30 gennaio 2006

LA FELICITA'. L'altro, il passato, il lontano, l'alieno, il diverso

Cara amica, lei mi chiede "che cosa è la felicità", secondo me. Vuole raccogliere, mi par di capire, i pareri e le testimonianze di quanti più amici possibile sul tema più antico della riflessione dell’uomo. Che risponderle? Le offrirò, innanzitutto, un apparente, e forse per lei irritante, paradosso.
Non so che cosa sia la felicità, perciò credo di poterne parlare a buon diritto. Ignoro che cosa sia, però conosco bene invece ì momenti di serenità naturale, di apertura del cuore, di rapidissimo e completo appagamento dei sensi, che mi dà la scoperta di una cascata nella foresta o un concerto di Vivaldi o di Bach, oppure un assolo di Charlie Parker o lo swing dell'orchestra di Fletcher Henderson.
Ma di queste sensazioni mi sarebbe impossibile parlarne. Ne deduco che la felicità è, in genere, qualcosa che non riguarda l’uomo, o forse tocca gli altri o forse il passato. Sospetto che sia o sia stata una condízione rarissima, ammesso che sia mai esistita. Mi meraviglio, quindi, che possa essere oggetto di un libro. E ne anche esistesse, la felicità, sarebbe troppo breve, unica e indivisibile per poter essere sprecata e sminuzzata distribuendola a destra e a manca tra tutti coloro che amerebbero definìrsi "felici".
Mi spiego. Se è vero che l'oggetto studiato devo essere conosciuto, sì, ma non troppo frequentato dallo studioso, per timore che ne sia influenzato e il giudizio in qualche modo corrotto, ecco che soltanto i non-felici – paradossalmente - avrebbero le carte in regola per poter disquísire dì felicità. Essi soli del resto, sanno bene ciò che non hanno, a differenza dei tanti che ignorano ciò che hanno.
Eppure un vezzo della civiltà dell’uomo è che la felicità si dà per conosciuta. I superficiali la scambiano per una momentanea sensazione di euforia nuova e improvvisa come una scossa elettrica. Un fisiologo naturista, con la saggezza che gli deriva da epicurei e stoici, dovrebbe accontentarsi di considerare la felicità soltanto l'imprevista e improvvisa cessazione - anche momentanea - di ogni sensazione penosa o sgradevole. Il piacere – ripetevano i saggi - non è quello che gli uomini volgari intendono per il "piacere", ma l'assenza di dolore.
La felicità è sempre postuma, retrodatata come un assegno contestato in banca. Non ci credete? Pensate agli anni giovanili, quando eravate convinti di subire la massima infelicità. Gli stessi anni che rivisti trent'anni dopo si trsformano d'incanto in "favolosi anni falici".Anche se li avete trascorsi in una Casa di rieducazíone per minori traviati, diventano automaticamente felici se visti col ricordo e la nostalgia dell'adulto. Come della libertà, della felicità ci rendiamo conto soltanto quando non l'abbiamo più. Perciò è assurdo dire "sono felice" mentre è meno assurdo sostenere che "eravamo felici" nonostante tutto perfino a scuola, nel lager di Mathauaen, nel precedente matrimonio, nel cellulare dei carabinieri,in fila per pagare le tasse (o davanti al casello dell'autostrada). Qualunque situazione, purchè così passata e lontana nel tempo da far scattare sentimento la nostalgia.
Anche la felicità, come la nostalgia, vive di un paradosso, esiste a patto di venire negata. Che cosa pensare, dunque di un sentimento così ambiguo da nutrirsi del suo contrario? E' così che solo un non-felice può attestare la presunta felicità passata o promettere - illudendo se stesso e gli altri - una possibile felicità futura. "Oggi, certo, non sono felice" pare che dica -"ma una volta, forse, lo sono stato,e domani forse lo sarò". Ogni nostra azione, ogni sia pur minimo programma dell'uomo, si nutrono di questa proiezione di felicità mossa dall'attuale infelicità. E la somma di tanti infiniti momenti di infelicità non è altro che il nostro agire quotidiano, la vita. E' questa la molla del progresso. Eliminare l'infelicità e realizzare finalmente la felicità sulla terra sarebbe la stasi completa, la morte. Perciò ho sostenuto all'inízio che solo un rinuncíatario, e aggiungo ora, uno stupido potrebbe definirsi "felice".
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* Testo commissionatomi negli anni Ottanta