PUBBLICITÀ. La libertà di stampa e le vanterie miracolistiche dei produttori
I giornali italiani dipendono passivamente dalla pubblicità, a tal punto che spesso si guardano bene dal pubblicare articoli che parlano di difetti o vizi, anche di infrazioni deontologiche o provvedimenti legali che riguardano i prodotti pubblicizzati. Ne so qualcosa.
Quando tentai di scrivere articoli scientifici, citando sempre gli studi, per un settimanale leader, e per un mensile specializzato in alimentazione naturale, in entrambi i casi la redazione obiettò che in tal modo (cioè pubblicando la famosa verità nascosta che il largo pubblico ignora) le ditte interessate avrebbero interrotto la pubblicità. Una volta una potente catena di importatori di cibi esotici, costosi e di dubbia efficacia, minacciò il direttore: o fai smettere di scrivere Valerio o noi ti togliamo la pubblicità. Che potevano fare quei poveretti, stretti tra il cinismo dell’amministrazione editoriale e la deontologia del giornalismo che dovrebbe sempre perseguire la verità o almeno le due tesi contrapposte? Del resto, trattandosi di argomento scientifico, non erano neanche esperti. Basti pensare che il “caposervizio scienza”, come in molti giornali, era laureato in lettere, e per lui dunque una parola vale un'altra, una tesi vale un'altra. Il che Le “prove”? Quali prove? E che, forse esistono le “prove” che la Gerusalemme Liberata è inferiore alla poesia di Leopardi? Il relativismo assoluto – mi piace usare questo bisticcio – è il comodo espediente tipico di una diffusissima sottocultura giornalistica. E poi, diciamola tutta, né il caposervizio né il direttore erano eroi.
Questo squallore dei giornali italiani (e meno male che stanno fallendo ad uno ad uno: se lo meritano) mi è venuto in mente nel leggere l'articolo di La Pira che allego: una ditta che vende nel mercato salutista e promette regolarmente alle donne credulone preparati miracolosi è condannata più volte dal Giurì pubblicitario, ma nessun giornale che ospita quella pubblicità informa mai i lettori di quella condanna. Gravissimo. Duplice scorrettezza, scrive l’autore nell’articolo.
Infine, poche righe di scienza: la genisteina e gli altri isoflavoni del trifoglio rosso (la comunissima pianta dei prati da foraggio utilizzata per il prodotto in questione) sono certo utili e possono essere benèfici. Ma in che quantità, e assunti come? Non si dice mai. Spesso neanche è chiaro agli stessi ricercatori. Perciò, chi furbamente mette in vendita pillole con pochi milligrammi del presunto principio attivo isolato, anziché l'erba o la verdura intera che usufruisce degli effetti sinergici tra centinaia di sostanze (ecco la differenza tra l’efficacia della pianta naturale e quella d’un estratto o peggio ancora d’una sostanza isolata) dovrebbe dirlo chiaramente sull’etichetta. Ma allora, state sicuri, non venderebbe neanche una compressa.
E, infine, buttiamola in politica economica: sarebbe questo il Far West, cioè il “mercato libero” senza controlli che vogliono certi esagitati ultras, non dirò liberali ma iper-liberisti alla Thatcher o alla Reagan? Insomma, la sacrosanta “libertà di stampa”, spesso tirata in ballo a sproposito, deve intendersi sempre a favore dei produttori, che possono scrivere mirabilia nei testi pubblicitari, e mai dei consumatori? Probabilmente, dice un amico giornalista, basterebbe una multa al giornale che ospita la pubblicità di prodotti che hanno avuto condanne con obbligo di rettifica. Certo. Ma non sempre i Giurì obbligano o hanno il potere di obbligare alla rettifica. Negli Stati Uniti, sempre citati, e negli altri Paesi liberal-democratici è così.
E allora, che deve pensare un liberale, stretto tra la libertà dei produttori, la vera e propria epidemia di consumismo, lo strapotere della pubblicità, le leggende metropolitane, l’ignoranza dei lettori e la libertà di scelta dei consumatori? Lo diceva sempre anche Einaudi: se la teoria del mercato viene contraddetta dalla realtà, se cioè il peso dei produttori non è bilanciato nella pratica da un adeguato peso dei consumatori, lo Stato liberale un aiutino ai più deboli (in questo caso i più disinformati) lo deve dare. Le leggi devono intervenire, e se ci sono già devono essere fatte osservare.
JAZZ. Un intero album di 37 minuti, intitolato “Go”, col sassofonista be-bop Dexter Gordon, ci riporta alla rilassatezza tipica di questo musicista che, a parte qualche asperità timbrica (forse Dexter ha sempre… sbagliato ancia!), si potrebbe iscrivere nella corrente cool che da Lester Young ha portato al jazz della West Coast. Attenzione, la mia è una provocazione. Ma tant’è: basta avere orecchi.
Etichette: anticonsumismo, comunicazione, consumi, economia, pubblicità, salute, salutismo, scienza
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