TORTURE E SUPPLIZI. Il sadismo più crudele di papi e re, preti, giudici e sbirri.
STORIA DELLE ATROCITÀ DELLA CHIESA E DEI DITTATORI D’OGNI TEMPO E PAESE
TORTURE E
SUPPLIZI
E I GIUDICI ORDINARONO: «PIOMBO FUSO SULLA CARNE VIVA...»
Le atrocità più inumane, le sevizie più brutali e insopportabili, il piacere sadico di arrecare dolore e straziare, squartare, smembrare, sbudellare, impalare, bruciare e spellare vivi, castrare e violentare donne e uomini, spesso innocenti: ecco le barbarie della tortura e del supplizio. Il piacere che nasce dal dolore altrui è forse il più tenebroso mistero della mente umana: ad esso dedichiamo il primo inserto chiuso della nostra rivista. Attenzione: se siete d'animo sensibile, non aprite queste pagine. Potreste esserne sconvolti.
di Oliviero Kahn (anagramma di Nico Valerio)
inserto in Misteri, N.1, marzo 1995
Sul lungomare di Ipanema, spiaggia alla moda di Rio de Janeiro, la segretaria Graciela Antonia Penedo, capelli neri e curve prominenti, cammina ancheggiando sicura di sé. Non sa di essere seguita da un'auto con tre uomini a bordo. Svoltato l'angolo, i tre scendono di corsa, la bloccano, le tappano la bocca con un tampone di anestetico, la caricano in auto e via verso una località segreta e appartata.
La solita violenza carnale di gruppo? Non solo. Graciela è la collaboratrice di un politico di destra e i rapitori, "braccio armato" di un gruppo terroristico di sinistra, la sottopongono ad ogni sorta di tortura pur di avere la lista degli industriali e dei militari che finanziano il deputato. I quotidiani brasiliani, con il tipico compiacimento dei cronisti di «nera", riportano i referti dei medici e della polizia: trafitture da spilloni, bruciature varie, tumefazioni, una raccapricciante piaga tra le gambe, penetrazioni sessuali ripetute, sodomizzazioni bestiali, fellatio ecc.
Nove uomini si sono alternati per tre giorni nel possedere con violenza e anche contro natura quel corpo giovane. Devastante, l'ultimo giorno, è stata la tortura con l'acido. Nuda e con le gambe divaricate, legata da cinghie di cuoio ad un tavolo, Graciela ha dovuto sopportare che da un serbatoio ancorato al soffitto una goccia di acido solforico cadesse ogni quindici secondi sul proprio sesso. Le sue urla sovrumane riempiono la casa, ma nessun vicino può ascoltarle. distante, con uno sfrigolio raccapricciante e un filo di fumo la sua vulva brucia ed è profondamente corrosa fino a diventare un grumo informe.
L’energia elettrica si presta egregiamente a varie forme moderne di tortura. La resistenza apparente dell'organismo a scariche ripetute di elettricità, purché a basso amperaggio, è utilizzata dai servizi segreti per martirizzare a lungo e stordire senza uccidere - spie ed agitatori politici. A Smirne, in Turchia, nell'aprile 1972 a far le spese della tortura elettrica è Semra Eker, di 23 anni, presunta fiancheggiatrice di un gruppo terroristico marxista.
Poiché non parla, è costretta a togliersi gonna e calze: i torturatori le legano mani e piedi e cominciano a percuoterle le piante dei piedi con bastoni. Questa è un tortura leggera" molto in uso ai giorni nostri. Dopo mezz'ora di percosse, molto dolorose ma che lasciano poche tracce, le collegano mani e piedi ai fili della corrente elettrica, così che il suo corpo è sottoposto a violenti scuotimenti. Ma quando un elettrodo è spostato dalla mano all'orecchio, la ragazza è squassata in modo terribile. I denti anteriori si rompono.
Semra sviene. Quando riprende i sensi, si scopre in una pozza di liquami puzzolenti: qualcuno la sta bastonando e prendendo a calci. Un sadico le infila nella vagina un manganello che ha sulla punta un filo elettrico che dà scosse spaventose. Sviene ancora, e quando si sveglia si trova appesa seminuda ad un grosso tubo di un corridoio. I militari passando la ricoprono di ingiurie, la chiamano "puttana" e la seviziano nelle parti intime con i loro manganelli.
La tortura, quindi, non è scomparsa. Decine e decine di casi come questo, accaduto in Brasile qualche anno fa, sono denunciati ogni anno in tutto il mondo, secondo il rapporto annuale di Amnesty International. Oltre ai terroristi, sono per lo più le polizie e i servizi segreti dei paesi dittatoriali, un tempo soprattutto in Unione Sovietica (famigerati i sotterranei della Lubianka, a Mosca) e negli altri paesi comunisti, nella Spagna del dittatore Franco e nella Grecia di Papadopoulos, oggi nell'America Latina e in Oriente, a tener viva la orribile tradizione della tortura e del supplizio. La prima, oggi praticata solo nella fase inquisitoria (interrogatorio), è ancora in uso nelle versioni moderate presso le polizie di tutto il mondo, comprese purtroppo quelle dei paesi liberali, e consiste nei metodi noti come acqua, bastonatura, luce accesa, fame e sete, stazione eretta prolungata, scosse elettriche leggere ecc. Gli inquirenti si giustificano affermando che solo così i malfattori parlano.
Le torture gravi, di cui riferiamo più avanti, sono oggi escluse nelle organizzazioni statali di tutti i paesi liberali, e solo un vergognoso ricordo sono in Europa e nel Nord America i supplizi, cioè le esecuzioni capitali compiute con crudeltà e violenza prolungata. Non altrettanto si può dire per le polizie dei tanti incivili paesi “in via di sviluppo", per le organizzazioni criminose e per i terroristi.
Fantasiose e crudeli erano le torture d'un tempo. Anzi, l'efferatezza dei metodi, la ricerca scientifica del massimo dolore possibile, la moltiplicazione inutile di torture e supplizi curiosi a scopo dimostrativo e di deterrente psicologico, unite alla casualità e al capricio infantile con cui talvolta erano scelte le vittime, rischiano di suscitare nel disinvolto lettore di oggi più che ribrezzo una certa stupita ammirazione. Anche l'arte viene scomodata per dare i tormenti più atroci, come è il caso della scultura del "toro di Falaride", commissionata dal tiranno di Agrigento tra il 570 e il 550 a.C. all'ateniese Perillo. Ed anche le sentenze dei giudici prevedevano talvolta la pena accessoria della tortura o del supplizio, non ultimi quelli dello Stato Pontificio di papa Pio IX, fino al 1870.
Prima della Rivoluzione francese i dispositivi giudiziari erano pieni di dettagli atroci e particolareggiate descrizioni di tormenti d'ogni tipo da infliggere ai condannati, con grande dispendio di truppe, artigiani, attrezzi e animali; sembrando ai giudici dell'epoca "troppo leggera" la morte senza dolore e senza un apparato scenico terrificante.
Un esempio è la condanna di Robert F. Damiens, che con un pugnaletto aveva ferito leggermente il re di Francia Luigi XV. La sentenza del 26 marzo 1575 della Corte Suprema di Parigi ordina, infatti, che il Damiens "sia assoggettato a tortura straordinaria” cioè ad un intero campionario di patimenti d'ogni tipo, e poi atrocemente suppliziato. E così avviene, secondo i minimi particolari previsti dalla Corte. Al regicida mancato infilano gli “stivali spagnoli" che danno molta sofferenza e causano lo spezzettamento delle gambe. Poi il Damiens viene sospeso ad una fune (tortura del "pendolo") e abbassato su un braciere acceso finché il fuoco brucia le piante dei piedi. Con tenaglie roventi gli si strappano brani di carni fumanti. Seguono la “tortura dell’acqua" per mezzo d'un imbuto e molte altre forme di tortura, il tutto per cinquanta giorni di seguito.
Finalmente sul patibolo, in piazza di Grève, a Parigi, gli viene arsa la mano destra mentre impugna lo stesso pugnale dell'attentato, poi viene attanagliato, poi su queste ferite e come da sentenza è gravemente bruciato da colate successive di piombo fuso, pece, cera e olio bollente.
Con lo squartamento, infine, si entra nel supplizio. I quattro cavalli che devono smembrarlo non ce la fanno. Interviene un chirurgo che in mancanza di bisturi suggerisce al giovane e inesperto boia, il figlio di 17 anni del famoso Samson, di.tagliare i fasci dei legamenti di braccia e gambe del Damiens con una scure prestata da un macellaio. Così avviene, ma il condannato è sempre vivo e vigile, pur nello strazio supremo. Ora, frustati a sangue, i cavalli strappano, uno dopo l'altro. gli arti; mentre il Damiens orribilmente guarda. E’ ridotto ad un tronco e - osservano le dame spettatrici - "muove gli occhi a lungo prima di spirare". Le tricoteuses, donne del popolo che continuano a sferruzzare a maglia di tanto in tanto alzano l'occhio per non. perdere i dettagli più interessanti.
“Davvero una bella cerimonia e un lavoro pulito”, commentano da esperte. Non come il supplizio della “sega" in cui, capovolta la vittima nuda e a gambe aperte, poggiando la grossa sega nell'incavo naturale dell'ano, i due boia la tranciano tra urla inumane, fiotti di sangue e schizzi di materia fecale tutt'intorno.
Pene "barbariche"? Macché. Sembra che i cosiddetti “barbari” non le praticassero, sostiene H. C. Lea, tranne i Visigoti. Gli orientali sì, eccome. Altro che non-violenza alla Gandhi. Solo che in Giappone la sega purtroppo segava.di meno, perché era di bambù, e ci voleva del tempo perché il collo del condannato fosse tagliato a puntino (supplizio del nogo-jiribiki). Così fino a soli 100 anni fa. Anzi avevano inventato il self-service della tortura, il fa-da-te dello spettacolo horror: chiunque dei passanti poteva effettuare l'operazione. La testa della vittima è bloccata da una gogna, la sega insanguinata è lì accanto, a disposizione dei passanti in cerca di sensazioni forti.
Il gesuita padre Bartoli riferisce che dopo l'editto anti-cristiano del dittatore Toyotomi Hideyoshi (1587) un cortigiano convertito è sotterrato fino alle spalle ed ha il collo lentamente segato per tre giorni La crocifissione a gambe divarìcate, con collare e manette di ferro, è prevista dal codice penale giapponese durante la Dinastia Tokugawa (1603-1667). La bollitura in olio bollente o acqua bollente è comminata agli ufficiali superiori e al loro capo, il tartaro Targutai, dopo la sconfitta in battaglia del loro esercito di 30 mila uomini da parte dei 13 mila di Gengis Kahn. Il più famoso brigante giapponese, popolare come Robin Hood, Ishikawa Goemon, è condannato insieme con suo figlio a morire in una caldaia di acqua e olio bollente (Kioto, 1594).
Ed anche in Europa non si scherza, al riguardo. Quando il veggente ebreo Braham, poco psicologo, rivela alla contessa di Seasorth (Scozia) che suo marito Lord McKenzie ha un'amante a Parigi, la dama lo fa morire nella pece bollente. Molto cinese il supplizio ideato dall'imperatore di Cina Hung-Wu, fondatore della dinastia Ming: ordina di tagliuzzare il colpevole con ben 3550 colpi di coltello, fino al lento ma totale dissanguamento. Ma c'è di peggio, almeno per l'olfatto.
Escrementi umani e di animali, sozzure maleodoranti d'ogni tipo, in Gappone sono utilizzati saggiamente nella tortura dal '500 a tutta l'epoca Edo che si conclude verso la fine dell'Ottocento. Nella tortura detta ana-tsuruhi, sospesi a testa in giù in una fossa, per giorni e giorni, i malcapitati lambiscono con la testa e le labbra le lordure più ributtanti, ma anche acqua gelida o bollente. Il gesuita portoghese C. Ferreira, sottoposto a questo tipo di tortura, non resiste ed abiura la fede. Nel supplizio della fossa, infine, si viene sotterrati a testa in giù nella terra o nei líquami.
Ma gli orientali non hanno nulla da insegnare agli Europei. Tra, le pene previste dalle ordinanze penali del1'imperatore CarIo V ("Carolina Lex"), nel 1532. figura anche la sepoltura del condannato vivo, l'impalamento, l'annegamento e la spinta dall'alto di una rupe o d'un edificio. Ma così numerosi erano torture e supplizi, che il poveretto condannato giungeva a metà del decathlon di tormenti già bell'e morto, come. accade nell'Ottocento all'avvelenatrice palermitana Tofania D'Adamo.
Anche il rogo viene "perfezionato" da Federico II, che lo rende - per quanto sia possibile - più doloroso. Come? Servendosi di casse di legno foderate di piombo, metallo che fonde rapidamente sul malcapitato, bruciandolo ancor prima che il suo corpo sia raggiunto dalle stesse fiamme.
E proprio nella civile Europa, in un passato non ancora dimenticato, le torture e i supplizi sono stati applicati in modo sistematico e con feroce fanatismo. Papa Innocenzo IV legittima la tortura, con la bolla Ad extirpanda dedicata agli eretici, già nel 1252. Quattro anni dopo è Alessandro IV ad autorizzare gli inquisitori ecclesiastici a praticarla in prima persona.
Così, dal Medio Evo in poi, specialmente con la Controriforma, i domenicani e i cattolici più esaltati per mezzo dei Tribunali della Santa Inquisizione escogitano e mettono in pratica, in Spagna ed anche in Italia, in Francia e altrove, le più sadiche torture fisiche e psichiche ai danni di presunte “streghe" e supposti "eretici". Il campionario di tormenti, di.strumenti di tortura e di supplizio che riportiamo ne è una testimonianza agghiacciante. Migliaia di morti, lunghe prigionie, pene corporali di ogni tipo, fin quasi alle soglie dell'Ottocento. Un'infamia ancora viva nella nostra memoria, che la Chiesa non potrà facilmente cancellare.
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Tecniche e strumenti di tortura e supplizio
RUOTA
Il supplizio della ruota era comune in tutta Europa, dal Medio Evo fino al Settecento. Donne e uomini nudi con le ossa delle gambe e delle braccia spezzate in più punti vengono letteralmente intrecciati ai raggi di una grande ruota da carro issata orizzontalmente su un alto palo, e in quella posizione restano esposti al freddo, alle intemperie e ai corvi (che strappano brandelli di carne e cavano gli occhi) per giorni e giorni, prima di morire. In Germania le ossa venivano spezzate brandendo la stessa ruota; in Italia, Spagna e Francia si usavano mazze di ferro.
SEGA
Una grossa sega da legnaiolo a quattro mani e a grossa dentatura era utilizzata .per segare e tagliare a metà nel senso della lunghezza, partendo dall'ano, il corpo del condannato sospeso a testa in giù e legato a due pali. Il supplizio era comminato soprattutto agli omosessuali. (uomini donne) e alle streghe ritenute “incinte di Satana".
GABBIA
La vittima, nuda o quasi, è rinchiusa in una stretta gabbia di ferro, di forma cilindrica, quadrata o "bipede", ed esposta all'aperto, al sole e alle intemperie, e soprattutto ai corvi e ai rapaci, finché non muore di sete. I suoi resti sono lasciati alla vista di passanti, per ammonimento, fino a che restano le sole ossa. La gabbia viene appesa ad alte forche fuori città, oppure all'esterno di palazzi ducali o comunali, palazzi di giustizia (come il Bargello di Firenze) e cattedrali. Sono tuttora visibili le tre gabbie appese dal primo '500 all'abside della cattedrale di Munster, in Svizzera.
STIVALI SPAGNOLI
Ganasce di ferro con molte punte all'interno, strette attomo alle ginocchia e alle gambe. Percuotendo con un pesante maglio alcuni cunei frapposti tra gli arti e gli "stivali" l'aguzzino spaccava le ossa e schiacciava in modo irrimediabile le ginocchia, tra le più atroci sofferenze e le alte grida del torturato.
GOGNA
Con le mani e i piedi bloccati dai pesanti ceppi di legno chiusi da lucchetti o catene, donne e uomini vengono esposti alle intemperie e al ludibrio dei passanti, spesso condannati a morire di fame e freddo. Questa pena, molto comune, se temporanea era di per sé una sorta di tortura, e veniva inflitta a prostitute, adultere, eretici, ladri ecc. e poteva essere accompagnata da interrogatori e tormenti d'ogni tipo (p. es., marchiatura a fuoco o bruciatura dei piedi).
IMPICCAGIONE CON I CANI
Sospesi per i piedi, con il corpo strettamente legato da corde, il torturato o il condannato si vedeva sospendere accanto due cani rabbiosi o due lupi affamati, anch'essi legati per le zampe posteriori, che subito, terrorizzati ed eccitati dalla scomoda posizione, gli si avventavano contro, lo mordevano, lo sbranavano sul viso e nel ventre, rendendo la tortura ancora più crudele.
GARROTA
Strumento sadico tipicamente spagnolo, è di due tipi. Il primo tipo consiste in una manovella collegata ad una grossa vite che tira indietro e stringe in modo inesorabile il collare di cuoio o di ferro in precedenza stretto attorno al collo del condannato. In una variante più semplice il collare viene stretto semplicemente attorcigliando su se stessa una grossa corda mediante un piolo di legno Entrambi questi tipi sono stati in funzione fino alla morte del dittatore Franco. L'ultimo "garrotato" è stato lo studente Francisco Puig, di 23 anni, giustiziato nel 1975 ma riconosciuto innocente nel 1979 Il secondo tipo di garrota, usato in Catalogna fino all’inizio del secolo e tuttora nell'America Latina, ha una lunga vite che spinge il collo in avanti contro il collare di ferro, procurando l'asfissia mentre da dietro, un aculeo posto ai termine della vite penetra nelle vertebre cervicali e uccide per lesione del midollo spinale. Entrambi i tipi di garrota sono usati sia per le torture confessionali che per i supplizi e le esecuzioni capitali.
SCHIACCIATESTA
Un torchio di ferro in cui una manovella collegata ad una lunga vite, fa abbassare a piacimento del torturatore o del boia una calotta di metallo che schiaccia sempre di più, giro dopo giro, il cranio del testimone o del condannato. Dopo appena qualche giro, di solito il torturato è disposto a “collaborare”. Gli effetti della calotta, quando avanza nella sua corsa, sono devastanti. Prima si spezzano le mandibole e gli alveoli dentari, poi si sbriciolano tutte le ossa dei cranio, ed il cervello letteralmente esplode con violenta fuoriuscita di materia cerebrale. Una morte raccapricciante, anche per l’operatore.
SCHIACCIADITA
Piccola pressa di ferro a due o tre barre munite all’interno di spunzoni, regolabile e restringibile a piacere per mezzo di viti o chiavi. Tipico strumento di tortura per chi si rifiutava di confessare o di fare nomi, era molto doloroso. Ne sono stati trovati due esemplari, uno italiano (XVII sec.) e l'altro austriaco (XVIII sec.).
BANCO DI STIRAMENTO
Lo stiramento o allungamento delle membra del torturato avveniva e avviene su uno speciale bancone di legno (solo di rado dotato di rulli acuminati) per mezzo di funi comandate da un argano. Se non interveniva una pronta confessione o l'aguzzino esagerava, i corpo della vittima poteva smembrarsi. Lo stiramento poteva anche essere praticato senza banco, ricorrendo solo a corde, argano e maniglie di cuoio. In questo caso i corpo veniva a trovarsi sospeso in aria. Una variante particolarmente complicata era la scala di stiramento, una robusta scala di legno inclinata a 45° in cui il torturato poteva essere sistemato anche a testa in giù. Una variante più crudele erano le ustioni alle ascelle e al costato con fiaccole e ceri, fino a mettere a nudo le costole. Il che si aggiungeva alle slogature delle spalle procurate dalla trazione.
PENDOLO
Tortura semplice in uso anche oggi presso gli inquisitori di van paesi, consiste nel sospendere per i polsi il corpo del testimone o dell'indiziato ad un gancio o ad una carrucola ancorata al soffitto, per mezzo di una furie comandata da un argano inserito in un pesante e robusto telaio. Più efficace se i polsi sono legati dietro la schiena e alla vita. Le conseguenze possono essere anche gravi. A parte il dolore, l'omero può fuoriuscire dai legamenti con la scapola e la clavicola, spesso con orrende e permanenti deformazioni del torace e della schiena. Effetti peggiori si hanno con l'aggiunta di pesi crescenti applicati ai piedi, fino a causare uno smembramento simile a quello provocato dal banco di stiramento.
VERGINE DI NORIMBERGA (o di ferro)
Cassone o armadio vagamente antropomorfo, decorato da una testa di monaca, le cui ante apribili e il cui interno sono muniti di punte lunghe ed acuminate. Nel supplizio, il condannato è rinchiuso nel corpo della “Vergine di ferro" e immediatamente trafitto nel petto e in altre parti del corpo da decine di punte da ogni direzione. L'agonia è perciò lunga e dolorosa. Una cronaca di G. Freytag, che cita l'Archivio di Stato di Norimberga riporta l'esecuzione di un falsario avvenuta nel 1515 con un armadio del genere. Le ante, chiuse lentamente, fecero penetrare - riferisce lo storico - le acutissime spine di ferro in tutto il corpo (braccia, gambe, pancia, petto, vescica, membro, occhi, spalle, natiche), ma non tanto da ucciderlo sùbito. Le urla erano altissime e strazianti. Morì in due giorni.
PERA VAGINALE
Una “pera" di bronzo è costituita da tre segmenti apribili in senso verticale che si allargano rapidamente girando una chiave che governa una vite. Introdotta nella vagina della donna accusata di rapporti sessuali con Satana (un tempo) o di qualsiasi reato (oggi), la pera di bronzo si allarga al massimo dilaniando in modo devastante la vagina e la cervice dell'utero. Gli effetti sono aggravati dalle punte acuminate con cui terminano le tre ante. Il dolore deve essere atroce. Mentre la pera vaginale è di più grande formato, la pera rettale è di dimensioni minori visto che deve adattarsi all'apertura anale. Era ed è usato soprattutto contro gli omosessuali passivi. La pera orale era spesso comminata ai predicatori eretici e ai laici che avevano aizzato le plebi alla rivolta o contro le autorità.
CINTURA DI CASTITA'
Rivelatasi infondata l'attuale credenza popolare secondo cui doveva assicurare la fedeltà delle mogli durante l'assenza dei mariti, pare che fosse in realtà uno strumento temporaneo di difesa anti-stupro richiesto e utilizzato dalle stesse donne in circostanze particolari (viaggi, invasione di truppe nemiche, pernottamenti in locande ecc.). Questo è il parere di R. Held, suffragato - a suo dire - anche dalle testimonianze di anziane donne siciliane e spagnole viventi. Ciò non toglie, tuttavia, che la cintura di castità fosse per la donna una fonte di tormenti non indifferenti, molto più che un semplice fastidio. Lo stesso Held riporta una illustrazione del 1540 in cui una donna indossa un comodo "slip"di foggia moderna, ma intessuto in maglia di ferro, con tanto di serratura e chiave. Una tortura certa sarebbe stato per l'uomo ogni tentativo di penetrazione sessuale: in molti modelli di cinture la vulva ed anche l'ano sono protetti da esigue aperture dotate tutt'intorno di numerosi e appuntitissimi aculei di ferro.
STRAZIA-SENO
La tortura inquisitoria e giudiziaria contro le donne si avvaleva anche di un apposito "straziatoio" per le mammelle fatto di ferro, a forma di molla da braci e terminante con quattro zanne contrapposte a due a due. Sia freddo che rovente, lo straziatoio feriva e maciullava il seno delle donne accusate di eresia, adulterio, atti libidinosi, “magia bianca.erotica” ecc. In molti paesi e regioni, tra cui alcune della Francia e della Germania, fino al Settecento, questo trattamento era previsto anche per le ragazze-madri, mentre ai loro piedi - riporta Held - i loro bambini “si contorcevano irrorati dal sangue materno”.
TENAGLIE E PINZE ROVENTI
Sempre presenti nel tradizionale armamentario di inquisitori e carnefici, pinze, tenaglie e cesoie, sia usate a freddo che arroventate, servono a martoriare e mutilare ogni parte del corpo con l'asportazione di brani di carne o di interi arti, oppure a bruciare e carbonizzare. In particolare, le tenaglie, più lunghe - per permetterne l'arroventamento sul fuoco - di quelle normali degli artigiani, si usano per asportare naso, dita di mani e piedi, capezzoli. Le pinze, spesso di elegante fattura artistica (p.es., con la testa in forma di fauci di coccodrillo), si usano soprattutto per bruciare e carbonizzare il pene. La castrazione totale e parziale (solo pene o anche testicoli) era una pena o una tortura accessoria rara anche nell'antichità, e non era inflitta - come noi oggi potremmo immaginare - per reati di stupro contro le donne, ma per lo più per violenza o attentati contro i Principi e i Re.
VEGLIA O CULLA DI GIUDA
Atroce strumento di tortura che consiste in una piramide di legno o ferro su cui l'interrogato o la interrogata sono costretti a sedere poggiando con tutto i peso del corpo, in modo che la cuspide tagliente e penetrante entri sempre di più nell'ano o nella vagina, con effetti locali devastanti. I francesi chiamano l'attrezzo “veglia” perché una simile tortura ovviamente impedisce nel modo più assoluto il sonno ed è molto doloroso. Per aumentare il peso e il dolore, il malcapitato può essere gravato da pesi legati aí piedi.
FORCELLA DELL'ERETICO
Si tratta di un semplice collarino di cuoio che regge un doppio puntale con punte aguzze che obbligano a tenere distanziato il mento dal petto, ma in realtà finiscono per penetrare sempre più nella carne. Strumento di tortura inquisitoria riservato agli eretici, impediva qualsiasi movimento della testa ed anche il rilassamento. L'interrogato, però, poteva parlare, sia pure con un esile filo di voce, e pronunciare la fatidica parola: “abiuro”.
VIOLONE DELLE COMARI
Detto anche "violino delle bisbetiche" è una tavola a forma di viola con tre fori, uno più grande per il collo della torturata, e gli altri due per bloccare le mani. La vittima era portata in giro per ammonimento. Il legno, però, produceva gravi lesioni al collo e la posizione protratta nel tempo causava crampi e ferite ai polsi.
ACQUA
Consiste nel riempire di acqua con un imbuto il ventre della vittima reticente, fino quasi a farla scoppiare. Quando l'interrogato è gonfio, l’aguzzino lo percuote sulla pancia o, peggio, gli salta sopra facendo schizzare fuori tutta. l'acqua. Apparentemente innocua, in realtà questa tortura produce dolorose pressioni sul diaframma e sul cuore, con sofferenze inimmaginabili E’ largamente usata anche oggi.
IMPALAMENTO
Atroce supplizio inflitto nei reati più gravi, ma in realtà molto comune in tutte le epoche. Consisteva nell'innalzare un palo di ferro dalla punta acuminata fatta penetrare a forza nell'ano dell'uomo o della donna. Lo stesso peso del corpo, tra inimmaginabili tormenti, faceva sì che il palo penetrasse sempre più nel corpo, devastandolo in modo orrendo all'interno. Raramente, per i comprensibili contorcimenti della vittima la punta usciva esattamente dalla bocca., quasi sempre usciva dalle spalle. In pratica, in mancanza di pali di ferro (costosi), la sbirraglia utilizzava tronchi d'albero dalle forme più irregolari, aumentando così lo strazio e il tempo della terribile tortura.
TORO DI FALARIDE
Grande statua cava di bronzo rappresentante un toro, con una apertura manovrabile solo dall'esterno. I suppliziati o i torturati venivano fatti entrare nudi all’interno e, chiuso lo sportello, sotto il toro veniva acceso un.grande fuoco, finché l'intera statua fosse arroventata. Le urla strazianti dei malcapitati gravemente ustionati erano tali che rimbombavano sinistramente nella cavità e uscivano dalle narici del toro sotto forma di muggito, aumentando così il divertimento sadico degli aguzzini, del pubblico e del crudele dittatore Falaride che assistevano alla tortura. In uso in Sicilia e in Grecia nell'epoca preromana, forse anche la molti paesi d'Oriente, poi riesumato nel ‘500.
TORCHIO
Si trattava di un mastodontico torchio con una enorme pressa capace di contenere uno o più uomini. Due serventi erano necessari per girare e stringere sempre di più i due pianali di legno e ferro tra i quali veniva schiacciato il corpo del condannato.
SEDIA DI TORTURA
Presente in ogni sala da tortura, è una robusta sedia in legno nel cui interno, poggioli e pedana sono irti di punte di ferro che penetrano nelle carni dell'interrogato. Oggi, assicura lo Held, i chiodi possono anche trasmettere scosse elettriche. Speciali sedie di ferro permettevano l'arroventamento dei chiodi con la semplice accensione di un braciere posto sotto la sedia di tortura.
CINTURA SPINATA
E’ costituita da una cintura di larghe maglie di ferro con circa 220 punte rivolte verso l'interno. Indossata e stretta alla vita, produce molteplici ferite e una infezione irreversibile che può portare alla cancrena. In alcuni casi, l'aguzzino particolarmente efferato depositava sulla zona incancrenita dei bachi carnivori che erodevano sempre più la parte fino ad arrivare all'intestino.
MASCHERE D'INFAMIA
Di solito erano imposte alle donne troppo ciarliere o che avevano criticato preti ed autorità. Si tratta di maschere di ferro di forma curiosa ed elaborata che talvolta, come nella briglia o mordacchia, contengono una lama o un aculeo che blocca o ferisce la lingua impedendo di parlare. Così mascherata, la vittima era esposta al ludibrio dei passanti che, impietosamente, la ricoprivano di male parole, ma anche di sputi, sterco, orina e colpi di bastone, talvolta mortali.
TARTARUGA
Lo schiacciamento dei corpo mediante una tavola su cui erano posati pesi sempre crescenti fino ad un totale di molti quintali, non era raro tra i supplizi e le torture. Un supplizio con esito senza dubbio mortale era la variante detta bascula, consistente in un cuneo trasversale di legno posto al di sotto dei corpo da schiacciare.
PIFFERO DEL BACCANARO
Strumento consistente in una sorta di oboe di ferro terminante con un anello (nel quale entrava il collo della vittima) e dotato di pinze per stringere le dita delle mani, come se il malcapitato suonasse. Era quindi una specie di gogna o berlina, poco dolorosa rispetto ad altre torture, ma esponeva al pubblico ludibrio con conseguenze imprevedibili. Il "piffero" era comminato per reati minori litigiosità, bestemmia, disturbo della quiete, ecc.
CICOGNA
Ingegnosa e complicata struttura di incatenamento in ferro che obbliga il torturato ad una scomoda posizione fetale: collo ,mani giunte come in preghiera e caviglie sono tenuti saldi e impediscono ogni movimento. Apparentemente innocua, in realtà questa tortura è lunga e atroce, perché procura subito crampi dolorosi che possono portare alla pazzia. La vittima, spesso una donna, è per di più alla mercè di aguzzini e di passanti, e può essere facilmente picchiata, scottata e mutilata a piacere.
1 Comments:
Unico Dungeon BDSM medievale italiano e' a Milano, macchinari Inquisizione ecc: http://www.milanodungeon.com
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