05 luglio 2015

CULTURA. L’industria del romanzo: gli amici dei libri o i libri degli amici?

Uno scrittore, tra le centinaia con le amicizie giuste di cui pullula l’Italia, "Paese in cui nessuno legge, ma tutti scrivono", vince il maggior premio letterario, lo Strega, e sùbito si scatenano gli osanna (servili, diranno i soliti invidiosi) e le critiche (invidiose, diranno i soliti amici).

Premi affollati, mondanità, champagne, oh quanta bella gente, madamadoré! E' come per la Chiesa: tanti, troppi, cardinali e vescovi e suore e preti, mentre le chiese sono vuote. Così nell'industria parassitaria del romanzo: tanti gli attori, pochissimi gli spettatori. Infatti le poche librerie sopravvissute sono vuote. I tavoli di esposizione (è lì che si capisce tutto) affollati solo di libri già destinati al successo dall'industria editoriale, o perché televisivi, o perché citati nelle polemiche dei giornali, o perché tradotti dai pochissimi romanzieri di cassetta, tutti americani, o perché di cucina, diete e segni zodiacali. Ben 2700 circa sono gli editori, comprese le tipografie che stampano libri a pagamento (coi soldi dell'autore), ben 63.800 i titoli ogni anno (Istat 2010). E nelle statistiche sono considerati lettori anche quelli che hanno letto al massimo tre libri all'anno (il 45,6%).

Del resto, chi non ha vinto un premio letterario in Italia? Se ne contano centinaia. E tutti hanno pessima fama. Sono, ahimé, lontani gli anni 50, quando regnava su editori, critici e lettori la coppia Alberti-Bellonci, buon'anima. Oggi gli scrittori di fiction sono spesso senza idee, coi dialoghi rimasticati dal cinema, con le solite situazioni o troppo improbabili o banali, mentre molti si fanno riprendere pure per la punteggiatura e la sintassi. D’accordo, anche Moravia non sapeva mettere i punti e le virgole, e se non era per gli editor in redazione... ma questi neo-autori, di successo o falliti che siano, non sono certo Moravia, che pure appare oggi dimenticato, sopravvalutato. Un record in Europa: migliaia sono i libri stampati ogni anno, quasi tutti brutti, mal scritti, dai pessimi titoli, dalle orribili copertine, inutili. Ma servono a foraggiare una miriade di piccoli editori - molti in realtà solo mediocri tipografi - "piccoli solo perché non diventeranno mai grandi", cioè perché non selezionano gli autori, non sanno neanche impaginare, dividere in capoversi, fare un sottotitolo o una decente nota di copertina.

Così va il Mondo, o meglio quella sua piccola parte che è lo Stivale, dove anche la Cultura è un circolo privato, chiuso e molto snob (cioè senza vera nobiltà) e dove regnano amicizie personali, il rito della presentazione, la raccomandazione autorevole, l'industria del consenso. Si ironizza sugli Amici della Domenica nella esclusiva Capalbio, ma certo l'abitudine alla divisione tra "noi" e gli "altri" è ormai inveterata nel provinciale mondo della cultura italiano. Amici di libri, musica e cinema, o non piuttosto libri, musica e cinema degli amici

Intanto, complimenti a La Gioia, che per la verità apprezzai come conduttore al Radio-3 (appunto, e ti pareva?), che ha vinto il premio, e di cui purtroppo non leggerò mai il libro (La ferocia, Einaudi), leggendo solo saggistica, storia e biografie, oltre ai romanzi classici. Però c’è un critico (sarà tale o solo un antipatizzante?) che si diverte al con un "Inno a La Gioia" al contrario. Dove? Sul Giornale, figuriamoci.

Per principio non dò mai il minimo credito ad articoli "politici" (che parolona) dei giornali di Destra come Libero, Giornale o Foglio, ma talvolta nella cultura ci possono indovinare. Com'è possibile? Be', vediamo: i direttori masticano così poco cultura che non dandole importanza lasciano briglia sciolta sugli esperti (o quelli che loro ritengono tali). E poi, abituati a criticare tutto in modo populistico sono più propensi a pubblicare articoli di critica anche nel campo della musica o dei libri. Nonostante la ben nota ignoranza dei lettori di Destra. Invece, la critica culturale è ormai finita da decenni nei giornali di Sinistra, annegati nell'intellettualismo autoreferenziale.

Io, per testimoniare un caso personale, quando giovanissimo scrivevo critiche o inchieste di jazz, dal liberale Il Mondo o dai cattolici Fiera Letteraria e Sette Giorni non ebbi mai una tirata d'orecchi, solo complimenti (per la verità neanche dalla Repubblica, anzi i redattori venivano a complimentarsi con me), mentre all' Espresso che allora era ancora letto e deteneva il monopolio del politicamente corretto, fui accusato da Valerio Riva, caposervizio cultura, di aver suscitato delle critiche (interessate e corporative, sapevo...) di qualche affaristica scuola di musica. Replicai che era strano sentire questo rimprovero da un giornale scandalistico che nelle pagine politiche attaccava tutto e tutti e suscitava centinaia di proteste.

Capìto come funzionava? Loro in politica potevano insinuare qualunque cosa, anche falsa (v. le cose scritte contro il presidente Leone, rivelatesi nei processi non vere), mentre nelle pagine culturali esigevano il più piatto conformismo. Che poi l'industria del libro, dai primi agli ultimi editori, sia in Italia corrotta e incapace per conto suo e affidata a funzionari ed editor inadatti a stampare cultura, ma adattissimi tutt'al più ai depliant turistici o gastronomici (basta dire che in Italia non sanno neanche fare i titoli e le copertine dei libri, mia vecchissime e sempre confermata accusa), è un'aggravante, non una scusante.