16 ottobre 2014

SCHERZI, burle e beffe. Bei tempi, quando ancora se ne potevano fare.



     Bei tempi, quelli degli scherzi. Quando si rideva molto più di oggi. Anche e soprattutto alle spalle di qualcuno, perché no? Quando ridere era considerato il miglior rimedio dell’esistenza, sia dal popolaccio rozzo, sia dal mercante, sia dagli aristocratici e dallo stesso Re. Quando chi era in grado di far ridere gli altri con trovate originali era considerato quasi un genio.
     Infatti, l’esperienza ha dimostrato che qualunque stupido è capace di far piangere, ma solo pochissimi intelligenti sono in grado di far ridere, dato che sia per la semplice comicità che per il più complesso e raffinato umorismo a generare il riso è, curiosamente, il confronto tra più piani logici, che devono essere ben padroneggiati dall’autore dello scherzo, almeno quello teso unicamente a far ridere.
     Non credete che l’umorista sia così profondo e intelligente rispetto al serioso? E allora sorbitevi due esempi facili ed elementari. Mettiamo una scenetta comica televisiva in cui Fantozzi (l’attore satirico Paolo Villaggio) si presenta come eroe “senza macchia e senza paura”, diciamo un centurione dell’antica Roma. Ebbene, appare sul palco con pantaloncini corti sbrindellati, uno scolapasta di alluminio in testa come elmo, un forchettone o uno spiedo come giavellotto, e un enorme coperchio di pentola (di quelle delle cucine delle caserme) come scudo. E tutti a ridere, dai bambini ai vecchi. Ma perché ridono? Che c’è da ridere? In teoria nulla. Il pubblico ride perché fa un rapido confronto tra due livelli filosofici, addirittura. La banale scenetta offre, infatti, uno scontro immediato tra due piani logici e psicologici: uno basso, prosaico, reale, meschino, che tutti vedono, e l’altro elevato, ideale, eroico, ideale, invisibile. In questo caso l’idea dell’eroe, del prode combattente destinato alla gloria. Una costruzione retorica, certo, ma anche storica e psicologica.
     D’accordo, ma questo “secondo “piano” logico bisogna averlo, e anche molto radicato, se vogliamo ridere. Ma ci sarebbero altre complicazioni: è controversa – per dirne una – l’adeguatezza dei mezzi al fine, che poi è il vero nocciolo di questo tipo di comicità. Tutti ridono per lo forchettone e il coperchio, ma non sanno che nella Storia (appunto, bisogna conoscerla) ci sono stati casi di popolani inermi che hanno difeso realmente il proprio villaggio “armati” così o quasi.
      E anche la “testa di Modigliani” dei burloni livornesi risponde a questo meccanismo d’azione dello scontro tra due piani. Fece ridere non la scultura in sé, che anzi apparve seria e ben fatta (secondo lo stile di Modigliani), ma il contrasto stridente – ovviamente postumo – tra l’aura leggendaria del Grande Artista maledetto e i ragazzacci goliardi alle prese con una banalissima fresatrice Black & Decker. E anche, sempre a posteriori, scoperto il fattaccio, il contrasto tra i seriosi “esperti” e “critici” d’arte, molto pieni di sé, che erano cascati in pieno nella burla dilungandosi per loro eterna vergogna in motivazioni dotte e articoli critici, e la semplicità popolana dei tre burloni armati privi di velleità artistiche e armati solo di comuni arnesi da ferramenta.
      Ma questa comicità “pura”, fine a se stessa, basata solo sui contrasti tra due livelli elementari di conoscenza (che poi è anche il nucleo dei famosi “scherzi da televisione: v. in basso il video dell’irresistibile programma creato in Canada), è quella moderata e adatta al pubblico più vario. Altri scherzi, invece, nell’Antichità come oggi, sono stati meno leggeri e meno innocenti, rivelando una notevole componente di dileggio, umiliazione e sadismo: sono insomma crudeltà, inganni o imbrogli, quando non violenza pura. E di fronte a questi scherzi pesanti la vittima destinata non ha mezzi di difesa, perché la distanza tra i due piani di conoscenza è troppo ampia, e perciò la vittima predestinata non può afferrare immediatamente la chiave interpretativa, se non dopo che lo scherzo ha prodotto i suoi effetti. Lo scherzo, cioè, da raffinato scontro di due piani logici si trasforma in aggressione imprevedibile, spesso fisica non solo psicologica, E contro questi “scherzi” non ci possono essere difese.
       Vengono in mente gli eccessi dei Carnevali italiani, a cominciare dalla Roma dei Papi, fino al 1870, coi ragazzacci mascherati che lungo il Corso gettavano sui passanti a tradimento, specialmente se aristocratici e gentili fanciulle, non solo secchiate d’acqua o altri imprecisati liquidi, seguiti da pugni di farina, ma anche veri proiettili pericolosi come palle di gesso colorato camuffate da arance e sassi confezionati come “confetti”, ferendo e accecando non poche persone. Gli ospedali romani erano sempre al completo in quei periodi, nonostante che le autorità per reprimere gli scherzi più violenti facessero installare a scopo deterrente sul Corso e a piazza Navona il temutissimo “cavalletto”, un alto e visibilissimo baldacchino in legno sul quale l’autore degli scherzi più violenti era fatto salire, legato a un inginocchiatoio e fustigato con durissimo nerbo di bue senza pietà. E’ vero, lo scherzo è stato di per sé dolce e violento, inquietante e rassicurante, e forse in quei tempi serviva da valvola di sfogo per il diffuso malcontento popolare verso il governo autoritario del Papa o gli aristocratici, però i suoi aspetti positivi superano quelli negativi. E perciò speriamo che i tempi degli scherzi, comunque, ritornino. E dire che erano una eccellenza italiana, ormai quasi perduta. Per fortuna oggi c’è il mondo anglosassone che ha ereditato la cultura della beffa. Programmi televisivi come Candid Camera negli USA e Just for Laughs Gags (qui la loro pagina Facebook) in Canada, hanno avuto il merito di riabituare il pubblico alla perduta cultura dello scherzo, a lungo repressa dalla seriosità drammatica e funebre della religione Cristiana in Occidente e dall’Islam in Oriente. Malgrado la diffusa tradizione del Carnevale, sempre imbrigliata dalla Chiesa (cfr. alcuni sonetti romaneschi di G.G.Belli) e ancor oggi ristretta a ben poca cosa – meno di una settimana – soffocata dalle ricorrenze religiose, la cultura cattolica-italiana ha molto da imparare. E infatti le copie italiane dei programmi americani, come Scherzi A Parte, sono deboli.
        In Italia abbiamo avuto tutta una tradizione di burle, e non solo tra goliardi e clerici vagantes del Medioevo, studenti che si spostavano di università in università e che dovevano pure darsi bel tempo, ma anche nelle Corti nobiliari e nelle taverne, e in qualsiasi luogo durante il Carnevale. La beffa, la farsa, il tiro mancino, la barzelletta, sono una tradizione italiana, sia aristocratica che popolare, che va ben oltre i soliti luoghi e tempi dello scherzo “legittimato” dalla Tradizione (l’Università, la caserma, l’osteria e il Carnevale), e arrivò al suo apogeo tra 1450 e 1550, sostiene G. Minois in Storia del riso e della derisione, tanto che la letteratura italiana ne è piena. Basta aver letto il Decamerone (dove si contano ben 80 esempi di burle, mentre nelle Novelle del Bandello sono 70, secondo Minois), per capire che anche il Boccaccio, il vero fondatore della prosa italiana, da buon toscano dà una grande importanza alle beffe, e non solo a quelle leggere, come battute, canzonature, giochi di parole, risposte salaci e facezie varie di cui è imbevuta tutta la novellistica toscana, ma proprio alle più crudeli messe in scena, ai più complicati stratagemmi architettati per prendersi gioco di qualcuno, uomo o donna che fosse (“dar la baia” a qualcuno, si diceva anche), per lo più scelta tra quelle meno perspicaci e più ingenue. Perfino principi e re potevano cadere vittime del propri buffoni di corte, i soli ad avere questo potere. Il ciambellano della regina Anna di Bretagna, seriosa moglie del gaudente e scherzoso re Luigi XII di Francia, il principe di Chalais, d’accordo col re insegnò alla regina alcune parole sconce in spagnolo da dire come convenevoli eleganti al nuovo ambasciatore di Spagna. All’ultimo momento, però, non se la sentì di rischiare un incidente diplomatico, o la propria testa, e fece macchina indietro mettendo in guardia la regina dal pronunciare quelle parole. La regina, che come molte donne non aveva il minimo senso dell’umorismo, non la prese bene, e fu solo il re a salvare Chalais.
        Vi ricordate la ricerca dell’elitropia, la “pietra che rende invisibili”, da parte del credulone Calandrino lungo il greto del torrente Mugnone? Siamo all’Ottava Giornata, e a prendersi gioco dell’amico semplice e poco sveglio sono Bruno e Buffalmacco che lo assecondano facendo finta di non vederlo. Ma sarà la moglie di Calandrino a rovinare lo scherzo. A Firenze i burloni e buontemponi, che evidentemente non avevano niente di meglio da fare tutto il giorno, appiccicavano un pesce di carta sulla schiena del sempliciotto malcapitato che aveva “abboccato” al loro scherzo. E certi ragazzacci fiorentini dopo la burla gridavano alla vittima: “Pesci fritti dell’Arno!”
         Una beffa simile fu ordita e benissimo eseguita nel 1984 da tre burloni di Livorno che nel centenario dell’artista livornese Modigliani, mentre le draghe scavavano nella melma dei canali della città (dove alcune voci pretendevano che egli avesse gettato delle teste non finite scolpite nella pietra), fecero trovare alcune teste da loro stessi prodotte. Beffando non tanto la città, quanto il mondo dei critici e conoscitori, tutti convinti dell’autenticità delle opere. Anche nel mondo dell’archeologia sono state architettati “scherzi” analoghi, ma spesso si trattava di vere e proprie truffe.

      E la beffa più atroce è, meglio riesce, e più soddisfazione ottiene tra i lettori o nel pubblico che l’ascolta. D’altra parte, inutile negarlo per ipocrisia, il prendersi gioco degli sciocchi , come anche di odiosi personaggi arroganti, è da che mondo è mondo un passatempo un po’ sadico, certo, ma liberatorio, quasi una Nèmesi del Caso. Uno scherzo ben architettato e ben eseguito, spesso anche nei minimi e complicati particolari, è una vera e propria opera d’arte. Merito all’autore che ovviamente nessuna vittima , tanto più se poco sveglia, sarà mai disposta a riconoscere. Specialmente quando gli scherzi non sono gratuiti, ma sono delle mezze “vendette” contro o gli stupido o i prepotenti.
       Moltissimi gli scherzi personali e collettivi che noi stessi abbiamo architettato. Quasi tutti tra adolescenza e prima giovinezza. Ne dico uno a caso: gita e bagno nudista in un laghetto appartato. Arriva, “imbucata” cioè non invitata (chissà come l’avevano saputo), una coppietta snob e altezzosa, tutta bacetti e smorfiette, e pure scontenta della merenda che gli offrivamo, insomma avevano da criticare e ridire su tutto. E neanche noi gli piacevamo. Così con una ragazza organizzammo lo scherzo di vendetta. Tornati a riva, visto che i due prima si ostinavano a restare al centro del laghetto a pomiciare (limonare) disinteressandosi degli altri, e poi addirittura erano approdati a riva su una spiaggetta isolata dalla parte opposta per farsi gli affari loro, gli nascondemmo i vestiti e borse sotto un cespuglio lì accanto. L’alibi c’era: l’acqua nella strettissima spiaggetta di un lago minuscolo stava salendo per via del vento. e ormai lambiva i loro vestiti. Così li mettemmo in salvo all’asciutto: abbastanza visibili a cercare bene. Già, ma quando i due tornarono era già buio, noi ce ne eravamo andati e i due restarono nella notte totalmente nudi. Allora non c’erano i telefonini e comunque loro non avevano il telefono di nessuno. Settimane dopo, un amico mi disse che un altro amico gli aveva riferito che un altro gli aveva rivelato che la misteriosa coppietta imbucata aveva vagato per ore e ore in piena notte tra spini e fanghiglia, presentandosi al più vicino casolare.coperti solo di carta di giornale, trovato chissà dove. La famiglia non voleva neanche aprirgli la porta, specialmente dopo averli guardati nello stato in cui erano dalla finestra. Quelli dovettero implorare. Qui rivestiti alla meglio, insieme al contadino armato di torcia andarono a cercare i vestiti: il contadino che conosceva per fortuna la caletta scopri subito i vestiti.

        Un altro scherzo, tutto mio: un convegno di prostitute e studiosi di sessuologia (non più di 10), con tanto di inviti su carta intestata, da me convocato presso l'auditorium di una Casa Generalizia di Suore. Anche qui fecero tutto gli altri: quei 10 lo dissero a tutti: si imbucarono decine di personaggi più strani, comprese alcune porno-star e operatori tv.... Una folla enorme si presentò nell’Auditorium delle suorine chiedendo quando cominciava il convegno sulle prostitute e la liberazione sessuale. Io mi ero già salvato in corner la sera prima, quando un convocato mi aveva telefonato rivelandomi di aver a sua volta invitato - lui solo - 30 altre persone. Figuriamoci gli altri! Terrorizzato, prevedendo la tempesta che si addensava su di me, mandai subito ai 10 primi convocati una lettera-espresso di disdetta, dicendo la verità: che non avevo fatto in tempo a contattare le suore. Ma i disgraziati non riuscirono a fermare l’orda di prostitute e pseudo-sessuologi che avevano a loro volta invitato... Successe il finimondo. Ma io per fortuna non ero più in colpa..... ah-ah-ah....:-).
        Che tempi! Questi e altri pesanti scherzi golardici erano possibili in tempi in cui non esistevano né telefoni portatili, né computer, né internet. La gente ancora si fidava del contatto personale e così rischiava di persona. La vita allora era anche avventura. Si viveva giorno per giorno in tempo reale “senza rete”. Appunto si dice che erano “anni alternativi”, quei favolosi anni, come ripeto sempre, “pre AIDS e pre Adsl” dove tutto era possibile e il rischio vero, tutto sommato, minimo. Ricordo di ragazzi che prendevano il treno per recarsi in un’altra città “al buio”, solo per aver “sentito dire” che là ci sarebbe stata una festa a casa di una certa persona, che non conoscevano (e l’ho fatto varie volte anch’io a Venezia, riuscendo sempre a farmi ospitare, anche, dopo la festa) o un certo concerto rock. Senza controllare prima. E come avrebbero potuto?
         Oggi, invece, si è molto più prudenti e paurosi, e spesso anche totalmente smaliziati, diffidenti e privi di spirito umoristico. Lo scherzo nella mediocre e piatta società impiegatizia non è concepibile quando è complesso ed elaborato: viene visto quasi come una truffa, e c’è perfino il rischio di essere denunciati alla Magistratura dalla maggioranza di persone senza humour, cioè senza intelligenza. “Gli archivi dei tribunali italiani – ha scritto Minois – sono pieni di questi scherzi, che sono poi degenerati dando luogo ad azioni legali”.
         Ma oltre alla differenza d’epoca (uno ieri, almeno fino agli anni Ottanta, e un oggi divisi da molte invenzioni tecnologiche anti-scherzo, come il telefono mobile e internet), c’è anche la fondamentale differenza tra le età: giovanissimi e maturi. Questi ultimi, anche se fossero i più pazzi buontemponi del mondo, avrebbero innanzitutto difficoltà a trovare compagni di ventura (per realizzare un buon scherzo bisogna essere in più d’uno), e poi avrebbero timore di essere giudicati dei bambinoni o degli svitati dai seriosissimi amici, parenti e concittadini.
         Ecco perché oggi quasi non ne faccio più, di scherzi. E non perché non ne pensi spesso qualcuno di terribile, anzi di terribilmente divertente, ma è che quando ho provato a farli nella maturità ho notato reazioni scomposte e isteriche, oltre alla pericolosa tendenza di donne e uomini maturi colpiti da scherzi a provare per vendetta a ricorrere alle vie giudiziarie. E si sa che se esistono categorie senza il minimo senso dell’umorismo oltre ai preti, alle suore e ai medici, ci sono poliziotti e magistrati. Cioè non i seri, ma i seriosi per psicologia e per mestiere. Anche così, quasi mai uno scherzo viene punito, ma se un avvocato riesce a provare che ci sono stati dei danni economici o psico-fisici nel suo assistito?
         Ma oggi le difficoltà sarebbero anche tecniche. Ai nostri tempi sarebbe impensabile escogitare – se non con enormi mezzi tecnologici e molto denaro – grossi scherzi che riescano davvero. Prima di fare qualsiasi cosa, anche la ragazzina più sprovveduta si informa prima su internet e telefona a una decina di amiche. Figuriamoci un adulto o un professionista: non siamo più agli anni “alternativi”: oggi i convegni si organizzano non certo con inviti tre giorni prima, ma mesi prima.
         Così i tipi scherzosi, ormai sono costretti a limitarsi alle piccole beffe. Per esempio, ai danni di un conoscente che moriva dal desiderio di pubblicare articoli, nonostante non sapesse scrivere in modo fluido e giornalistico (insomma era negato), e ciò non ostante inviava a molti giornali i suoi patetici “pezzi” sempre cestinati, escogitai un facile scherzetto. Il responsabile del Corriere dell’Abruzzo (inesistente: è importante che in uno scherzo che coinvolge istituzioni o società un particolare fondamentale dell’identità del soggetto sia vistosamente inventato, in modo da non correre neanche rischi secondari) gli scriveva su carta intestata accettando la collaborazione e scusandosi per la “non rilevante” retribuzione (50 euro ad articolo, che gli esordienti si sognano) che gli sarebbe stata accreditata di lì a poco non appena ricevuto il codice IBAN. Ebbene, vedemmo da quel giorno l’amico letteralmente pazzo di gioia: offrì da bere a tutti, cominciò a farsi chiamare “giornalista pubblicista”
         E oggi? Non restano che gli scherzi “minori”, quelli piccoli di ogni giorno, che si possono improvvisare sul momento, senza la collaborazione di nessuno. Come le buone battute fulminanti, la satira pungente (che alle volte fa più male d’uno scherzo atroce) perché la si fa davanti a migliaia di persone, o i fake su internet, dove per fortuna ci sono ancora siti e blog che fanno spesso notizie false a scopo gratuito, come beffa. E non solo il canonico 1 aprile di ogni anno. Ma anche lì bisogna stare attenti a non confondersi con i truffatori che compioni trucchi a scopo di lucro, approfittando della dabbenaggine degli altri. E questi che in fondo beffano allo scopo di arricchirsi indebitamente a danno di una massa indeterminata di soggetti, mentre il vero scherzo nobile e disinteressato deve essere indirizzato a persone ben identificate e note, devono essere duramente represse dalle autorità.
         Per il resto a noi amanti dell’humour e della beffa non rimane che una consolazione: la certezza che l’ordire scherzi, sia pure ormai solo mentali, è un’arte superiore che insieme con quel minimo di cattiveria necessaria, in fondo “buona” perché c’è chi sostiene che lo scherzo sia “educativo” e che la vittima esca sempre migliore dopo la batosta, pretende molta, moltissima intelligenza, soprattutto molta psicologia, perché bisogna sempre mettersi nei panni (anche quando, come nello scherzo del lago, quei panni non ci sono più) degli altri. Che faranno gli altri, come si comporteranno, quando gli diremo questo e quest’altro?

PESCE D'APRILE. “Con questo nome s'indicano le burle del primo giorno d' aprile e talora del primo di maggio. Le burle consistono in false e ridicole commissioni o in richieste di oggetti impossibili, chimerici e inesistenti, quali la corda del vento (Portogallo), il lievito per le salsicce (Francia), la neve disseccata (Germania), il rasoio per tosare le uova (Belgio), la pietra per affilare i capelli (Andorra), e via dicendo. Varie le spiegazioni dell'origine dell'uso. Chi ne attribuisce l'invenzione al popolo di Firenze, dal fatto che in quella città si solevano spedire il primo d'aprile i semplicioni a comperare, in una speciale piazza, del pesce che vi era solo in effigie; chi pretende di riportarlo a un decreto pontificio, che proibiva di consumare il pesce in quel giorno, per ricordo del miracolo della spina, avvenuto in Aquileia al tempo del patriarca Bertrando; chi, invece, alla fuga di un principe lorenese, che, all'epoca di Luigi XIII, avrebbe attraversato a nuoto la Meurthe”. (Bibl.: G. Pitrè, Il pesce d'aprile, Palermo 1886; R. Corso, Le poisson d'avril, in Les Hirondelles, VIII (1930), pp. 81-84). In ENCICLOPEDIA ITALIANA (“Treccani”), 1935.

AGGIORNATO IL 2 NOVEMBRE 2014