13 aprile 2007

TRA TE’ E SE’. Quattro caffè e sei Sgarbi, un tè verde e sei Ceronetti

Sono stato uno dei primi in Italia a sorbirmelo (è davvero il caso di dire), il tè verde. Vent’anni prima che diventasse di moda perfino tra le lettrici di Donna Moderna (sempre up-to-date, loro) o, manca poco, Famiglia Cristiana.
Sono teista, ma non nel senso cui alludeva Voltaire. Credo di non poter vivere senza il piccolo rito metronomico del tè.
In questo la penso come un altro vegetariano incazzato, lo scrittore biblista Guido Ceronetti, lingua tagliente, altro onesto perfido. Già: perfido perché onesto. Peccato solo che il delirio dei suoi furori - dai pensierini finto-ingenui sulla Stampa ai suoi libri - richiami l’Apocalisse. "Così imparano", sembra pensare, gli "altri", gli odiati "molti". Neanch’io amo le masse, ma sono per i godimenti del Paradiso Terrestre. Ecco perché ho scelto una modella nuda che beve il tè come illustrazione. Lui, invece, è un angelo vendicatore. In questo, il coltissimo celebre appassionato di marionette è ancora un proto-cristiano, un esseno. A metà strada tra S. Francesco e Beppe Grillo. Ma col lucido e tortuoso arzigogolo alla Pannella.
Ebbene, ‘sto Ceronetti, Grande Snob della Palingenesi, Capopopolo della Resurrezione dei corpi, il Savonarola che trasforma i corrotti in politicamente corretti, è forse tipo da bere quattro caffè di fila, e in piedi, alla Sgarbi? Nooo. Lui usa il tè da meditazione, come altri bevono vini davanti al caminetto sprecando tempo a parlare di annate e cru. E infatti nel libro "Pensieri del tè" fa l’elogio del tè verde.
Ma sarà per la "catechinata" caffeina del tè verde, che dura più a lungo nel sangue del Catechista spretato che catechizza tutto e tutti; sarà perché le sue oneste perfidie sono capite benissimo dagli altri teisti incalliti bevitori di tè verde, fatto sta che "Pensieri del tè" è uno dei libri più leggeri, belli e cattivi che abbia letto. E si sa che in Italia, Paese di falsi e ipocriti cattolici che recitano in modo untuoso la parte dei Buoni, i veri Buoni come Ceronetti alla fin fine sembrano cattivi.
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Però ha ragione Ceronetti: il tè verde porta lontano, aggrega pensieri, fa divagare. E dire che mi ero messo a scrivere due righe per rispondere alla domanda di Maria Cristina: "Qual'è il tè verde migliore? Ho visto che ce ne sono di vari tipi... Oppure uno vale l'altro?" A forza di bere tè verde, invece, mi sono perso in accostamenti, ritratti e ricordi... Effetti dei "pensieri del tè", appunto, come dice Ceronetti.
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Al contrario di certi naturisti rimasti ottocenteschi, perché poco scientifici, che rifuggono dal caffè come da una droga (ma tutto è droga, hanno dimostrato i ricercatori, perfino il pane e il latte), io un buon caffè - rigorosamente senza zucchero per gustarne il vero sapore, come si deve sempre fare con tutti gli infusi - posso anche berlo, magari fuori casa. Ma la mia bevanda preferita, dopo l’acqua, è il tè.
Credo di aver provato quasi tutti i tipi di tè importati in Italia e Inghilterra. In certi momenti, anzi, mi sono piaciuti molto perfino il tè affumicato Lapsang Suchong, abbandonato a malincuore per le pressioni del Nico ultra-razionale (affumicatura=cancerogenicità), sia il delicato oolong cinese, sia il fortissimo, quasi in polvere, tè nero dei carovanieri arabi del deserto, che fa un infuso così scuro che una volta l’ho usato per tingere una maglietta. Anche i tè oolong e neri hanno delle qualità, e molti studi scientifici provano il loro potere antiossidante. Ma non possono competere col tè verde. Che purtroppo come gusto è il peggiore. Checché ne dica il grande Ceronetti.
In Italia, che io sappia, esistono solo 3 tipi (salvo piccole eventuali importazioni locali):
1. tè verde della Cina, nelle caratteristiche scatole cubiche di cartone leggero color verde scuro;
2. tè verde in scatole di latta, importato (da dove?) dalla inglese Twining e ribattezzato in etichetta "Gunpowder", in cui le foglie di tè sono state appallottolate in forma più regolare e sferica.
3. tè verde del Giappone, in buste piatte di cellophan trasparenti. Così costoso che una mia fidanzata giapponese, con tutto il nazionalismo dei giapponesi, usava sempre l'economico cinese (oggi 250 g a 2.50 euro).
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Differenze? Uso o ho usato sia il Twining, sia il cinese esportato dall’azienda di Stato. Credo che caffeina (3%) e catechine (ben il 30% in peso) siano assolutamente analoghe in entrambi i tipi. Il tè verde non è come il tè nero, che può essere fermentato in mille modi diversi. E' la semplice foglia naturale di tè essiccata senza fermentazione. C'è poco da fare, quindi, per caratterizzarlo. Ha le medesime caratteristiche della foglia fresca.
A voler essere pignoli, ci sono sicuramente differenze di qualità (zone diverse del raccolto, prime foglie, seconde foglie, foglie raccolte prima o dopo, foglie più grandi o più piccole ecc) o merceologica. In India, Ceylon, Indionesia, Cina e Giappone ci sono tè verdi diversi a seconda della zona climatica, del periodo in cui sono stati raccolti. La categoria migliore in Cina, per esempio, è l’AAA. Dicono che in Europa arrivi solo la qualità A. Secondo le voci, la qualità AAA, rarissima, se la sorbiscono i vecchioni della gerontocrazia del Partito Comunista cinese, e come omaggio alcuni sovrani (Elisabetta d’Inghilterra) e capi di Stato esteri. Negli Stati Uniti, vista la grande richiesta del mercato interno (là non è come in Italia: la moda segue da vicino la scienza), importano le qualità migliori. Anche se - consoliamoci - è così abbondante l’epigallocatechina anche nel più comune dei tè verdi che aspettarsi qualcosa di più, farmacologicamente, è da fanatici. Certo, potrebbero esserci anche delle sfumature di gusto, questo sì, il che per un tè organoletticamente mediocre come il tè verde non è secondario.
Ma anche tra i pochi tipi importati in Italia ho notato qualche minima differenza. Avendo meno sminuzzamenti, il tè verde a pallottole grosse (Twining) fa nella tazza un tè più pulito e quasi senza residui per chi come me si ostina a non usare il colino, che ovviamente ho, di vimini, non di metallo, perché rovina il sapore del tè (pochi cents nei negozi esotici).
Divertiti, Maria Cristina, a provarli tutti e due. E vediamo se trovi qualche differenza almeno nel gusto. Ho letto centinaia di studi sul tè verde, ma non ho mai letto - o forse non ricordo - di serie differenze di contenuto e di attività tra tè verde giapponese e cinese. Anche se i nazionalisti ricercatori del Giappone mettono perfino nei titoli "japanese green tea".
Comunque, a differenza di Ceronetti, lingua e olfatto vorrebbero Lapsang Suchong o Orange Pekoe o Darjeeling o Assam. Uso il tè verde solo perché sono razionale. Due tazze al giorno rigorosamente senza zucchero: di più non mi farebbe dormire, diversamente dal caffè. L'infusione - ho scoperto in uno studio scientifico - deve durare esattamente 3 minuti in una teiera già caldissima a cui è stata aggiunta l'acqua bollente necessaria ad una classica tazza da tè. La mia dose è un cucchiaino da tè poco più che raso per tazza. Chi prende 2 tazze deve mettere 2 cucchiaini di tè verde (una cosa che consiglio solo al mattino dopo la colazione.
Ma, suggestioni e mito a parte, il suo sapore ricorda l'acqua di cottura della bieta, un pò diluita. Niente a che vedere con certi tipi di tè nero (che poi è la stessa foglia molto fermentata) o di pregiato tè oolong (fermentato a metà, quindi tra verde e nero), ma anche con certi caffè di gusto e infusi di erbe. A parte il sapore in sé, che è sempre possibile correggere con erbe aromatiche (timo, salvia, rosmarino o santoreggia, piuttosto che il gelsomino dei ristoranti cinesi di Londra), il panegirico che gli fa Ceronetti in "Pensieri del tè" è giustificato dalla tenue ma costante attenzione che il tè verde sembra stimolare in chi scrive o medita pensieri. Insomma, sarà per la "caffeina catechizzata", Ceronetti sembra attribuire al tè verde l'impressione d'una percezione più acuta.
Anch'io ho avuto in alcuni momenti impressioni del genere. E' anche vero, però, che non basta bere a profusione tazze di té verde per diventare saggi e distillare aforismi ben riusciti sul genere umano, come il vegetariano moralista dell'Apocalisse. Come non bastano quattro caffè bevuti uno dietro l'altro e in piedi per fare lo Sgarbi, così ci vuol altro che una tazza di tè verde per diventare un Ceronetti. Per fortuna..

7 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Efficace il ritratto affettuoso-caustico di Ceronetti.

13 aprile 2007 alle ore 14:16  
Anonymous Anonimo said...

bellissimo. sempre tranchant. Ho imparato almeno 4 cose che non sapevo sul te. Ora saprò cosa dire al prossimo tè con le amiche...
Il problema sarà semmai "che tipo di tè mettere nella teiera".
Ci accapiglieremo...
Complimenti

13 aprile 2007 alle ore 15:03  
Blogger Nico Valerio said...

A Malik: ho conosciuto Ceronetti alle Sette Spighe, una bottega di alimentazione naturale di tendenza macrobiotica. Un genio, con tutte le virtù e i vizi dei geni

13 aprile 2007 alle ore 15:06  
Blogger Nico Valerio said...

A Daniela. Be' se le teiste sono carine invitami

13 aprile 2007 alle ore 15:09  
Anonymous Anonimo said...

leggere i tuoi articoli è sempre un piacere.....
grazie
mc

13 aprile 2007 alle ore 15:10  
Anonymous Anonimo said...

Bell'articolo, ma non sono d'accordo che il sapore del tè verde faccia schifo. Forse ne metto troppo, ma il mio "sa di tè"

13 aprile 2007 alle ore 15:13  
Anonymous Anonimo said...

Caffè? Ma Sgarbi è tipo da cocaina, piuttosto.

14 aprile 2007 alle ore 11:27  

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