura per legge, dall’alto, paternalisticamente, con le “quote rosa”. Perché si sa, da sole, pur essendo la maggioranza del Paese, alla libertà e all’uguaglianza non arriverebbero mai. Deprimente. Sia per le femmine che per i maschi.
E invece? C'è già il numero, l'alto numero, la maggioranza delle donne. Questo dovrebbe garantire, se le stesse donne lo volessero, una supremazia teorica o almeno la possibilità di autodifesa. Ma lo vogliono veramente? O non preferiscono alcune la comoda strada della lamentela e del vittimismo? Le molte donne intelligenti e dignitose l’hanno già capito da tempo, e infatti non chiedono più né festa della donna, né “quote rosa” garantite a prescindere dal merito nelle Istituzioni. Del resto, caratteristica della libertà è che essa la si conquista, non la si accetta umilmente quando il Sovrano la concede.
E poi c'è un secondo messaggio nella vignetta “femminista” del disegnatore "maschile". Un messaggio tratto pari pari dall'immaginario femminile d’un tempo. La “festa dell'uomo”, cioè il quotidiano andazzo dei tempi ordinari, (“passata la festa e gabbata la Santa”, sottinteso donna) vuol dire che la donna è riportata alla sua “normalità” sociale e familiare aberrante, cioè che come regola è solo una serva che lava per terra senza dignità.
Questo, invece, per la diversa organizzazione del lavoro familiare, è oggi meno vero d’un tempo, anche se pur sempre vero per alcuni strati sociali. Ma questo potrebbe lamentarlo in teoria anche un ipotetico Movimento per la Liberazione dei Maschi. Pensiamo semplicemente ai lavori umili o bestiali (di pura forza) o alienanti o umilianti, che i maschi “in quanto tali” sono costretti a fare in uffici, fabbriche, mercati, ditte di traslochi, porti, ospedali, abitazioni, giardini, cantine, garages, Abbiamo ascoltato con le nostre orecchie in un Ospedale romano dottoresse e infermiere chiedere a gran voce e in modo concitato l’intervento di “due uomini”, per riuscire a trattenere un anziano energumeno fuori di cervello che non potevano sedare. Perciò sono le stesse donne a specificare che non tutti i lavori femminili, fossero pure il lavare i pavimenti, sono da considerare schiavistici e disuguali, ma solo quelli appioppati per pura, punitiva discriminazione di genere contro la volontà della donna.
Ciò detto, accettiamo il carattere consolatorio e autoreferenziale della Festa, ma solo se è davvero una festa, cioè un’occasione per le donne e per gli uomini di incontrarsi. Perché le incomprensioni, i tabù e le comode ipocrisie si perpetuano e si rafforzano grazie alla scarsa vicinanza, alla sporadica frequentazione e alla mancanza di dialogo. Se le donne frequentassero un po’ più gli uomini, anziché le donne, forse imparerebbero a farsi valere di più e a non considerarsi comodamente perdenti.
JAZZ. Celebre e fondamentale album (40'24") del più grande trombettista dell’hard-bop, Clifford Brown (Clifford Brown Memorial, Blue Note 1526). I brani sono: "Hymn of the Orient", "Easy Living", "Minor Mood", "Cherokee", "Wail Bait", "Brownie Speaks", "De-Dah", "Cookin'", "You Go to My Head", "Carving the Rock". Le formazioni sono: Clifford Brown (tp), Lou Donaldson (as), Elmo Hope (p), Percy Heath (b), Philly Joe Jones (ds), del 9 giugno 1953, e Clifford Brown (tp), Gigi Gryce (as, fl), Charlie Rouse (ts), John Lewis (p), Percy Heath (b), Art Blakey (ds), del 28 agosto 1953.
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