06 gennaio 2015

FOTOMANIA. Tutti fotografi, nessun fotografo: è la fine della fotografia.

self other smallVi ricordate di quando, tanto tempo fa, noi Europei prendevamo in giro i turisti giapponesi? Tutti maniaci, dicevamo. Maniaci delle foto. Poi vennero i turisti in genere, i tifosi, gli studenti, le donne, i bambini, e non so più quale altra categoria. Ma ora tutti fotografano tutti, proprio tutti, dobbiamo arrenderci. E tutti fotografano male e per caso e innanzitutto se stessi (selfie). In una sorta di onanismo iconografico ossessivo e collettivo che vuol dire “godo perché mi fotografo”, ma anche, che è molto peggio, “mi fotografo, quindi esisto”.
      E con che cosa auto o etero-fotografiamo? Col telefono portatile. Anzi, ormai chi usa la “macchina fotografica”, sia pure le mediocri compatte con orribili effetti di grandangolo, comincia ad essere preso per uno zelante e goffo purista. Addirittura.
      Verrebbe di dire, se non fossimo stati appassionati di fotografia, “abbasso la foto”, soprattutto “abbasso i fotografi”.
      Con questo piccolo elettrodomestico in mano, Homo sapiens, subsp. photographicus (la nuova sottospecie umana affetta da questa mania autoreferenziale e tautologica) scansiona casualmente in tempo reale qualsiasi cosa, scena, paesaggio o persona capiti davanti all’obiettivo, spesso senza motivo, senza un minimo di ricerca o studio. E gratis. A pensarci bene, era il sogno del regista di avanguardia Andy Warhol.
      Ma almeno, con una tale palestra attiva, direte voi, chissà quanti geni della foto avranno modo di farsi le ossa, di imparare, di rivelarsi come artisti... Macché, neanche uno. Le mostre di foto contemporanea fanno pena. Gli artisti sembrano spariti col digitale, cioè con la foto di massa, gratuita e casuale. E del resto la stragrande maggioranza delle foto scattate – pixel inutili e platonici destinati a essere cancellati – neanche escono dal telefonino o dalla macchina fotografica. Si direbbe che la facilità dello scatto e la sua gratuità hanno a tal punto banalizzato la fotografia, da renderla inutile, anzi, ucciderla.
      Il giornalista critico Cotroneo, già penna pungente dell’Espresso, dal suo blog lancia un’invettiva contro le foto di massa dei nostri tempi, ridondanti, inutili, pessime, deformate dall’angolo ottico, falsificate dai programmi di correzione, che ormai sono inseriti direttamente negli apparecchi. “State scattando pessime foto, bisogna che qualcuno ve lo dica”, dice il critico. “Non ve ne accorgete, ma siete presi in giro”.
Il critico, insomma, sembra puntare più che altro sul piano estetico. Non è tutto, anzi, forse non è neanche questo il punto principale del fenomeno. Ad ogni modo, sono d'accordo con Cotroneo, tra l’altro uno dei pochissimi critici rimasti in Italia: tutti fotografi, nessun fotografo.
Selfie inseguito da un toro      E' come dire tutti giornalisti-scrittori di blog o di internet-twitter-facebook e nessuno scrittore. Tutti poeti e nessun poeta... Pochi sanno leggere (lo vedo dalle risposte e dai commenti), pochissimi sanno interpretare un testo (l'analisi semantica è la cosa più difficile per chi non è abituato a leggere e scrivere cose complesse: ricordo che alcuni miei lettori non capivano concetti elementari, solo perché c'erano alcune frasi coordinate o dipendenti, un ma un tuttavia, un se non... Il lettore medio si chiede: ma avrà voluto dare un giudizio positivo o negativo?).
      Così è anche per la foto: non basta pigiare un bottone, bisogna prima sapere che cosa si vuol “dire”, cogliere il colore e la sfumatura che si vuole ottenere, avere un'idea della inquadratura, comporre il fotogramma, che è proprio come un quadro pittorico-
      La fotografia voleva dire un tempo "comporre", allestire in qualche modo artificialmente - di qui la caratteristica individuale, irripetibile, la "cifra" stilistica dell'artista - l'oggetto fotografico, senza alcuna ottusa pretesa di copiare la Realtà o la Natura. Come nell'Arte vera, tutto era finto, cioè, appunto "artefatto" nella fotografia. A cominciare dallo sfondo. E questa capacità di composizione fotografica doveva essere allora comune, evidentemente, in tutti quelli (pochi, pochissimi) che facevano fotografia. Si componevano nature morte, persone, paesaggi ecc. come in un quadro pittorico, stando ben attenti allo sfondo e alla collocazione (se nella Natura o in interni realistici), al bilanciamento dei volumi (fossero pure delle persone, sempre volumi sono), alle posizioni relative, al punto di fuga e ad altri misteriosi fattori noti solo ai foto-artisti. Un'abilità che è andata perduta da quando con la diffusione degli apparecchi fotografici digitali dopo la fine della pellicola, e ancor più da quando i telefoni portatili che hanno tutti permettono di scattare foto "usa-e-getta" a ripetizione, facilmente e gratuitamente. Così oggii si scatta a caso foto virtuali che saranno in maggioranza cancellate, perché prese senza nessun criterio estetico, nello stupido convincimento che questo voglia dire "istantanea". La foto dal telefonino ha peggiorato ancora di più la fotografia, l'ha distrutta. "Tante foto" brutte e casuali, equivale a dire "nessuna foto".
      Una conseguenza di questa nullificazione della fotografia è il disinteresse per la tecnica. Chi perde più tempo, per un'opera che non sarà mai stampata e quasi certamente sarà cancellata, a studiare la migliore  lunghezza focale per decidere quali piani devono entrare nel “fuoco” e quali no? Chi si preoccupa ancora di intervenire su velocità dell’otturatore (virtuale) e apertura del diaframma? Ormai quasi tutti usano la modalità “automatica”. Io stesso disprezzo a tal punto il mio apparecchio digitale (e non parliamo del telefonino in modalità foto!) che neanche voglio sapere dove stanno i comandi per la funzione “manual”, che mi sembra ridicola e inappropriata, e certamente deludente per una scatoletta di plastica con lenti di plastica.
Selfie di bambina con Renzi      Con le fotocamere digitali per tutti si sono aggravati i problemi della fotografia, non guariti. Anche prima della rivoluzione digitale la realtà non esisteva. Non esisteva prima dello scatto fotografico, anzi prima della stampa. Ma ora continua a non esistere anche dopo la foto. Perché se è neutra, vorrà dire che dipende da quello che tu, solo tu, autore, vuoi selezionare, mettere in rilievo, esprimere. Insomma bisogna già avere la foto in testa prima di scattare. E' il cervello che lavora, non solo il dito. Ma come esprimere, selezionare e realizzare idee con questi apparecchi o telefoni? La tecnologia in mano a chi non ha idee e spirito critico non serve a nulla, anzi ne mette in rilievo – fino al ridicolo – i difetti culturali e intellettivi. Sarà ovvio, ma non lo ricorda nessuno: la foto, come qualunque immagine, l'articolo, il romanzo, il saggio, come qualunque opera dell’ingegno, li si costruisce col cervello: macchina fotografica, telefonino, penna, tastiera, pennello, scalpello ecc. sono solo degli strumenti. Che banalità ci tocca ricordare. Eppure…
Selfie ragazzo con regina Elisabetta      Ma ci saranno dei vantaggi, no? obiettano i soliti laudatori del fatto compiuto, quelli che accettano tutto, basta che accada. In fondo, dicono, che male fanno i tanti, i tutti, che fotografano? Suvvia, non siamo elitari, insinuano certi amici su Facebook.
E invece, i danni del “tutti fotografi” sono quelli di ogni inflazione. Se l'abbondanza di strumenti a disposizione di chicchessia ha abbassato quella che era un'arte e una tecnica di pochi, cala il suo valore. Visto che i molti non saranno mai preparati e motivati come i pochi autoselezionati dal merito e dalle difficoltà.
      Se molte persone non particolarmente versate si mettono a fotografare producendo foto brutte, inutili o mediocri, certo farà bene a loro (ludoterapia, ergoterapia anti-stress ecc.) e anche alla sicurezza e alla documentazione cronachistica (scopriranno reati, avranno le prove di fenomeni naturali, eventi sportivi ecc.), ma farà malissimo alla Fotografia in sé, la svilirà, non sarà più un'arte ma una banalità tecnologica da gadget, un giochino o un mero modo per fare documentazione (v. i droni). Inoltre sarà una conferma negativa di un fenomeno più vasto di attività automatica e veloce senza pensiero (come tutto oggi dalla musica alla politica), cioè improvvisando senza arte né parte.
      Insomma un ennesimo inno alla mediocrità della massa. In questo senso la foto digitale come il telefonino sono tipici della inciviltà di massa: non si ha niente da dire o fotografare, però si parla o si fotografa lo stesso, e pure male.
Foto dopo incidente auto anziani (Usa)      Ma non è meglio che si allarghi la platea dei fotografi, da cui possano emergere i migliori? I tanti non sono meglio dei pochi? No, rispondo, anche per un secondo motivo extra-estetico.         Se tutti fotografano (lasciamo stare se male o mediocremente), perché io dovrei ancora fotografare? Una ridondanza assurda. Perché sicuramente qualcuno sta fotografando anche per me, cioè avrà già fatto la foto che avrei voluto fare io (ecco l'utilità scandalosa di internet).
      Si sa che tutto in Natura (v. animali) vive col principio del risparmio delle forze, cioè con la minima fatica. Perché, dunque, dovrei fare la fatica non di scattare, ma addirittura di togliere l'apparecchio dalla custodia o il telefono dalla borsa o dalla tasca, se la foto la posso trovare bell'e fatta, già nel computer (e anche l'acquisizione col cavetto salto)? Ecco nuovamente dimostrata, con una seconda prova regina, la tesi che "tutti fotografi" vuol dire la morte della fotografia.
      Senza contare un ulteriore risvolto psico-sociologico: il feticismo. Avevamo accusato i soliti giapponesi di essere dei maniaci ossessivi adoratori di immagini? Ma ora sono tutti, siamo tutti colpevoli di idolatria o iconolatria. Dal computer al telefonino mobile che altro facciamo tutto il giorno se non venerare le icone? Inutili, ridondanti, falsissime immagini, quasi sempre prive di qualsiasi contenuto? Proprio come per i bambini che si lasciano condurre solo dalle immagini. Gli Illuministi, ma anche Giambattista Vico, hanno dimostrato che nelle regressioni dello spirito critico, grazie al buio della Ragione, i popoli tornano periodicamente bambini. E finalmente le immagini, stavolta maniacalmente prodotte a migliaia senza nessuno sforzo da ciascuno di noi, hanno preso il posto dei vecchi idoli dell’alba della Civiltà, ritenuti falsamente fondamentali per la nostra vita, e perciò in qualche modo “sacri”. Ciao, ciao.

AGGIORNATO IL 29 MARZO 2018

01 gennaio 2015

IL GATTO. Ritratto del più caro, ingrato e inaffidabile degli “amici dell’uomo”.

Gatti nelle favole (disegno)IL GATTO CASALINGO, IL SUO “CARATTERE” E LE SUE MANIE
MALAFEMMINA D’UN SORIANO
Morbido. sfuggente, umorale, giocherellone e traditore: ecco un ritratto controcorrente, tutto aceto e miele, dell'amico dell'uomo più amato dalle donne.

NICO VALERIO,  Scienza 2000, ottobre 1988

“Gatto che ghermisce un pollo”, mosaico dalla Casa del Fauno a Pompei
Un cane giocherellone ci viene incontro scodinzolando, e noi lo scacciamo. Un gatto, invece, ci sfiora e fugge via con l'agilità di un'anguilla, se solo proviamo a carezzarlo. Perché? Perché il cane è il più grande amico dell'uomo, ma l'uomo è il migliore amico del gatto.
      E questo spiega due cose: la malasorte di certi cani non ricambiati nel loro attaccamento al padrone, e l'ingratitudine di certi gatti che dal padrone sono troppo amati. E il gatto che abbandona il suo padrone, che a sua volta ha abbandonato il suo cane, è strumento di una Nèmesi implacabile, diventa un riparatore di ingiustizie, un vendicatore. Perciò, quasi sempre, veneriamo il cane, ma siamo poi innamorati del gatto.
      Definito «domestico» da zoologi distratti, il micio di casa casalingo lo è solo part time, cioè quando gli conviene. Randagio, siamese, persiano, d'Angora (Ankara), soriano (siriano), di qualunque altra razza o condizione sociale, il gatto se ne va per il mondo forte di una decisa personalità, di una autonoma – come dire? ‑ visione delle cose, talvolta di un caratteraccio tutto suo.
      Bisogna accettarlo così com'è, oppure lasciarlo. A un amico più paziente di noi, s'intende. Tenendo presente che il più delle volte è lui a lasciare noi. Del resto, se non sgattaiolasse così bene, scivolando via all'inglese nel momento più opportuno (per lui), che gatto sarebbe? La gattaiola, il foro a misura di micio praticato sull'uscio delle vecchie case, serviva a questo.
Il Gatto e la Volpe con Pinocchio (A.Mussino, part)      Ora che i suoi «ospiti» sono più sedentari, il caro felino si è adeguato. Senza più gattaiola, in città la sua mobilità si riduce al percorso salotto-bagno-e-ritorno, sia pure con fantasiose variazioni.
      Lontana l'epoca del gatto da focolare, che dopo una giornata di stravizi e avventure si addormentava sulle ginocchia della padrona davanti al camino, incombe l'èra del Felis catus varietà televisivus, che sonnecchia al ritmo della moviola elettronica davanti allo schermo acceso.
Ma quando è sveglio ‑ secondo i suoi calunniatori ‑ si merita gli aggettivi di sempre: indolente, pigro, inaffidabile, goloso, anarchico, libertario, zingaresco, avventato, opportunista, svogliato, egoista, e chissà quanti altri.
Freyja, dei della fertilità dei Vichinghi con carro trainato da due gatti (picc)      «Malignità di chi i gatti non li ha mai amati né capiti – replicano i difensori ‑ perché ragiona col cervello di un uomo». Fatto sta che anche dizionari ed enciclopedie, forse asserviti alla lobby dei cinofili, ripetono le solite vecchie accuse. «Il gatto ‑ scrive il dizionario Enciclopedico Italiano ‑ è generalmente assunto come simbolo della falsità e della tendenza al furto: Falso come un gatto; Ladro come un gatto».
      Povero felino, incompreso e criminalizzato! Soltanto il Raiberti, oscuro scrittore della metà dell'800, volle elogiare in un libro i caratteri, le abitudini e le virtù, sì proprio le virtù, della razza felina, per contrapporli satiricamente ai difetti degli uomini. La discrezione, il senso dell'opportunità, un perfetto controllo dell'equilibrio, un'agilità proverbiale, la grande capacità di adattamento, sono per alcuni le migliori qualità fisiche e «morali» del gatto.
      In ogni caso, con i suoi presunti vizi e i suoi vantati pregi, il nostro amico felino non è che una vittima incolpevole delle arbitrarie proiezioni degli esseri umani.
Gatto aggressivo (stampa 600)Autonomo, coccolone ma anche irritabile, il gatto non viene mai addomesticato fino in fondo dagli esseri umani, anche se vive nelle loro case e viaggia sulle loro auto. A differenza del cane, che si affeziona ed è più fedele, il gatto forse affascina proprio per la sua irriducibile indipendenza.
      Divinità per gli antichi Egizi, idolo e compagno di vita di artisti sensibili e maledetti (E.A. Poe), oggetto di studio di celebri etologi (D. Morris), il gatto, tra gli amici dell'uomo è certamente il più amato dalle donne. E si comprende il perché. Di tutte le bestiole da compagnia è la più «femminile»: mobile, instabile di umore, emotiva, sfuggente, morbida, seducente, esoterica.
clip_image004      Le antiche streghe, ribalde e nude malafemmine, si tramutavano in gatte (v. riquadro).
      Le streghe moderne hanno ancora con i gatti un rapporto morboso, esclusivo, ricco di zone d'ombra e di mai svelata complicità. A Roma le chiamano «gattare». Amano vivere con tanti felini attorno, e la notte le puoi sorprendere nelle strade buie a nutrire clandestinamente tribù di randagi.
Gli ecologi protestano: «Così si favorisce la sovrappopolazione, contro ogni equilibrio naturale». Ma le moderne streghe non ci badano. Questa volta sbagliano per troppo amore.

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LEGGENDE E RITI: DAL GATTO MAMMONE AL GATTO-STREGA
Miao, sento odore di zolfo
Strega e gatto che strimpella il violino nel Sabba (antica stampa, part)
Il gatto, proprio per la sua natura misteriosa, è sempre stato al centro delle favole per bambini e anche di ricorrenti leggende popolari, comprese canzoncine o versi irriverenti che hanno allarmato polizie e Governi, come la famosa cantilena “Maramao, perché sei morto?" (v. articolo), in cui un solo gatto preoccupa addirittura il Papa-Re e Mussolini.
      Attorno alla figura del gatto sono andate sorgendo le più diverse credenze. E’ stato visto talvolta come entità positiva e benefica (ad esempio nell'antico Egitto, che usava perfino elevargli altari e statue). Ma altri popoli l'hanno invece considerato servitore del demonio.
      Mostro immaginario delle favole, evocato da che mondo è mondo dalle mamme per impaurire i bambini, il «gatto mammone»  (dall'arabo maimún, scimmia ma­caco) doveva essere un animale grosso, nero, peloso, ma agilissimo. Più grande d’una lince, più piccolo d’un orso. Saltava addosso ai bam­bini soli sul limitare del bosco per sbranarli.
Gatto nero di notte con luna piena stilizzata (piccolo)      Ma il gatto, ogni gatto, sia nelle leggende sia nella fantasia po­polare, è per eccellenza l'animale delle streghe, dei sortilegi e degli incantesimi.
      In Puglia le vecchine credono ancora oggi che in ogni gatta randagia si nasconda in realtà l' anima di una strega. Raccontano che nella vecchia Bari aragonese le streghe salivano nude sul terrazzo più alto della casa, da dove si lanciavano nel vuoto tramutandosi in gatte.
      A Oppido Mamertina, in Calabria, i gatti sono tabù. Chi uccide un gatto dovrà scontare la colpa con sette anni di penitenza, e quando sarà sul punto di morte la sua anima non potrà staccarsi dal corpo finché non verrà portato un gatto al suo capezzale.
      In provincia di Novara, a Miasino, giurano di aver visto più volte un fantasma in forma di gatto, «di color bianco, diafano e trasparente», scomparire per incanto dentro un muro.
[Papa%2520con%2520Triregno%2520come%2520gatto%2520furbo%2520e%2520inaffidabile%2520%2528stampa%2520francese%2529%255B12%255D.jpg]      A Bormio, in Valtellina, i vecchi si dicono convinti che in ogni gatto «dispettoso» si celi una strega, e raccontano in proposito antiche e inquietanti storie.
      A Ellera, in Liguria, si narra che le locali streghe si erano mutate in gatti dopo l'invasione dei francesi e avevano preso l'abitudine di mostrarsi in chiesa soltanto al sacerdote che officiava la messa, restando invisibili a tutti gli altri fedeli.
      A Feltre, nel Bellunese, tenere in braccio un gatto nero morto è invece un rimedio efficace contro il latrare assordante delle anime dannate che hanno preso le sembianze di cani.
      A Vicenza, invece, un'antica e maligna voce insinua che i gatti vengano da sempre cucinati in salmì o arrosto al posto delle lepri e dei conigli.
Cavour Il gatto cavorrese, satira Pedrini, Il Fischietto (part, picc) 21 dic 1848      I marchigiani, da parte loro, sono accusati di detestare i gatti di ogni razza. Trattano bene soltanto i gatti randagi perché sanno che si trasformano spesso in streghe.
      In Ciociaria, a Vallemaio, c'era l'usanza superstiziosa di curare il mughetto dei neonati introducendo nella loro bocca una coda di gatto.

IMMAGINI. 1. Il gatto in una delle tante illustrazioni di favole per bambini, alcune perfino inquietanti. 2. Mosaico romano con gatto che attacca una gallina. 3. Gatto domestico in disegno bianco-nero. 4. Il gatto e la volpe della favola, coppia simbolo di scaltrezza e dissimulazione, si ritrovano anche nel Pinocchio di Collodi (dis. di Mussino). 5. Freya, dea della fertilità presso i Vichinghi, su un carro trainato da due gatti. 6. Gatto aggressivo in una stampa del Seicento. 7. Il dio gatto degli Egizi. 8. Gatto che suona il violino al sabba delle streghe. 9. Il gatto simbolo notturno. 10. Gatto sornione ma infido che rappresenta il Papa nella satira francese del Settecento. Anche nella pittura il gatto era rappresentato come simbolo di tradimento e maldicenza. 11. Il “gatto cavorrese”, cioè il furbissimo e diabolico Cavour, nella satira del disegnatore Pedrini sul giornale Il Fischietto (1848). Il che dimostra che anche i migliori degli Italiani, i Padri della Patria, ai loro tempi erano criticati, eccome, dai tanti che anche allora fingevano di ignorare ipocritamente che la furbizia è la prima dote in Politica, dalla Polis di Atene in poi.

AGGIORNATO IL 23 MAGGIO 2021