CANTO JAZZ. Ugole d’oro o d’ottone? Dal blues o più spesso dalla musica pop.
Ma quando si passa al discorso critico, anzi quando si cerca una relazione tra un elemento musicale rilevante come il canto e il diagramma storico-stilistico del jazz, la prospettiva cambia; il procedimento rigoroso porta a conclusioni drastiche, impietose
L'argomento è d'attualità, dopotutto. Più volte càpita di dover rispondere imbarazzati alle domande di amici e consanguinei di vario grado e varia capacità dialettica, per niente addentro nei fatti del jazz. «Ella Fitzgerald canta jazz o musica leggera?», chiede con un soave sorriso la nostra cara amica, non sapendo di procurarci una fitta lacerante. Inutile fare i furbi: una risposta esauriente va data entro due-cinque secondi, se non si vuoi perdere la faccia. Qual è allora il ruolo dell'elemento vocale nel jazz? Canti e vocalismi rurali pre-jazzistici e jazzistici, come work song e field hollers, shouts, spirituals e blues arcaico - alcuni individuali, altri collettivi; alcuni intonati «a cappella», altri con accompagnamento strumentale di chitarra o di percussioni, sono ingredienti cospicui di quel pot-pourri in cui fermentò il jazz. Eppure, persa in epoca «storica» la loro individualità di espressioni culturali antropologiche, nel momento in cui si risolveranno in una compiuta «musica d'arte» (siamo arrivati al punto che debbo scusarmi per questo termine), quelle antiche forme vocali hanno finito per interessare al più l'etnomusicologo, non certo il musicologo o il critico, che cercano musica viva.
Dal folclore, per di più remoto e aleatorio, ad una forma d'arte musícale matura, generalizzata nell'uso e compresa in tutto il mondo, come accade oggi - in una sola parola, alla tanto vituperata Kultur - il passaggio non è stato breve e conserva vaste zone d'ombra. Sta di fatto che soltanto il blues, unica ingombrante eccezione, resta, sia pure in declino, un genere vocale autonomo, pur avendo costituito fin dall'inizio - com'è arcinoto - un notevole elemento tematico-struttura1e della nuova musica, anzi la sua vera «anima negra» («tutto il blues è jazz, ma non tutto il jazz è blues» recitano gli scolari d'asilo). Come mai? Evidentemente perchè dotato - a differenza di altre forme vocali - di consistenza espressiva aútonoma, di più rigidi schemi formali e della tipica astrazione artistica che ne hanno permesso (se è lecito ragionare in termini di... darwinismo musicale) la sopravvivenza fino ai giorni nostri. Non a caso solo il blues tra le espressioni vocali prejazzistiche e jazzistiche ha toccato i vertici di un'arte raffinata che in Europa trova riscontro forse solo nella tradizione dei Lieder, pur continuando ad ispirare in epoca recente l'anima negra del «rivoluzionario» Parker e oggi perfino di un Archie Shepp.
Restringere per ora il discorso alle forme non blues non cambia però i termini dell'analisi. E' un fatto che in epoca storica, cioè da almeno ottanta-novanta anni (ovvero dalla «civiltà dei rulli di pianola» o «del ragtime«, come dirà qualche antropologo del futuro) il jazz ha sempre privilegiato il momento collettivo-strumentale a scapito di quello individualc-vocale, come l'unico (ecco l'a posteriori storico) evidentemente in grado di garantirgli una certa coesione e quindi la sopravvivenza.
Sarebbe certo interessante analizzare le ragioni ambientali e anche economiche di quella decisa e misteriosa «scelta strumentale». Un «giallo» storico in piena regola, che andrebbe svelato con l'aiuto di matrici rare, di documenti e giornali locali, locandine e magari qualche spartito mangiato dalle tarme. Quello che ad ogni. modo si poteva constatare fin dai primi anni venti era che il sound degli strumenti a fiato costituiva già il modello estetico della nuova musica, l'ideale a cui doveva conformarsi anche il vocalista jazz.
Certo, la condizione di minorità del cosiddetto “canto jazz” rispetto alla tradizione strumentistica è stata favorita dalla separazione tra il momento conviviale o d'intrattenimento (tutto sommato episodico, checché se ne dica) e l'esecuzione in funzione di un fine d'arte più o meno consapevole. Capitava che un leader d'orchestra e perfino un musicista-cantante come Armstrong riservassero alla ballroom il maggior numero di brani cantati, per presentarsi in sala d'incisione con brani per lo più strumentali, i migliori. A questo si deve se la maggior parte dei capolavori appartiene al genere rigorosamente strumentale o con scarni refrain vocali di tipo "scat". Inutile cercare brani vocali nelle prime matrici della Victor, i celebri Livery Stable Blues e Dixie Jass Band. One-Step della ODJB, del '17: eppure doveva trattarsi di cosette molto vendibili, se non altro per il «lancio» della nuova musica.
Come se non bastasse, le possibilità di successo per questa strana categoria di musicisti che nessuno vuole sono sempre state minime, con buona pace di quel critico italiano, noto per considerare il jazz una « musica leggera ». legata alle mode e al momento dell'entertainment, come dichiara onestamente (5). Il jazz è stato invece così poco legato al momento dell'entertainment e così immediatamente proteso verso una visuale «d'arte», che i rari momenti d'abbandono «leggero» sono segnati a dito nelle storie e dagli appassionati. Bix Beiderbecke si recava a piedi nei locali di State Street pur di ascoltare Armstrong, e lo stesso hanno sempre fatto i cultori di jazz con i loro beniamini, perchè sentivano che si trattava di cosa diversa dalla «musica di consumo».
C'è qualcuno che crede onestamente che se la musica negro-americana fosse sempre servita da background sonoro per le gesta gastronomiche degli avventori dei bar, o per quelle erotiche delle molte «Mary La Rossa», sarebbe arrivata fino a noi come «la più notevole forma d'arte musicale del secolo XX»? Naturalmente parlo del filone centrale, che, come tutti sanno, si sviluppava in luoghi privilegiati, segreti ai più, certo chiusi al turisti; quella mainstream stilistica che doveva assicurare vita, evoluzione e maturazione ad una musica così ricca e complessa. Ma non è questo il punto: i Brandeburghesi di Bach e molte cose di Mozart stanno a indicare il livello artistico che certa musica "convivia1e" o “su ordinaziorie" può raggiungere nella scuola europea.Questo, paradossalmente, è molto più difficile per il jazz, che pure avrebbe prosperato - come raccontano le guide per teen-agers - accanto alle alcove disfatte o negli speak-easies o nei café-restaurants. Non fa pensare, allora, questa significativa impotenza artistica del canto jazz?
Un bilancio non del tutta negativo solo se si pensa che l'adattamento ha alimentato la geniale «maniera» del canto scat, dal superbo Armstrong degli anni Venti a Cab Calloway, a Gillespie, in cui le sillabazioni ritmiche («oo-pop-a-da», «pa-pa de-da» ecc.) condite dei più vari colori timbrici, con prevalenza dei dirty e degli effetti di sordina, superano talvolta per scioltezza di fraseggio ed espressività gli stessi modelli strumentali (6). Ruolo ingrato, però, quello del solista vocale: «Vocalista» più che cantante - la diversità dei valori semantici di blues singer e jazz vocalist è eloquente legato a filo doppio alla logica di una tecnica che non è quella naturale della propria voce.
Un ruolo sussidiario, «non incompatibile» con i canoni estetici del jazz solo nella misura in cui - per uno strano paradosso - l'elemento vocale arriva a perdere i propri connotati di voce umana. Come meravigliarsi allora di questa dipendenza stilistica? Per questo solo tre o quattro sono stati i vocalisti degni di tale nome, e ancor oggi i cultori di jazz, solo a sentir parlare di canto, storcono la bocca. Soltanto il blues, quello vero non l'imitazione commerciale, può a ragione definirsi "la voce del jazz". L'altro versante, quella più prossimo delle ballads e dei songs, viene generalmente toccato quando si parla della grande Billie Holiday, che come quasi tutti i vocalisti di jazz noti era non a caso fuori della corrente del blues (mentre i grandi cantanti blues erano sconosciuti) (7). E' un versante pericoloso, a strapiombo sulla palude della canzone commerciale; ma vale la pena di risalirlo se si è sicuri di trovare dall'altra parte le qualità timbriche, l'intonazione e il tipico fraseggio della buona voce strumentale. Ed è appunto il caso, unico, di Lady Day. Una felice eccezione (8).
1. Joachim. Berendt, Das Jazzbuch (trad. it.: Il libro del jazz, Garzanti, Milano 1973, pag. 306).
2. Dal libro di versi Mexico City Blues; ma v. anche On The Road e il poco conosciuto Doctor Sax.
3. Barry Ulanov, Storia del jazz in America, Einaudi, Torino, 1965. p. 227.
4. Ibidem.
5. Lo spunto per questo articolo è venuto proprio da un accalorato scambio di opinioni col critico in questione, l'amico Umberto Santucci, il quale sostiene - come'è noto - idee diametralmente opposte.
6. « Il canto scat costituisce la possibilità più intensa del canto jazz al di fuori del blues». Proprio perchè « è la tecnica canora che permette a un cantante di avvicinarsi maggiormente all'ideale strumentale», scrive con la consueta chiarezza il Berendt (Op. cit., pag. 318).
7. Joachim Berendt, op. cit., p. 307.
8. Un esempio a caso, tra mille, di come il cantante (anzi, più correttamente bisognerebbe limitarsi a dire “vocalist”) possa rovinare un brano jazz, può essere Sunset Cafe Stomp, un brano di Louis Armstrong con i suoi Hot Five (16 novembre 1926). La sgangherata e sgraziata voce potrebbe essere quella di May Alix, ma alcuni suppongono che di lei sarebbe rimasto registrato il nome solo in quanto autrice dei versi [N.d.A. aggiunta oggi per la pubblicazione sul web].
IMMAGINI. 1. Billie Holiday, 2. Ella Fitzgerald e 2. Louis Armstrong (dis. di Gil.Gibli), 3. Bessie Smith, 4. Sarah Vaughan (copertina disco), 5. Cantante di jazz con orchestra (acquerello di Lobenberg, part.), 6. Cab Calloway (locandina spettacolo), 7.Mildred Bailey (copertina disco), 8. Anita O'Day (dis. di Cabu), 9. Jimmy Rushing, 10. Al Lolson (locandina del film "Jazz Singer"), 11. La norvegese Karin Krog, allora bellissima donna, conosciuta al festival di Bergamo nel 1974, il festival delle grandi contestazioni. Proprio di quegli anni è il disco che propongo qui della Krog con Archie Shepp al sassofono, anch'egli presente al festival di Bergamo: quindi i due devono essersi conosciuti in quella occasione.
AGGIORNATO IL 30 APRILE 2021







1 Comments:
Ah, ma eri incorreggibile... fin da gggiovane!...:-) Quasi quasi sei più bbono (buono) oggi, anzi....
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