14 febbraio 2016

S. VALENTINO. Gli ipocriti fidanzati di oggi e i carnali Lupercali di Roma antica.

LE VERE RADICI CULTURALI. Nei giorni a metà del mese di febbraio, il 13, 14 e 15, gli Etrusco-Romani, fondatori della nostra Civiltà, celebravano l’antichissima festa dei Lupercalia (in it.: Lupercali), dedicata alla fertilità, alla prolificità delle donne, all’allattamento, ma anche alla difesa delle greggi dai lupi – da cui il nome – predatori molto attivi in questo periodo di fine inverno.
      La festività dei Lupercalia aveva origini lontane e complicate. Era collegata alla leggenda di Romolo e Remo allattati dalla lupa, animale bellicoso dedicato a Marte, dio della guerra, diventata poi il simbolo di Roma, nonostante che lupa significasse in latino anche prostituta, da cui lupanare cioè bordello. La lupa della leggenda si sarebbe rifugiata in una grotta ai piedi del Palatino venerata per secoli dai Romani, localizzata nel 1576 e poi dimenticata. Ritrovata con le sue decorazioni durante scavi del 2007, secondo un'ipotesi del prof. Carandini. Corrisponde a quella descritta da Dionigi di Alicarnasso (v. immagine 2).
      Ma i Lupercalia erano dedicati soprattutto al dio Fauno o Luperco (lupus + hircus, lupo-caprone), una delle tante divinità della Natura, protettore di pascoli, pecore e capre, che per i popoli antichi, tutti nati dalla pastorizia, erano la prima e fondamentale ricchezza. Non per caso pecus (pecora) ha dato origine a numerose parole latine passate poi all’italiano, come peculium (patrimonio),  pecunia (moneta, denaro), pecuniarius (che riguarda la ricchezza), pecuniosus (benestante), peculiaris (attinente al peculio, proprio), peculiatus (danaroso), peculiare (verbo: togliere a qualcuno parte dei suoi beni),  peculatus (furto del denaro pubblico), peculator o peculor (ladro del denaro pubblico) ecc.
      Senonché Fauno era anche un dio dalla prepotente sessualità, inseguiva perennemente le Ninfe dei boschi allo scopo di possederle sessualmente, era insomma il dio "specializzato" nella penetrazioe femminile. Alla sua statua, non di rado itifallica, cioè dal fallo spropositato, le donne e le famiglie davano valore beneaugurante di fertilità e quindi di prosperità.
      Durante i Lupercali in origine le donne gravide correvano nude o seminude dal Palatino fino al bosco sacro a Giunone ai piedi dell’Esquilino (forse l’attuale Colle Oppio) per avere figliolanza e latte, in ricordo di un’antica protratta sterilità guarita dalla Dea. La leggenda vuole che Giunone rispondesse alle implorazioni facendo stormire le fronde. Per avere la fertilità desiderata – interpretarono il responso i sacerdoti – le donne dovevano farsi penetrare da un montone!
      Sgomento da parte delle donne. Ma viene in soccorso la furbizia dell'aruspice etrusco che traduce a modo suo beffando l'oracolo della Dea: macché penetrazione, basta un gesto simbolico, per esempio percuotere con striscioline di pelle di montone il dorso femminile. Per inciso, il contatto dorsale della pelle dell’animale era una scoperta allusione alla pratica del “more pecudum”, modo di accoppiamento tipico degli animali e modo preferenziale – allora – anche tra gli umani. Il trucco funzionò, dice la leggenda. In seguito, come riferiscono gli storici romani, la cerimonia fu impersonata dai Luperci, sorta di sacerdoti specializzati mascherati da lupo o pecora che percuotevano con strisce di cuoio tutte le donne giovani che incontravano per strada, allo scopo di renderle fertili.

      La festa era molto sentita dal popolo, e forse trattando di fecondità doveva avere anche dei risvolti licenziosi. Fatto sta che negli ultimi secoli dell’Impero altri sacerdoti, ben più bigotti, quelli cristiani, come fecero con tutte le altre feste pagane, a cominciare dai Saturnali, si preoccuparono di cancellare i Lupercali.
      Un ricordo dei Lupercali, molto edulcorato, è l’attuale ricorrenza di S.Valentino (guarda caso, il 14 febbraio), "festa degli amanti" e inevitabilmente della sessualità, che sembra riprendere gli antichi riti della fertilità con tanto di lupe (in tutti i sensi), caproni e donne giovani che devono essere penetrate.
      Ma questo misterioso Sanctus Valentinus? Non si sa come sia collegato a faccende di sesso: era un martire cristiano italiano, nato a Terni e fatto giustiziare dall’imperatore. Non ci interessa minimamente, ma incuriosisce che sia infinitamente più famoso in America che in Italia, dove non solo il Santo, ma anche la festa degli innamorati a lui dedicata, erano bellamente ignorati fino a pochi decenni fa, cioè prima che la "americanizzazione" veicolata dai tre canali del globalismo (stampa, tv, mercato delle merci) cambiasse gli usi consumistici italiani, dal Babbo Natale che porta doni al posto delle nostra Befana, alle stupide zucche e streghe di Halloween, alle regalie e dimostrazioni sessuali d'obbligo per il "Valentine Day", che però – pare – non soddisfino mai le giovani donne. Vedere, sotto, la perfida cartolina violentemente satirica contro le esagerate aspettative delle golose ragazze americane, che solo un “pene di cioccolata che eiaculi monete” potrebbe soddisfare per S. Valentino!
      Ci voleva l’orgia dei regali e delle coccole erotiche del Valentine Day (o anche solo Valentine) del mondo anglosassone per resuscitare in un colpo solo le (vere) radici Etrusco-Romane della Civiltà Occidentale, tramite stavolta le (false) radici cristiane d’Italia e d’Europa. E come per i Saturnali e le Ferie di Augusto, tanto potenti erano quelle spontanee e simboliche feste arcaiche, proprio perché fondate sui valori concreti, sui bisogni veri e naturali degli uomini, che anche col velo censorio e ipocrita della Chiesa perfino i Lupercali non sono stati dimenticati.
      Oggi in America, proprio per reazione all’insopportabile, mielosa, ricorrenza di S. Valentino, si sta sempre più diffondendo il ricordo degli antichi Lupercalia, fino al punto da augurarsi ironicamente “Happy Lupercalia”. E’ un modo originale e più che ironico, dissacrante, di dir male di S. Valentino, questa stupida festa in cui è doveroso farsi regali tra amanti, fidanzati e sposi, diventata ormai un vero e proprio affare commerciale e un grande stimolo al mercato (negli Stati Uniti si calcola ogni anno una spesa pari a ben 18 miliardi di dollari). Perciò abbondano negli States blog, siti e vignette iconoclastiche e sarcastiche “contro” il Valentine Day, tra cui una intera serie di My Cards piena di satiriche volgarità, espliciti riferimento al sesso, al pene, alle tette, al “blowjob”, alla masturbazione e alle scopate che nel giorno di Valentino amanti, non-amanti, ex-amanti e singoli praticano.
      Così, dalla penetrazione nient'affatto simbolica delle ninfe da parte dei pastori a quella simbolica e allusiva di un montone si arriva oggi alla dolciastra e ipocrita dichiarazione di “amore eterno” tra innamorati, mentre il brutale animalesco “more pecudum” è ridotto agli sbaciucchiamenti adolescenziali o allo stanco sesso rituale tra vecchi amanti: la tomba dell’amore.
      Ecco perché, per reazione a questo insopportabile buonismo ipocrita e piccolo-borghese, negli Stati Uniti, luogo di tutti i conformismi e in conseguenza di tutti gli anticonformismi, oggi S. Valentino è diventata per molti una specie di festa della sessualità ritrovata. Insomma, si ritorna alle origini, alla simbologia della donna che si fa coprire dal montone.
      C’è talmente tanto astio, giustamente, contro il Valentine Day che abbiamo faticato a trovare immagini spiritose ma non volgari in tema. In compenso quella che qui pubblichiamo è davvero eccezionale per umorismo, ironia e sarcasmo. D’altra parte, è noto, la battuta perfetta non può non essere caustica e perfida (anche se questa appare rivolta solo alla donna, mentre a ben pensarci coinvolge necessariamente l’uomo)!
Infine, gli appassionati di jazz non possono dimenticare le tante interpretazioni jazzistiche della famosa canzone My Funny Valentine, così popolare come popolare è oggi la festa degli innamorati e popolare era ieri quella dei Lupercali.

APPENDICE
Sui Lupercali si veda il video dell'esilarante e coltissimo Renato Minutolo che come "Alessandro il Barbero" fa la satira dello storico Alessandro Barbero: 
Si legga anche la voce nella Enciclopedia Treccani del 1934.

JAZZ. Di My Funny Valentine esiste una interpretazione con la sola tromba di Chet Baker (senza voce) che non riesco a trovare su YouTube, e quella stupenda, lirica e disperata, di Chet Baker alla tromba accompagnato in sottofondo dal soffio del sax baritono di Mulligan e dal contrabbasso di Carson, del 1952. Per chi ama la canzone, sola voce, c'è anche un'interpretazione di Chet Baker.

AGGIORNATO IL 14 FEBBRAIO 2022

4 Comments:

Anonymous Amalia said...

BELLISSIMO!

5 febbraio 2017 alle ore 22:41  
Anonymous Mary the Red said...

Cose mai lette, complimenti.

14 febbraio 2018 alle ore 22:20  
Blogger Unknown said...

Fantastco articolo!

14 febbraio 2020 alle ore 16:04  
Anonymous Anonimo said...

Devo dire la verità: cose mai lette. Eppure sono una donna di una certa cultura. Che ci sia sotto sotto un poco di censura nella divulgazione storica da parte di insegnanti, per lo più cattoliche, e dei divulgatori? Complimenti! Rosaria d'A.

15 febbraio 2021 alle ore 12:56  

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