ALTRO CHE MILLE. Riscoperti da una ricerca 35 mila “garibaldini dimenticati”.
Tutti gli storici, nel riferire le vicende straordinarie della spedizione dei volontari di Garibaldi in Sicilia, e di lì la travolgente e vittoriosa avanzata in Calabria e in Campania che portò alla fine del Regno delle Due Sicilie e alla conquista dell’Italia meridionale, scrivono che ai Mille originari (la maggior parte dei quali erano provenienti da Bergamo) si aggiunsero molte migliaia di altri volontari provenienti da tutta Italia, Sicilia compresa, e perfino dall’Estero (anche America e Africa). Ma di questi garibaldini della seconda ondata si sa poco ed è perfino difficile identificare i loro nomi. Anche perché – permettetemi una malizia – in Italia c’è una tendenza secolare a “correre in aiuto del vincitore”, cioè a infiltrarsi nei movimenti ritenuti “vincenti” o a ritoccare retroattivamente la propria biografia. Così per un cinquantennio a guardare le adunate di camicie rosse sembrò che quasi tutti gli Italiani fossero reduci garibaldini, perfino i giovani, così come poi ci fu la gara ad essere fascisti, addirittura “ante-marcia”, e poi, cambiato il vento, tutti partigiani, tutti democristiani, poi tutti comunisti (sempre all’italiana, però), poi tutti leghisti, berlusconiani, grillini e così via, sempre meno eroicamente. Ma torniamo alla ricerca storica sugli aggregati ai Mille.
A questa ricerca (“Alla ricerca dei garibaldini scomparsi”) si sta dedicando un team di ricercatori che lavora su tre imponenti filoni di documenti conservati nell’Archivio di Stato di Torino (Mille di Marsala, Esercito Italia Meridionale e Archivio militare di Sicilia), nell’Archivio di Stato di Genova (Prefettura di Genova, e Matrici di passaporti, riguardanti le concessioni di passaporti rilasciati in Genova a molti volontari delle spedizioni successive a quella guidata dal generale Garibaldi).
Il progetto, riferisce il sito web dell’Archivio di Stato di Torino, è stato condotto con rigoroso metodo scientifico, e si propone di rendere disponibile a un largo pubblico un aspetto del processo unitario del nostro Risorgimento poco noto agli stessi studiosi. E, nonostante questi tempi grami in cui le banche stesse piangono miseria e hanno quasi smesso di finanziare opere culturali, è stato reso possibile grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, con la partecipazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Genova.
La ricerca non si è ancora conclusa, ma già ha fatto emergere i nomi di circa 35.000 garibaldini. Che dopo una cernita accurata, per ora impossibile, saranno sicuramente un po’ meno, visti gli evidenti “doppioni” o le varianti sospette dei nomi. Ma le fonti disparate e disomogenee non permettono oggi una maggiore precisione.
Un motore di ricerca nella stessa pagina web permette a chiunque, fin d’ora, di cercare, lettera per lettera, eventuali antenati e personaggi noti.
Per quanto ci riguarda, ci sono ben quattro “Valerio”, e se consideriamo l’apporto del grande liberale Lorenzo Valerio, deputato al Parlamento di Torino ai tempi di Cavour, nella cui casa fu composto ed eseguito per la prima volta al pianoforte l’Inno di Mameli e Novaro (v. la voce su Wikipedia che abbiamo redatto), ci rallegriamo che i Valerio abbiano avuto diversi esponenti nel Risorgimento italiano.
Una piccola scoperta è stata fatta nel corso dello studio: sono stati individuati due garibaldini del gruppo originario dei “Mille” del tutto inaspettati, che cioè non erano stati iscritti né nell’Elenco dei Mille sbarcati a Marsala, né nell’Elenco ufficiale, pubblicato nel Supplemento n. 266 della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 12 novembre 1878. Per l’esattezza, si tratta di Guglielmo Gallo, da Molfetta, e Vincenzo Speroni, di Roma (dove era nato nel 1829), già volontario nella 1° guerra d’indipendenza e nella gloriosa difesa della Repubblica Romana nel 1849.
Infine, non solo durante la spedizione dei Mille, ma anche negli anni successivi dello Stato unitario, pochi storici notano che per i volontari Garibaldini, quasi tutti borghesi, spesso giovani studenti, artigiani, artisti e professionisti abituati ad un certo tenore di vita, non tanto le battaglie in sé, ma soprattutto i lunghi e avventurosi trasferimenti imponevano il sacrificio accessorio e mai provato prima della… fame, soprattutto per la disorganizzazione logistica e la carenza nei trasporti. Evidentemente la Nuova Italia si rivelava all’improvviso “troppo lunga” per l’intendenza militare del nuovo esercito italiano. Oppure qualche ufficiale dei Servizi non doveva aver letto Polibio, laddove ritiene essenziale che si vada in battaglia dopo aver fatto colazione, come avevano insegnato i Romani (e come i Greci, anche per questo spesso perdenti, non capirono…).
IMMAGINE. Garibaldini alla battaglia del Volturno. In 25 mila ebbero la meglio su 40 mila borbonici.
JAZZ. Il medesimo brano, Lester Left Town, in 3 interpretazioni dello stesso gruppo: che differenze! Il primo brano dei travolgenti e geniali Jazz Messengers di Art Blakey nel 1960 (6:27) con Lee Morgan alla tromba, Wayne Shorter tenor sax, Art Blakey alla batteria, Jimie Merrit bass, Bobby Timmons piano-arr.. Tratto dal 33 The Big Beat. Ma le riedizioni successive, come questa di 8:43 sono più lente e meno geniali (in più ci sono Dizzy Reece e Walter Davis). Molto diversa, quella rievocativa (ormai senza Blakey) degli anni 80, con Freddie Hubbard alla tromba. Ha acquistato il sapore di una big band standard un po’ pesante (con una front line di ben 6 fiati).
AGGIORNATO IL 6 GENNAIO 2015
Etichette: storia
3 Comments:
sally brown dixit:
ma guarda che non era la guerra di secessione...
c'è poco da vantarsi, alla luce dei fatti.
ole/.)
La Storia assegna dei ruoli: i Garibaldini impersonavano il Progresso e la Ragione. A loro la Storia (che a posteriori può essere vista come una sorta di Destino laico) affidava il compito di spazzare l'oscurantismo. Oltretutto erano stati letteralmente chiamati, invocati, dalle elites meridionali. Ma il bello è che la retorica ottocentesca si è dimostrata vera! Infatti, lo stato odierno del Sud Italia dimostra che quella penetrazione, quella rivoluzione, non furono eccessive, ma semmai troppo timide, superficiali, effimere. Bisognava incidere sul Sud in modo più profondo. Insomma, vista la riottosità e il conservatorismo secolare delle popolazioni meridionali, ci sarebbe stato bisogno non di una spedizione dei Mille, ma di dieci. Il Sud cambierà solo quando riconoscerà di essere stato per secoli la causa dei propri mali, senza addossarla ad altri. Ma è un obiettivo ancora lontano. Come, guarda caso, nella Madre-Patria Grecia. Stessa mentalità sbagliata.
nico anche qui, non vogli sfatare i tuoi miti per forse dovresti indagare su redditi e legislatura meridionale all'alba dei garibaldini. Mentre i piemontesi non sapevano cosa fosse un bidet a napoli ( all'epoca) si faceva la raccolta differenziata oltre a sciacquarsi le parti intime. Le casse dello stato erano belle piene ma la pressione fiscale era moderata e tante altre belle cose come ad esempio una Terra di Lavoro produttiva e disseminata di fabbriche. La prima ferrovia inaugurata. Noi prima che arrivassero i garibaldini, e prima che i piemontesi ci fregassero anche i cucchiaini d'argento, stavamo bene.
Il risorgimento ci ha impoverito e una certa classe meridinale ha preferito vendersi al nord per un materasso ed un frigorifero.
l'ho detto. ole /.)
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