POESIA. Le crudeli invettive di Zeichen, poeta originale dal furore “scientifico”.
« ODIO LE SCARPE DA TENNIS »
Ed eccomi, quindi, in un mezzogiorno assolato a parlare non so più se di poesia o di ecologia con Valentino Zeichen, nato a Fiume e residente in Italia fin dai primi anni '50. E' un personaggio. Definito eccentrico e colorito solo perché vive in coerenza con le proprie idee, individualista e anticonformista come pochi, Zeichen conserva nel volto il segno caratteristico del poeta nato: lo sguardo meravigliato e limpido del bambino. Durante l'intervista, però, rivelerà anche un atteggiamento ironico, da intellettuale. Vive da bohémien in una casetta rustica che ha costruito egli stesso, mattone su mattone, nel verde del Flaminio. Tra i poeti romani si è imposto all'attenzione dei critici e del largo pubblico per la sua vena di «astratta eleganza», per «l'erotismo freddo, matematico» dei suoi libri (G. Conte, V. Magrelli), e ora anche per l'ironia, il motto di spirito che talvolta cede al sarcasmo. E' affascinato, come uomo e poeta, dalla corporeità, dal mondo degli organi e degli oggetti minuti.
«Guarda, ti parlerò piuttosto dei miei sandali. D'abitudine, calzo sandali Ballin con plantare incorporato, una prima suola di cuoio e una seconda di gomma. Io sono convinto che tutta la salute risiede nel piede e che un piede libero di traspirare, fresco, dà freschezza e libertà alle nostre idee. Dopotutto, ce l'hanno insegnato da ragazzi ad andare in giro con saldali e calzoni corti, anche d'inverno. Fa bene, sì, il fresco tempra il corpo e la mente. Ecco una piccola abitudine igienista che si è persa.»
D'accordo, ma avrai pure, caro Zeichen, una tua idea sul movimento ecologista.
«L'ecologia per me è una scelta individuale, privata, non certo un partito o un referendum. E poi, sei sicuro che tutti gli ecologisti abbiano gli strumenti per leggere il reale? Prendiamo ad esempio la centrale ex‑nucleare di Montalto di Castro. Ci rendiamo conto che al porto di Civitavecchia attraccherà ogni giorno una petroliera? E se succede qualcosa, non sarà un'altra Torrey Canyon? Tutto questo per produrre più energia, un'energia inutile. Sai che ti dico? Se questa macchina produttiva non si ferma andiamo verso la catastrofe. Non ho paura tanto per noi, che bene o male potremo arrivare ai 65‑70 anni, a meno di incorrere nei soliti «incidenti neoplastici»; ma per quelli che verranno. Che ambiente lasceremo? »
E bravo Zeichen: un «fondamentalista» insomma. Chi l'avrebbe detto, trattandosi d'un poeta. Che fare, allora?
«Bisogna cominciare a dire di no, eliminare qualcosa. Bastano dei piccoli atti quotidiani, individuali. Per esempio, combattere i detergenti, gli shampoo, ridurre i saponi. Certo, così torniamo alla «civiltà del grigio». Ma chi ha detto che dobbiamo andare verso il «bianco più bianco»? E qual è il limite del bianco, lo si dovrà chiedere ad un ottico o a un filosofo dei colori... Pura stupidità consumista. E dire che la nostra si definisce una civiltà scientifica, tecnologica e razionale. Macché. Rivela baratri di irrazionalità da far paura.»
Insomma, al posto della «guerra, igiene del mondo», slogan caro ai Futuristi, ecco «l'igiene, come guerra al mondo».
A cominciare dalle acque luride, vero Zeichen?
«Come no. Se uno si fa due bagni al giorno consuma 150 litri d'acqua potabile. Ma siamo pazzi? L'acqua da bere è ormai rara, non va gettata via. Che significa? Che dovremo usare meno tovaglie, cambiare meno spesso le lenzuola, farci ladoccia anziché il bagno in vasca, e non più di unadue volte a settimana. Dobbiamo imparare a convivere con lo sporco. E invece la categoria dello sporco è stata freudianamente rimossa. La fobia dello sporco, per paradosso, produce altro sporco indotto...»
E' vero. Dermatologi e medici igienisti ripetono da anni che non bisogna usare troppo sapone, per dar modo al «manto lipidico» che protegge la pelle di riformarsi e non neutralizzare del tutto il pH acido. L'eccesso di «pulizia» consumìsta porta micosi, candidosi vaginali, malattie d'ogni genere.
«Un problema psicologico, filosofico. Siamo soggiogati dall'idea dello sporco persecutore, paranoico, diffusa dall'industria dei detersivi, dei saponi e degli shampoo. Ma guardiamola con altri occhi questa realtà. Dove vanno tutte queste acque luride prodotte dai nostri lavaggi? Nel sottosuolo, nei sotterranei, cioè nell'inconscio. Va a finire che insozziamo ancora di più il nostro inconscio, senza però rendercene conto perché rimuoviamo. Una scatola chiusa, anzi una scatola nera che apriremo forse solo al momento della catastrofe ... »
E così hai deciso di scendere in campo con l'ecopoesia.
«Sì, quando L'Espresso mi ha chiesto di scrivere una lirica di carattere ambientalista ho capito che non sarei stato più il solito poeta, il fianeur ironico e svagato, ma un uomo che riflette, che sa assumere impegnì, che ha una sua visione della vita. La natura, dopotutto, è sempre stata il soggetto vero della poesia. »
Arrivederci, Valentino. I lettori di Scienza Duemila ti saranno grati, per aver scoperto una personalità ricca come la tua, ma anche per essersi imbattuti finalmente, dopo tanta televisiva «Soap opera» (così si chiamano neglì Usa gli stucchevoli sceneggiati soap‑opera interrotti di continuo dalla pubblicità di detersivi), in una vera, originale «No‑soap opera»...
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