10 ottobre 2011

COMPUTER. Apple e Jobs: vera gloria? Quando l’Italia inventò il primo “pc”.

Apple_first_logoUNA MELA SULLA TESTA. Candele accese, ghirlande di fiori, foto ingiallite di “antichi” computer Apple dei tempi in cui assomigliavano ad un incrocio contro-natura tra un televisore dal lungo tubo catodico e una tastiera tolta ad una telescrivente. E dappertutto immagini votive di un giovane e bello, irriconoscibile S. Jobs.
      Steve Jobs lo era solo per pochi. Per molti, quasi tutti, era “san Jobs”, faceva miracoli, giuro, e aveva l’aureola. Grande personalità, forte carattere (caratteraccio), autoritario, originale, anticonformista, era anche buddista, vegetariano, ecologista, un “alternativo” insomma. E odiava la medicina ufficiale. Tanto che alla sua scomparsa un commento impietoso sul sito satirico “Spinoza” è stato: “Morto Jobs: proprio vero che una Mela al giorno…”.
      Non ci vuole né Socrate né Freud per capire al volo che i sognatori della Natura Felice, della lentezza, dell’anti-consumismo (e alcuni addirittura dell’anti-capitalismo) sono in contrasto atroce con se stessi se poi adorato tutti i miti tipici del consumismo di oggi: la velocità, la nevrosi, il consumismo dell’ultimo modello dell’anno, la tecnologia padrona delle nostre azioni e delle nostre menti, l’elettronica, la plastica, il sedentarismo, insomma proprio il mondo creato o sognato da Jobs. E altro che “linguaggio logico”, la logica, la coerenza, sono un optional sia nel Grande Guru che nei suoi adepti, molti, quasi tutti, addirittura “di sinistra”. Anzi, più erano “alternativi”, più hanno osannato il capitalista Jobs. Contraddizioni stridenti, certo, davvero insanabili.
      Tutti vizi (tanti) e virtù (poche) che nel piatto mondo del business dell’informatica spiccano come perle sul velluto nero. Naturale che alla sua morte, cordoglio e lacrime vere siano state versate in tutto il mondo da parte degli snobbissimi, saccenti e un po’ arroganti (provate a trovare un difetto nel Mac e sentirete…) aficionados della Apple.
      Quelli che in aereo o in treno prima di squadernarlo davanti a sé si guardano bene intorno per vedere l’effetto che fa. E poi, chissà che t’immagini ci facciano con quel coso che costa inutilmente tre volte un normale pc. Appostatevi alle loro spalle: stanno scrivendo un nuovo Gattopardo? Un articolo di fondo per la Repubblica? La tesi di ingegneria? Macché, loro col giocattolo-feticcio ci vedono un filmetto qualunque, sciapo purché di tendenza, o chattano tra di loro di fumetti, o aprono un giochino. Il più alto dispendio di mezzi, al riguardo, si verificò sulla Orte-Firenze l’anno scorso in ottobre: una brunetta piccolina, sospetta collaboratrice Rai, dunque raccomandata, si giocò sul Mac un solitario con carte napoletane veraci.
“Sì, ma vuoi mettere i colori, la definizione, il software che c’è dietro?”, direbbe un “macchista” sfegatato. Con lui sparlare del Mac è come di fronte ad un prete insinuare che la Madonna “potrebbe non essere vergine”. Dietro? A noi basta il davanti: macchine e programmi sono fatti a posta per non colloquiare con altre macchine e altri sistemi. Addirittura i più chiusi al libero intervento del cittadino-consumatore. 
      Eppure, nonostante che il binomio Apple-Jobs abbia rappresentato l’archetipo del dominio illimitato, prepotente, medievale, del produttore sul consumatore, una sorta di “demonio che voleva trasformare il computer e la Rete in uno strumento e un luogo antitetici alla libertà di espressione e alla libera circolazione delle informazioni” (R. Stallman), come si legge in un articolo sul Manifesto, ecco che morto Jobs, fondatore e capo carismatico della Apple, a Londra come a New York, ma anche Viterbo e Vicenza (snobismo e fanatismo non hanno confini, anzi, la provincia è l’ideale), si sono viste scene di delirio di massa proprio da parte dei consumatori Apple e Jobs-fans. “Di massa”? Bè, non esageriamo, loro si offenderebbero a morte: diciamo di una consistente élite. Ma l’esagerazione è stata la nota comune anche degli encomi post mortem di Jobs, come fa notare più d’un esperto sul web.
      Jobs non era un inventore. Non ha “inventato” il computer, e neanche il processore o la scheda madre o la scheda video o i banchi di memoria – tutti elementi già esistenti prima di lui – e neanche internet, e neanche qualche famoso motore di ricerca, come invece fece il matematico italiano Massimo Marchiori che nel 1996 presentò a Santa Clara (California) l’algoritmo matematico Hyper Search su cui poi sorse l’anno dopo Google, per ammissione dei fondatori Page e Brin. (A proposito, Marchiori ora ha inventato un nuovo motore di ricerca, Volunia, del tutto innovativo).
      Macché, l’azienda di Jobs, che ha preso il nome e il primo logo dalla mela caduta in testa a Newton (v. in alto il primo marchio, in stile ottocentesco, della Apple), pur avendo avuto parte nella storia del computer – come dice qui sotto il grande scienziato e teorico di sistemi Roberto Vacca – il computer lo ha solo abbellito e semplificato, anche con discutibili e poco chiare icone, ma soprattutto lo ha sapientemente commercializzato e diffuso rendendolo un oggetto appetibile, desiderabile, di moda. Insomma, un grande divulgatore, un semplificatore, un persuasore occulto, un uomo-vendite, un genio commerciale. E’ stato abile soprattutto nel creare il “bisogno” di computer nella gente, con furbe operazioni di marketing carismatico, creando lui stesso il proprio Mito.
Manifesto di SEL per scomparsa Jobs (Apple)      Il primo computer della Apple è solo del 1976, mentre già da anni si vendevano i primi personal computer. Del resto la tastiera da computer era stata inventata nel 1955, lo schermo applicato al computer nel 1965.
      Ma ben prima della Apple, nei primissimi anni Sessanta, l'italiana Olivetti era all'avanguardia nel Mondo. Il geniale ing. Tchou, italiano di origine cinese, era stato presentato nientemeno da Enrico Fermi a Olivetti.
E i computer Olivetti, piccoli, a transistor, veloci, pratici, impensierivano molto l'America. Sulla fine prematura del genio Tchou, mente del computer italiano, morto in uno strano incidente automobilistico, ci fu subito il sospetto di un intervento della CIA: Dopodiché iniziò la rapida crisi. Comunque ancora nel 1965, la italiana Olivetti grazie al genio dell’equipe del torinese Pier Giorgio Perotto aveva inventato e messo in vendita ben 44.000 esemplari del primo “personal computer” al mondo, piccolo e maneggevole come quelli di oggi (48x61x19cm), il Programma 101, venduto quasi soltanto negli Stati Uniti. Negli anni seguenti la Olivetti produsse altri modelli, tra cui (1975) il P6060, basato sul microprocessore Intel 8080, con tanto di floppy disc incorporato, una novità per l’epoca. Nel 1981 uscì da Olivetti il primo vero e proprio personal computer evoluto, più o meno come lo vediamo adesso, con schermo e tastiera: l’M24. Poi uscì la sua bellissima versione portatile (v. immagine qui sopra). Insomma, fino ai primi anni ‘80 l’Italia fu all’avanguardia nel mondo per i computer. Peccato che gli industriali, e soprattutto il management della Olivetti e i finanziatori ottusi non capirono. E Jobs era ancora di là da venire. Un interessante articolo sulla Stampa ricorda quei tempi gloriosi di cui gli Italiani non sanno nulla o non ricordano, tutti presi dallo snobismo consumistico per la Apple e l'America.
      Anzi, San Jobs ha commesso anche errori sul piano industriale e dell’inventiva, ed è sempre stato superato per numero di computer venduti (l’Ipod è un’altra cosa) dai concorrenti. Ma rivoltando ogni sconfitta in vittoria, ha fatto di questo handicap un pregio, e con una ben orchestrata operazione di marketing ha diffuso l’idea di una “qualità” speciale. Insomma, il fatto che vendesse poco (il boom dell’Ipod è un’altra cosa) serviva paradossalmente a rafforzare la sua fama. E infatti, ve l’immaginate il Mac come computer più venduto, addirittura popolare? “Che schifo!” avrebbero storto la bocca i fans. Insomma, gli errori di una azienda (alti costi, apparecchi e programmi che non comunicano con altri sistemi) razionalizzati come pregi. Un vecchio trucco. Se non ce la fai a competere, dì all’arbitro che il tuo è uno sport… diverso, più elevato. Altro che inventore!
Primo processore 4004 per pc Intel creato da italiano Faggin 1971     Un vero inventore, invece, è stato il grande Federico Faggin, italiano, insignito di medaglia d’oro nel 2010 dal presidente degli Stati Uniti, Obama, con la National Medal of Technology and Innovation, il più alto riconoscimento tecnologico e scientifico statunitense, per aver inventato e realizzato, nientedimeno, il primo microprocessore integrato, cioè con tutti i circuiti in un solo pezzo, della Storia (1971).  La neonata Intel, che fino ad allora aveva prodotto solo memorie RAM, si rivolse a lui per la realizzazione d’un microprocessore di silicio per le calcolatrici della giapponese Busicom. Nasceva così, in soli nove Maezia Faggin con prototipo primo calcolatore-computer Busicom del padremesi, la serie 4004, che si presentava con 16 piedini. Il nuovo calcolatore Busicom era innovativo proprio perché dotato di microprocessore logico (ecco, a lato, il prototipo scheletrico mostrato decenni dopo dalla figlia di Faggin, Marzia). Faggin convinse poi la Intel a commercializzare il processore, che cos’ divenne il cuore di tutti i nuovi computer. Insomma, senza Faggin, Jobs avrebbe venduto macchine per scrivere, penne a sfera, timbri di gomma.
      Eppure, per i suoi adepti, san Jobs ha solo pregi, pur non avendo inventato, tecnicamente, nulla. Nessuna colpa. Lui è il re, e basta. Non si discute. E se dici qualcosa, come a noi è accaduto, ti metti contro tutto Facebook. Si rompono perfino antiche indissolubili inimicizie. Ma c’era da aspettarselo. Del resto già nell’84 alla presentazione di un modello a piccolo ingombro un giovanissimo e irriconoscibile Jobs strappava lunghi applausi e urla dalle tante ragazze in sala. Già era tutto scritto per questo intelligente eroe del consumismo americano, abilissimo trascinatore di folle, molto più che di file.
      Ma in una libera economia di mercato fondata sulla contrapposizione, perfino aspra, tra produttori e consumatori, ha colpito gli osservatori del costume che la commozione per la morte del padre padrone fosse espressa non da parte di ideatori, programmatori, ingegneri e operai (che tanto, o Cina o Cupertino, per dirla alla romana, “non potrebbe fregargliene di meno”), ma addirittura dagli acquirenti, e per di più quelli considerati in genere leftish, progressisti, insomma di sinistra! A Roma si sono visti perfino manifesti  commemorativi di “Sinistra e libertà”, tardivamente sconfessati da Vendola. Davvero, di che convincere i marziani a tornare su Marte scandalizzati.
m21 Olivetti 1983 portatileFASHION VICTIM E MARKETING-COGLIONI. Ma per l’azienda, che non è mai riuscita ad essere prima, è un bel vantaggio. Se ci pensate bene, è l'ideale per il marketing. A Viterbo li chiamano "goji". A Napoli "cornuti e mazziati". Proprio quello che tutte le ditte sognano: la buona massaia che a Carosello piange la scomparsa del "Mulino Bianco" o del "dottor Scotti", quello del riso. Altro che fashion victim, direi marketing-coglioni.
      E’ un classico della dabbenaggine dei consumatori affetti da consumismo spinto (in questo caso solo snob, perché si dà ad intendere di essere dei "professionisti": giornalisti o grafici, i soli che in origine dovevano usare i Mac): immedesimarsi nel produttore, anziché fargli le pulci, da implacabile controparte, come vorrebbe il mercato libero. Solo di questo si parla: non di qualità. La quale, si sa, è sempre opinabile. E quando glielo fai notare, che cosa obiettano i consumatori fanatici come tifosi di calcio? "Come osi interloquire, vile ignorante: i biscotti del Mulino Bianco sono davvero i migliori, e il riso Scotti è l’unico che non scuoce!"
      Ammettiamo pure che la qualità sia un po' migliore, concediamo il 30% (bilanciata, però, da molti limiti d'uso). Ma vi sembra razionale che il riso Scotti "che non scuoce" costi 3 volte tanto? No, dovrebbe costare il 30-40% in più, non il 300-400%. E' evidente che ci sono problemi di gestione industriale da una parte (p.es. incapacità ad abbassare i costi), e di snobismo spinto da status symbol dall'altra. Insomma, due difetti.
Ed è anche vero che è stata sconfitta nel mercato: verissimo. E per 35 anni. Il boom degli Ipod è un mercato diversissimo, che fa storia a sé, perché ha rubato consumi al telefonino, non al computer stabile. Facendo le somme, Apple ha venduto pochissimo rispetto ai competitori. Del resto oggi negli USA ha solo il 7-9% del mercato, secondo due diverse agenzie di valutazione economico-industriale. Nel resto nel mondo ancora meno.
      Perciò sono scandalizzato. La pubblicità gratuita offerta da alcuni fanatici ad una impresa di computer che ha sempre prodotto a costi eccessivi e non ha mai saputo abbassare i prezzi (e per questo è stata sopravanzata da tutte le altre), ed ha razionalizzato questa sconfitta con lo snobismo del "pochi ma buoni", è o stucchevole o vergognosa. Tipica sindrome da consumatori ottusi che anziché fare da controparte si innamorato dei produttori. alle volte gli schiavi hanno bisogno del loro oppressore. Così i consumatori in fondo si innamorano di chi li truffa. Nasce così, sul piano psicologico, il consumismo. Un legame perverso tra vittima e carnefice. Che poi viene razionalizzato come gara all'esibizione del marchio. Ma la verità è un deficit interiore. Ogni consumatore vuol fare da testimonial? Se non vuole fare la figura del fesso, che almeno si faccia pagare!
olivetti_m20 1981      Legge fondamentale dell'economia di mercato, basata sulla concorrenza, è che il prezzo tende ad abbassarsi, non ad alzarsi. E non può certo essere imposto dal produttore, ma è frutto di vari fattori, tra cui fondamentale la domanda dei consumatori, che a parità più o meno di prodotto (e la qualità viene vagliata, certo) si rivolgono sempre al prodotto che costa meno, e con questo fanno una operazione di "pulizia" del mercato stesso, eliminando gli operatori marginali per prezzi e-o costi. Infatti, tutti sono buoni a produrre quasiasi cosa a prezzi altissimi: ma in economia è un contro-senso, se la stessa cosa si può produrre e vendere alla metà o ad un terzo.
      Ecco perché con una sapiente operazione di diversificazione psicologica (marketing) basato sul consumismo psicologico, cioè sullo snobismo di alcune minoranze (giovani intellettuali progressisti che imitavano giornalisti e grafici, gli unici allora che dovevano usare per forza il Mac, perché i giornali dagli anni 80 andavano a Mac) il gruppo di Jobs ha fatto credere alle virtù uniche, alla eccelsa qualità dei suoi computer. Unico modo in economia di mercato per spuntare un prezzo più alto... Insomma, quale invenzione: marketing, solo marketing.
      NO LOGO. Personalmente, preferisco i sistemi informatici che danno la massima libertà all’utente, i programmi condivisi e il diritto di software e hardware libero. Mister Jobs, invece, è stato il più duro e implacabile nemico della libertà informatica, fino a costringere i suoi ingegneri a ideare sistemi molto chiusi, anzi i più ermetici, e a tentare di far perseguire come “illegale” perfino lo scaricare da parte di utenti Apple programmi non autorizzati dalla casa. Richard Stallman, il grande libertario del web, lo ha ricordato con irriverente e brutale franchezza: “Nessuno merita di morire, né Jobs, né Mr. Bill, nemmeno persone colpevoli di mali più grandi di quelli perpetrati da loro. Ma tutti noi meritiamo la fine dell’influenza maligna di Jobs sul mondo dell’informatica”.
      Senza considerare la colpa di Jobs di aver creato il vero consumismo “da marca”, cioè l’idealizzazione del logo. Ritengo, invece, che la vera alternativa al prepotere monopolistico dei marchi sia l’assemblaggio libero e facilitato. I computer creati con intelligenza, anche dallo stesso consumatore, mettendo insieme i pezzi più vari. Che poi è proprio la stessa cosa che fanno (nascostamente) in fabbrica, magari delocalizzata in Cina, tutti i grandi e famosi marchi, nessuno escluso. E dunque i prezzi bassi sono il frutto di una grande capacità accessoria, anzi di un’eccellenza unica: l’intelligenza industriale (o artigianale, o amatoriale). E se proprio sono costretto a scegliere tra marchi noti, premio quello che ha avuto l'intelligenza e la bravura di produrre lo stesso bene in modo eccellente ma a costi inferiori, e che non si fa pagare da me l'esorbitante pubblicità ingannatoria, né il conformismo dell’idolatria di una élite snob.
Ciotola legno riparata da padre Luigi Einaudi a Carrù      MELA MARCIA? DALLA MELA DI JOBS ALLA MEZZA PERA DI EINAUDI.  La Apple, dunque, che ha indotto all’inutile consumismo milioni di persone, è una “mela marcia”? No, sarebbe una bella battuta, ma a sproposito. Allora è colpa del capitalismo”? Neanche. Nessuno in un sistema economico libero obbliga a credere nella pubblicità o ad acquistare. Anzi, un barbone, un hippy, un anti-consumista, vive paradossalmente meglio nel capitalismo che nel comunismo: nessuno lo forza, gli proibisce, o gli torce un capello. E infatti l’etica del vero capitalismo non è lontana da quella contadina: senso del risparmio, del no allo spreco, del riutilizzo fino alla consunzione dell’oggetto: altro che gettarlo via. Vedi la famosa scodella di legno del padre del liberale Einaudi, agricoltore, riparata con lo spago. Einaudi presidente della Repubblica che in un pranzo offre una mezza pera ad un ospite, per non sprecarla. In fondo erano “anti-consumisti”.
      E poi il libero mercato prevede che l’acquirente sia intelligente, critico, comparativo, se non altro perché da lui dipende la definizione dialettica del prezzo, l’effettivo contratto di acquisto. E’ lui che, in pratica, dovrebbe decidere il “merito” dei produttori.
      E dunque? E’ la gente di oggi che, contro ogni regola o teoria capitalistica, è stupida. Come in ogni società di massa. Poco razionale, ignorante, poco vigile, pigra, condizionata da preconcetti, da presunte qualità marginali, da elementi caratteriali, in ogni caso da motivazioni non o pre-economiche. Altro che pan-economicismo. Ancora inadeguata per psicologia ad uno strumento molto razionale e complesso come il mercato. Così come il gap tra la scienza e l’uomo comune si è allargato, e l’uomo moderno vive e pensa come 200 o 400 anni fa, quando la Terra era piatta, così alcuni hanno ancora una mentalità economica da Medioevo. Con i prezzi imposti dai produttori. Con gli acquirenti che si fanno schiavi. Marx è smentito, ma anche i primi capitalisti non indovinarono nel delineare il consumatore razionale adatto al mercato perfetto. I furbi capitalisti di oggi lo sanno, e prosperano su questa stupidità di massa.
NICO VALERIO


L'INTERVISTA IMMAGINARIA A JOBS
(di Roberto Vacca)
Su Steve Jobs e il suo reale apporto all’evoluzione del linguaggio (o, per alcuni, solo del marketing) del computer, è da sottolineare il dibattito intitolato “L’eredità di Steve Jobs e il futuro dell’informatica”, tenuto alla Università di Roma-Tre, con interventi e relazioni di Vito Michele Abrusci, Domenico Fiormonte, Paolo Cursi, Roberto Maieli, Teresa Numerico e Roberto Vacca. Di quest’ultimo ecco una anticonformistica “intervista immaginaria” con Jobs, che riportiamo qui di seguito:

“Steve Jobs non è morto: non muore chi produce idee, parole, teorie, invenzioni sensate, immagini, formule, strutture, schemi – anche mode. Così posso parlargli:
      Grazie per aver inventato e prodotto iPad: l'innovazione più utile fra tutte quelle di Apple e Mac. Ho aspettato che uscisse per metterci un mio libro in cui racconto cosa siano i “memi” che ricevetti dai miei maestri e come li ho trasformati. Lo spiego con 300 pagine di testo più video e audio di grandi personaggi. Non avevo mai preso un computer Apple, né McIntosh, ma ho preso subito iPad: in volume minimo offre cose mai viste: testi che si sfogliano entro un involucro leggerissimo, elementi multimediali, videotelefono e webcam incorporati.
      Jobs si risentirebbe [è suscettibile]: “Ma ho fatto di più: ho cambiato il modo di avvicinare la tecnologia alle persone, ho reso facile la vita a tanti - e il computer davvero personal e amico. Tutti dicono che sono stato un grande inventore!”
      Rispondo: I grandi inventori aprono settori che prima non c’erano. Marconi: radio; Claude Shannon: teoria dell’informazione e della commutazione senza cui non avremmo i computer digitali; Dennis Gabor: l’olografia; Enrico Fermi: la fissione nucleare. Tu hai avuto il grande merito di realizzare e disseminare i personal computer aprendo la strada a IBM, Microsoft, etc. Un bell’esempio di immaginazione avanzata. È arduo fare confronti, ma Larry Page e Sergej Brin con Google hanno avuto probabilmente impatti positivi maggiori dei tuoi.
      Jobs si offenderebbe: “Anche se non le ho inventate io, sono stato il primo a promuovere e disseminare largamente le icone: così ho facilitato l’accesso di milioni di persone ai computer.”
Obietto: I computer dovrebbero servire a eseguire compiti complessi. Le icone sono spesso mal definite e chi le usa spesso non si rende conto di quanto sta facendo, né quali funzioni sta evocando. Da millenni la scrittura cinese usa icone – non decine, ma molte migliaia di ideogrammi. Permette a popoli che parlano lingue diverse di comunicare per iscritto ogni concetto che si possa esprimere in qualsiasi lingua. Ma gli ideogrammi sono ardui da imparare. Un cinese riesce a leggere e scrivere solo dopo 5 anni di studio: ai ragazzi occidentali bastano settimane. I simboli alfa-numerici sono univoci, potenti tanto da fornire uno strumento ineguagliabile per il progresso di matematica e logica. Usare le icone allontana dalla abilità di redigere programmi di computer (coding). Per molti versi è stato un regresso – connaturato ai tuoi computer.
Jobs ricorderebbe la sua dichiarazione: "Credo che i giorni migliori di Apple siano davanti a noi” - e aggiunge: “Usare i computer dovrà essere sempre più facile. Dovranno parlare la nostra lingua e capire le nostre espressioni e i nostri gesti. Io non sono arrivato a tanto: lo faranno i miei successori seguendo la strada che ho segnato.”
      Rispondo: Ipersemplificare è irrazionale e porta danni. Di innovazioni creative c’è bisogno – in particolare di sistemi operativi che permettano di rendere trasparenti i controlli computerizzati di grandi sistemi tecnologici. Le decisioni prese da complessi programmi di controllo non devono essere attuate, senza che operatori e utenti ne capiscano motivi e meccanismi. È vitale che gli operatori addestrati capiscano la genesi delle elaborazioni e dispongano di diagnosi dell’intera catena: segnali dall’ambiente e dalle macchine controllate, canali di comunicazione, processi di elaborazione. Agli Apple e ai Mac manca proprio la trasparenza. Tanti PC sono stati usati per controllare processi (anche nelle missioni lunari), ma non Apple e Mac. Non dico che la cultura informatica si acquisti imparando a usare i programmi di Office fino a conseguire l’ECDL (European Computer Driving Licence). Occorre imparare: matematica avanzata, scienze, computer science e cultura generale (economia, psicologia, storia del pensiero, biologia, nanotecnologie, etc.)
      Jobs urla [lo fa spesso]: “Ma, insomma, non ti piace quel che ho fatto?” Lo correggo: Mi piacciono molte cose. Se nel 1976 tu non avessi prodotto Apple II, non avresti stimolato tanti a emularti [non sempre lo hanno fatto bene, ad esempio tirando fuori codici nuovi e costringendo i clienti a buttare i programmi vecchi e ricomprare tutto]. Come dicevo, il tuo pezzo migliore è iPad: grazie di aver previsto oltre al tocco delle dita, anche la tastiera, l’ho presa subito. ROBERTO VACCA

IMMAGINI. 1. Il primo logo della Apple, la mela caduta in testa al fisico Newton. 2. L’infelice manifesto con cui l’estrema sinistra romana, sconfessata dal leader Vendola, ha rivelato la sua propensione snob per “i prodotti da ricchi”. 3. Il primo microprocessore integrato commerciale al Mondo, il mod. 4004 della Intel, creato da Federico Faggin. 4. La figlia di Faggin, Marzia, mostra decenni dopo il prototipo della calcolatrice Basicom che usava il processore inventato nel 1971 dal padre. 5. Il primo computer personale “portatile”, M21, della italiana Olivetti (1983). 6. Il primo personal computer da tavolo, M20, della Olivetti (1981). 7. La famosa ciotola riparata con lo spago dal padre dell’economista liberale Luigi Einaudi a Carrù.

JAZZ. Tre bellissimi brani del chitarrista gitano belga Django Reinhardt, con l’oriundo italiano violinista Stephane Grappelli. Il primo tratto dal film “Jazz Hot” mostra la divertente messinscena dei 3 giocatori di carte. Il secondo, Où Es Tu, Mon Amour? Il terzo, I Surrender Dear, è accompagnato da bellissimi dipinti di donne e amori.


AGGIORNATO IL 13 GENNAIO 2020

8 Comments:

Anonymous rmf said...

Sono arrivata sul tuo blog da Tocqueville, dritta su questo post. Che bello trovare una voce fuori dal coro, garbata ma decisa. S. Jobs... basterebbe solo puntare il suo nome di battesimo per capire che l'uomo era destinato all'immediata santificazione post mortem. Mi chiedo solo perché le sue profonde massime non siano state divulgate in vita con l'intensità e la frequenza con cui sono state divulgate un solo secondo dopo la sua dipartita.
Mi è piaciuto molto anche il post sui romani che non amano la politica, anzi la schifano (sono romana e so bene di cosa parli).
Complimenti e un saluto :)

10 ottobre 2011 alle ore 17:47  
Blogger Nico Valerio said...

Grazie, ma dovremo per strade rasentare i muri e guardarci attorno. Su Facebook sono stato quasi linciato da antichi fraterni nemici che non si facevano vivi da anni. Se perdo anche loro, sono fritto...:-)

10 ottobre 2011 alle ore 18:18  
Anonymous rmf said...

Gli appartenenti alle sette fanno così. Ma noi li comprendiamo, proviamo profonda compassione per loro e li lasciamo fare. Perdere anche solo un nemico fraterno sarebbe un gran peccato! ;)

10 ottobre 2011 alle ore 18:39  
Blogger sally brown said...

questa volta, caro nico non sono del tutto d'accordo con te. Se dal mercato del personal computer, l'italia è rimasta fuori e per quale motivo non voglio indagare, nessuno nega che la tecnologia italiana possa essere "all'altezza". fatto sta che mac pe r decenni è stato un prodotto di nicchia che microsoft non riusciva ad eguagliare. Non guardare ai portatili vari di oggi, fino ad una decina(? forse troppi, il tempo vola), non c'era tipografia che non utilizzasse mac, grazie alle sua "palette", irragiungibili per microsoft, a detta degli stessi amministratori del colosso dell'informatica a portata di tutti. Ovviamente poichè i sistemi erano "tarati" per microsoft, più alla portata di tutti, mac incontrava grosse difficoltà come quando doveva navigar con explorer. Oggi forse la differenza tra mac e windows è solo un fatto di cult...ma all'epoca c'erano cose sostanziali. Nel 1983 fu proprio apple a lavorare sull'interfaccia grafica che ci rende così semplice l'uso del pc senza dover essere laureati in informatica.
Ho abbandonato mac perchè windows è più democratico e a me è sufficiente, ma che in alcune applicazioni sia ineguagliabile non lo posso rinnegare e neanche che ha rappresentato la finestra nel futuro così come lo viviamo.
ole/.)

11 ottobre 2011 alle ore 21:46  
Blogger Nico Valerio said...

Sally, ormai dovresti sapere del mio gusto per le anti-biografie, specie per i personaggi incensati dai conformisti. Proprio sull'eccessiva semplificazione grafica della Apple, incompatibile con le complessità di un pc moderno, ha da ridire il nostro Vacca, che io riporto. E' stato il suo articolo che mi ha dato coraggio per scrivere la mia anti-apologia. Avendo fatto il giornalista so bene quello che dici sulla stampa, che andava a Mac fino a pochi anni fa. Nel pezzo ne accenno, quando dico che era il computer obbligato dei giornali e dei grafici: e appunto dall'imitazione di questi prese l'avvio il fenomeno dello snobismo. Però vatti a guardate come fu sperperato il patrimonio di know-how della nostra Olivetti, per qualche anno leader europeo o mondiale del pc. Perciò ho provocatoriamente illustrato con due pc Olivetti.

11 ottobre 2011 alle ore 22:29  
Blogger sally brown said...

ti ricordi di ibm, vero?

14 ottobre 2011 alle ore 20:29  
Blogger sally brown said...

e a integrare, perchè non si dica che sono di parte:

http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=5241

14 ottobre 2011 alle ore 20:32  
Blogger Nico Valerio said...

E i computer Olivetti impensierivano molto l'America. Sulla fine prematura del genio Tchou, mente del computer italiano, segnalato a Olivetti da Fermi, ci fu subito il sospetto di un intervento della CIA: https://www.corriere.it/cronache/20_gennaio_11/mistero-tchou-suo-computer-italiano-spavento-l-america-dba3ec76-34b1-11ea-b847-bfc302fe3f26.shtml?fbclid=IwAR0YbJQMA0BKwDCJ-5KnVg_CYBS_x4-78cYI3_xBDis-LLVPVnpDNY2Qamo

13 gennaio 2020 alle ore 15:56  

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