GRANDE CORTILE. Ma i pettegolezzi della portinaia sono la vera libertà
Il gruppo, il controllo del gruppo, anzi della folla, come paradigma di libertà? Con le nuove tecnologie sembra così. Strano per noi libertari o liberali che tanto facciamo mostra di odiare la massa e preferire l'individuo. Ma che vuol dire? Un individuo senza stimoli sociali non esiste. Il troglodita, lo stilita nel deserto, l'eremita nella caverna, sono poveri anche intellettualmente. Per essere se stessi, per avere la consapevolezza di essere individui, perfino per accorgersi o per decidersi di essere soli con se stessi, bisogna stare tra la gente, sia pure in modo critico e con tante riserve mentali...
E la folla ha trovato internet grazie a Facebook. Ci trovi tutti, giustamente, perché nonostante la macchnosità, caoticità e pesantezza del mezzo (non ha bravi informatici), Facebook è davvero la sintesi più efficace e brillante di Internet. Mentre i siti web sono l’enciclopedia universale, Facebook è il "catalogo" delle persone. Cosicché ritrovi vecchi amici perduti o la ragazza che per fortuna ti disse no a 19 anni. Ma è anche una posta prioritaria immediata e gratuita, più veloce delle email. È anche un diario pubblico plurimo di interi gruppi di "amici", definizione un po’ forzata che viene affibbiata a quelli che vuoi tu, in modo da farli entrare nella comitiva. Esempio: c’è un gruppo di 100 amici dietro la mia pagina? Ebbene, tutto quello che dicono, commentano, borbottano, fotografano, leggono o fanno questi 100 amici viene diffuso a tutti in tempo reale. Il minimo di privacy possibile. Evviva! Immaginate le interrelazioni, gli scambi e le influenze reciproche tra i tipi umani più disparati. Per quanto uno abbia faticato a "dare una linea" al proprio gruppo, è tale il ritmo delle continue richieste di adesione che alla fine fai entrare chi lo vuole, fidantoti del fatto che è amico di tuoi amici. E così via come nel gioco del domino.
E le facce, quante facce. Un "mare di facce", come disse un jazzista americano a Umbria Jazz guardando gli spettatori dal palco, ai tempi in cui le pletee erano folle assiepate corpo a corpo.
Troppa gente su Facebook, su Internet? Gente che come al telefonino si limita a segnalare la propria posizione nello spazio o almeno la propri esistenza in vita? Certo, c'è anche chi trasforma tutto in una chat. Ma c'è ben altro. Il problema è se vuoi comunicare qualcosa a qualcuno o no, se vuoi ricevere e dare stimoli nuovi, se vuoi nella massa anonima trovare persone come te o che la pensino su qualcosa come te, se vuoi interagire con gli altri, e magari non con il circolo chiuso delle solite persone a cui sei abituato, che è una fetta di mondo comoda e finta, ma con quelle che vedi poco o non vedi più, coi tanti, coi diversi da te. E' come il servizio militare: non piaceva a nessuno, però lì frequentavi gente che non avresti scelto. Questo, si scopre in psicologia, è un arricchimento.
E’ il bello di questo Grande Cortile Informatico in cui il Grande Server-Portinaia riferisce tutto di ciascun condomino agli altri condomini, specialmente le piccolezze, perché sembrino per la loro futilità ancor più piccanti e intriganti. "Qui se ci scopre il Garante della privacy ci arresta tutti", ha detto qualcuno. E infatti negli Stati Uniti Facebook qualche grana l’ha avuta (ecco perché ora troviamo opzioni – per fortuna nascoste e poco usate – su come escludere quello o quell’altro. Ma così finirebbe Internet, forse una delle ultime vere libertà rimaste al cittadino, in tempi in cui tutto è vietato, perfino fotografare una mamma col bambino. Proprio culturalmente, politicamente, il modello Facebook piace, al di là delle sciocchezze che ci possiamo scambiare, perché ha una filosofia "politicamente scorretta" in questi tempi di eccesso di retorica della privacy. E dalla roulette russa alle giostre il mixer casuale ha sempre avuto il suo fascino. Con qualche rischio, certo. E ci sono tanti che in mezzo alla gente si nascondono, come "L’uomo della folla" di E:A:Poe. Siamo o non siamo uomini-massa? E dunque recitiamo la parte. Ma divertendoci a discutere col "vicino di post" (senza la o finale) come in treno o in aereo. Del resto chi fa teatro non penserebbe mai di far entrare gli spettatori a numero chiuso. Perché sa bene che è non dal critico gaté della prima fila, ma da quell’imprevista coppietta rumorosa lì in fondo, all’ultimo posto, che vengono all’attore gli stimoli, il feedback più utile.
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JAZZ. Negli ultimi giorni di dicembre è scomparso il trombettista Freddie Hubbard. Della schiera degli allievi del grande Clifford Brown, era certamente il più estroverso, appariscente, talvolta accusato di superficialità ed esibizionismo. Qualche critico ha storto il naso, anche perché freddezza e virtuosismo non sono apprezzati nel jazz, musica "vera", in cui bisogna essere se stessi, e la tecnica (che deve essere altissima) deve sempre essere asservita all’espressione artistica, senza mai farsi notare troppo. Un americano commentando scrive: "Ma poi non è vero che Hubbard aveva tutta questa tecnica. Anzi, ha una gamma limitata, e il suo vibrato davvero troppo diffuso e fastidioso. Lee Morgan era molto meglio". Sembra la critica d'un trombettista.
Ma ecco un lungo assolo di Hubbard alla tromba (allora non suonava ancora il flicorno) in Moanin con i Jazz Messengerd di Art Blakey (1962). Durata 2.56. Più recente, e anche un po' deludente, I Remember Clifford.
Etichette: comunicazione, costume, informatica, jazz, psicologia
1 Comments:
Sì, hai rappresentato realisticamente e con humour l'ambiente.
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