29 dicembre 2007

GINSENG: meglio cinese o americano? Ma certo entrambi curano la povertà.

Oggi la Cina produce i computer per gli Stati Uniti, ma da oltre due secoli gli Stati Uniti producono per la Cina un bene ancora più costoso. E' una strana radice biancastra dal sapore vagamente dolciastro-amarognolo, molto costosa e redditizia, che per questo unisce, ma divide anche, da secoli, Stati Uniti e Cina.
      E tranne pochi esperti, il grosso pubblico ignora questo antico legame tra cinesi e nord-americani. Eppure, per molti decenni gli intraprendenti commercianti del continente giallo hanno rischiato di morire in tempesta sui loro esili velieri pur di traversare l'Oceano Pacifico e spingersi fino alle coste del Canada e degli Stati Uniti. Per comprarvi una contorta radice miracolosa che a loro stava molto a cuore: il ginseng.
      Ne scriveva, incuriosito, sul suo diario - era il 1784 - George Washington, vittorioso capo dell’esercito nella guerra contro gli Inglesi e padre dell’indipendenza americana: "Mentre ero in viaggio da ovest verso l’Ohio, - appuntava - mi sono imbattuto in numerosi muli con balle di ginseng diretti ad est, verso la strada di Forbes-Braddock..."
      Fatto sta che in quegli anni della fine del Settecento un simile traffico commerciale era uno spettacolo abituale in certe zone degli Stati Uniti. Ma questa volta la stranezza era che riguardava una rara radice cinese. Che ci faceva il ginseng, il "farmaco dell’anima" dei sovrani del Celeste Impero, tra ladri di cavalli, razziatori, cercatori d'oro, commercianti di pellicce, avventurieri e rozzi coloni del Nord America, dediti al tabacco e all’alcol? Per caso, i parsimoniosi americani del Settecento erano tutti impazziti e si erano messi ad importare dalla Cina a caro prezzo tonnellate di ginseng, tutt’al più adatto, secondo la loro mentalità, a pallide e malaticce ragazze di Londra? Nient’affatto: quella costosa radice, al contrario la esportavano, e per giunta proprio a Canton, il primo porto cinese.
      Ginseng? Ma sì, ginseng americano. La radice d'una piantina spontanea di alcune foreste di montagna negli Stati dell'est, curiosamente molto apprezzata in Oriente, ma poco in patria. Solo gli Indiani d'America la conoscevano e usavano come rimedio per molte malattie. Che siano stati proprio i pellerossa, che sono di chiara origine orientale, a diffonderla, chissà quanti secoli fa, tanto che poi si è rinselvatichita negli Stati Uniti e nel Canada?
      Ma le stranezze dei rapporti Usa-Cina riguardo a questa pianta durano fino ai nostri giorni, pur essendo ormai il ginseng spontaneo rarissimo in America e protetto (quello prodotto è tutto coltivato in fattorie modello, come del resto in Oriente, dove quello silvestre si è quasi estinto). E così, tra Cina e Stati Uniti il ginseng ha prodotto, oltre ad un florido commercio incrociato, una vera e propria "guerra di paradossi".
      E’ davvero curioso, per cominciare, che nelle erboristerie degli Stati Uniti il pubblico si rifiuta di acquistare il ginseng americano, tranne qualche raro raffinato intenditore o gourmet delle erbe, che però chiede sicuramente la radice selvatica, ormai quasi introvabile anche per via illegale e costosissima. Ma così è: per il Panax quinquefolius (la specie americana), nonostante i prezzi più bassi rispetto al ginseng coreano Panax ginseng, quasi non c’è mercato in America (Fulder 1996). Gli Stati Uniti, dunque, poiché quasi non consumano il ginseng che producono al loro interno, lo devono importare dall’Oriente. 
      Ecco il primo paradosso che unisce e divide nel nome del ginseng due continenti che la storia della radice ci fa scoprire lontanissimi e vicinissimi: l’Asia e l’America.
      Ma si è scoperto che, in fin dei conti, agli americani tutto questo conviene. Possibile? Sì, grazie ad un più curioso secondo paradosso, che altro non è se non l’effetto della forte sproporzione tra le domande interne delle due diverse specie, sia in Asia che negli Stati Uniti. In sostanza, la domanda di ginseng americano da parte dei consumatori asiatici sul mercato interno è, stranamente, così alta che oggi in Asia il Panax quinquefolius, nonostante che in terapia gli vengano attribuite da alcuni esperti e commercianti orientali "proprietà differenti" o sia addirittura considerato "meno efficace", è più richiesto di quanto il ginseng cinese lo sia sul mercato interno americano. Il che sembra davvero incredibile, ma è verissimo.
      Un incredibile terzo paradosso sono le adulterazioni. In Cina, per guadagnare di più, i commercianti disonesti vendono il ginseng cinese per ginseng americano, e non viceversa come tutti noi immaginiamo, come hanno documentato But e colleghi alla International Ginseng Conference di Vancouver (1994).
      Il quarto paradosso è forse il più divertente e denota la simpatica mentalità ambivalente dei cinesi, sempre divisi come molti orientali tra nazionalismo e imitazione di tutto ciò che viene dall’Occidente. Oggi in Cina il ginseng americano costa il doppio di quello cinese: nel 2000 circa 300 dollari la libbra, ora costerà certamente di più. E' la naturale conseguenza di una domanda interna altissima.
      Il quinto paradosso lo ha creato la natura. Gli agronomi hanno scoperto che la varietà coltivata della specie americana è molto più simile alla specie selvatica di quanto non lo sia la cultivar orientale. E di questo c’è una spiegazione convincente: la radice asiatica, infatti, viene coltivata da diversi secoli, secondo alcuni autori probabilmente già dal Seicento, e quel che è più grave in modo intensivo, il che in Oriente ha portato a marcate differenziazioni genetiche tra piante coltivate e piante spontanee. Inoltre, la specie spontanea nel Nord America praticamente non ha domanda interna, tranne quella di pochi raffinati ed esigenti superesperti, e perciò basta e avanza rispetto al mercato interno.
      Già nel 1978, un decreto del Governo federale degli Stati Uniti ha dichiarato il divieto di esportazione del ginseng americano (quello selvatico), al fine di salvaguardarne la specie che è ormai molto rarefatta. Che, però, a differenza di quella orientale, non è ancora in pericolo totale di estinzione, come sostiene il Fulder. Cosicché, per ipotesi, se oggi una famigliola di turisti o una scolaresca, volessero mettersi a cercare ginseng in zone segnalate da amici esperti, per esempio tra i boschi dei monti Allegani e nella contea di Catskills, e comunque in tutti gli States orientali a nord della Georgia e del Missouri, camminerebbe molto, questo è certo, ma avrebbe qualche probabilità, sia pure remota, di trovarne un esemplare. Potrebbe raccoglierlo e sperare solo di non incappare nelle guardie forestali. Una situazione che in Corea e in Cina potrebbe verificarsi solo in sogno (Fulder 1996).
Ma la ciliegina sulla torta (il sesto paradosso) è che oggi in Cina si coltiva anche il ginseng americano (Bergner 1996).
      Insomma, dopo essersi precipitati in America fin dal 700, aver ammesso che il ginseng americano era "perfettamente uguale" e aveva "lo stesso sapore", ed averne importato per secoli migliaia di tonnellate ogni anno a caro prezzo, alcuni esperti cinesi hanno decretato che, però, all’atto pratico "è una pianta diversa", con "proprietà diverse", che "non può essere considerata un sostituto del ginseng orientale". Con tutto ciò, ora si mettono a coltivarlo.
      E non è finita. Esiste anche un settimo paradosso, che dopo tutto quello che abbiamo visto sopra è davvero inspiegabile. Dopo averlo pagato il doppio, dopo aver cercato di coltivarlo in casa, dopo averlo anche contraffatto con quello coreano, alcuni ineffabili esperti cinesi sostengono che il ginseng americano è inferiore, cioè meno buono come tonico del Ki di quello coreano". In realtà – ha spiegato lo studioso di medicina cinese H.Y.Hsu – il ginseng americano sarebbe sì un tonico, ma in teoria un tonico dello Yin, mentre il ginseng coreano o cinese un tonico Ki. Una distinzione che solo gli esperti dell'antica medicina popolare cinese sono in grado di cogliere.
      E se questa ennesima curiosa sottigliezza orientale vi ha meravigliato, vi sorprenderà ancor di più apprendere l’ottavo paradosso. Già nei secoli scorsi il ginseng americano, che non era assolutamente usato dagli Americani, faceva parte del quotidiano e familiare uso terapeutico cinese. Nell’Ottocento, come riporta il Duke, ad una ragazza cinese di Hong Kong in preda a scarlattina e febbre alta venne dato come antipiretico – d’accordo col medico – il ginseng americano (Leung 1984). Questo, mentre nello stesso anno dell’Ottocento, ad un’ipotetica ragazza di Chicago, i medici americani avranno prescritto per la medesima febbre chissà quale farmaco tossico, oppure magari l’applicazione delle ventose o delle sanguisughe.
      Ad ogni modo, finalmente il quadro di "costume farmacologico" cinese ci è chiaro: il ginseng americano è considerato cinese dai Cinesi, più di quanto la "zuppa inglese" e la "insalata russa" siano ritenute italiane dagli Italiani.. Con la differenza, però, che queste ultime due non esistono nelle presunte "patrie" d’origine.
      Quante complicazioni, quanti problemi, quanti traffici commerciali, quanti soldi!
E tutto per una piccola, contorta, ramificata, radice biancastra. Che i poveri orientali si disputano a grammi, ma i ricchi - riportano le antiche cronache - mangiavano a scopo terapeutico quasi come una carota. Una radice panacea (il Panax attribuitole da Linneo deriva da questa convinzione) che la medicina popolare prescrive per quasi tutto, ma che gli ultimi studi scientifici davvero indipendenti circoscrivono ad un numero ridotto di disturbi, specialmente quelli dipendenti da una mancata o patologica reazione allo stress.
      D'accordo, sarà ricca di principi attivi, tanto che da secoli secondo cinesi, coreani, giapponesi e indiani d’America è un rimedio formidabile per svariati disturbi (anche se oggi si è scoperto che i suoi famosi ginsenosidi sono affiancati dall'azione - non si sa quanto sinergica - dei banali e ubiquitari polifenoli, presenti pure nel cavolo rosso e in alcune verdure colorate, nel tè e sulla buccia di tutti i frutti, legumi e semi). Ma certo, tra le tante malattie vere o immaginarie che previene e cura, ce n'è una fondamentale. Visti i prezzi a cui le preparazioni con pochi milligrammi di ginseng sono vendute nelle erboristerie e farmacie, questa radice che ha provocato perfino guerre - commerciali o no - sembra ridurre di sicuro almeno un rischio grave, quello della povertà. Non di chi l’assume, ovviamente, che anzi rende più povero, ma di chi la produce e la vende.
      Già, com'è che sono diventato dal nulla un super-esperto di ginseng, io che fino al 1999 ne sapevo poco più della casalinga media? L'erborista ed editore Pinni Galante, apprezzando lo spirito critico e il rigore scientifico che mettevo nell'interpretare gli studi originali sull'alimentazione, mi propose di fare altrettanto col ginseng, la radice principe dell'erboristeria. Io ero perplesso e svogliato. Nicchiavo, perché non ne sapevo niente. Il tema non mi entusiasmava.
      Alla fine, dopo molte insistente, accettai ad una condizione: di avere tutti i libri esistenti al mondo (sapevo che erano pochissimi) e soprattutto la più recente ricerca scientifica, cioè gli articoli sugli studi di biologia sperimentale e di clinica medica riguardanti la radice. Così avvenne. Ed ecco come mai, proprio io che non ne sapevo nulla, mi misi a studiare per tre mesi, da gennaio a marzo del 2000, contemporaneamente sui libri e sugli studi scientifici più aggiornati. Scoprendo che i primi erano tutti superati o faziosi. E che quindi avevo la possibilità, unica, di scrivere il manuale più completo, veritiero e scientifico al mondo sul ginseng. La vanità scientifica e intellettuale agì su di me, come sempre, ben più che la prospettiva di guadagno.
      Così, sul ginseng apparve a mia firma nel 2000 un bel libro cucito a filo e di pesante carta patinata, ricco di bibliografia scientifica, che affrontava in modo neutrale e critico la storia, la farmacologia e l'uso terapeutico di questa pianta. Seguendo la metodologia critica in uso nella scienza, cercai di smontare o almeno chiarire e spiegare virtù, vizi e mito del ginseng. E, almeno nel 2000-2001 (dopo non so se sono apparsi testi più completi, ma ne dubito), il mio manuale era sicuramente il più preciso e completo al mondo tra quelli scritti sulla costosa radice alla moda.
      Infatti, con mente sgombra da pregiudizi non essendomi mai prima d'allora interessato all'argomento, vidi subito confrontando i libri con gli studi scientifici recenti una grande quantità di errori e imprecisioni, senza contare le insopportabili esagerazioni miracolistiche e il tono privo del minimo senso critico, tutti vizi tipici dei fanatici "sostenitori" d'una idea. Ma anche la stessa scienza sperimentale periferica - è il caso di dirlo - come quella coreana, aveva grosse pecche, dato che molti ricercatori locali erano stipendiati dal Monopolio di Stato del Ginseng, un conflitto d'interessi gravissimo che infatti getta più d'un'ombra su parecchi studi. In almeno un caso ho scoperto infatti un'enorme disparità di trattamento tra cavie trattate col gingeng e cavie di controllo.
      Peccato che un manuale che ha scoperto finalmente "il vero e il falso" del ginseng, dalla storia alla etno-medicina, dalla terapia alla farmacologia, sia poi stato titolato dall'editore in modo anodino ed esoterico "Ginseng, la radice della vita". Che banalizza tutto e non dà proprio l'idea dell'assoluta novità del libro. Quale "vita", quella degli erboristi? D'altra parte, l'industria fito-farmaceutica e il commercio collegato (erboristerie, farmacie, negozi di cosmetica) vogliono più che scienza, pubblicità.

JAZZ. Lee Morgan in un bell'assolo di tromba (ma il video è di pessima qualità) in "Blues March"

4 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Bella storia, complimenti e auguri. Lavoro nel campo delle erbe e derivati e sono d'accordo con te. Anche se non posso contestare dall'interno il sistema erboristico, altrimenti non vivrei.
Besos.

30 dicembre 2007 alle ore 11:55  
Anonymous Anonimo said...

ciao, auguri e...bel blog!

1 gennaio 2008 alle ore 16:29  
Anonymous Anonimo said...

Be' sono cose che non sapevo, eppure il g. lo vendo!

4 gennaio 2008 alle ore 16:52  
Anonymous Anonimo said...

caro NICO vorrei consigliare a tutti la lettura del tuo libro sul GINSENG
SIRHADDOCK

21 febbraio 2008 alle ore 17:58  

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