25 novembre 2012

DONNE. Liliana dai capelli neri che lottò anche per la liberazione di noi maschi

Liliana Ingargiola Grande, piccola Liliana, ti ricorderò sempre con emozione. Anche se dicevi che anch'io, anche noi "maschietti" alternativi, liberali e radicali (con tutto che – diciamolo – eravamo ben diversi dai giovani radicali di oggi, iper-liberisti in capelli corti, giacca, cravatta e stile Luiss, che tu – ovvio – avresti schifato), ebbene, anche noi “compagni”, dicevi, eravamo maschilisti.

Grandi doti umane, il tratto un po' brusco di chi a 19 anni ha già sofferto, grande comunicativa, bello sguardo diretto e franco, con quella frangetta e i lunghi capelli neri e gli occhi nerissimi sopra gli zigomi larghi, non ti dimenticherò mai. Nonostante che molti dei coetanei ti abbiano dimenticato, e dopo l’impegno degli anni femministi, precedente all’èra del computer, la tua vita appartata non abbia aiutato i più giovani a conoscere quell’eroina che a vent’anni aveva lottato con tutte le sue forze per la liberazione della donna (più che per il “femminismo”, parola che forse ti piaceva di meno), tu resti il simbolo di un’epoca felice in cui ancora i giovanissimi pensavano, proponevano, partecipavano, si misuravano con gli adulti e i vecchi. Alla Gobetti. Non come oggi, quando gli insicuri e iper-protetti “giovani” frequentano rigorosamente – e per non fare nulla, poi – solo il ghetto auto-escluso e autoreferenziale degli altri giovani. Noi giovanissimi, invece, lottavamo per tutti, giovani e vecchi, donne e uomini. Forse, senza saperlo (ma che dico, senza dirlo, perché essendo radicale lo sapevi benissimo), tu ti battevi anche per la liberazione di noi maschi. E già, perché questo era lo slogan liberale di noi, insieme “bersagli” ma anche compagni di strada, che vi ammiravano e condividevano la vostra azione. La libertà dell’Uomo, a cominciare dal genere maschile – teorizzavamo noi giovani idealisti – deve passare necessariamente attraverso la liberazione dell’anello più debole del genere umano: la donna. E diciamolo, eravamo davvero orgogliosi di avere amiche e compagne così.

Liliana Ingargiola2 Fatto sta che non ci sei sul web, oggi che sei morta, cara Liliana. Di te, come eri nei tuoi anni giovanili, ho trovato in quella biblioteca d’Alessandria che è Google, solo una piccola foto grigia e sfocata (v. immagine in alto), ma bella e romantica, oltre ad una che ti riprende nella tua tarda maturità (v. immagine accanto), quando ormai ti avevamo perso di vista. Che è ingiusto per una donna come te. Guai a definirti la leader – parola tabù – del radicale Movimento di Liberazione della Donna o del Femminismo italiano! Ma, detto tra di noi, leader lo eri, eccome. Movimento a cui credo di aver dato due, come dire, piccoli contributi. Il primo (e mi fa ancora male una spalla) per aver materialmente ... eehm... aperto il riluttante portone secolare dell’antico palazzo del tribunale di via del Governo Vecchio che sarebbe diventato la vostra sede; il secondo per aver organizzato da voi, a grande richiesta, il mercatino di alimenti naturali e piante curative ogni domenica. Tu e le altre ragazze del MLD foste le prime entusiaste allieve e poi propagandiste della prima contro-informazione alimentare dell'appena nata mia Lega Naturista. Tanto è vero che a Radio Città Futura noi parlavamo di cibo sano, per vostra richiesta, subito dopo la seguitissima, da voi ragazze d’avanguardia, trasmissione “Io Donna”. Perché allora tutte le donne impegnate nel movimento di liberazione, ragazze giovanissime, erano – a differenza delle conformiste e consumiste coetanee di oggi – molto critiche verso “l’inganno alimentare” che umiliava, anch’esso, le donne. E infatti chiedevate la liberazione anche dai consumi sbagliati e imposti. Ecco perché ero così benvoluto e popolare, curiosamente, in via del Governo Vecchio. Posso dire, anzi, di essere stato uno dei due soli maschi ammessi in via eccezionale (nel mio caso anche per meriti... salutistici), nel vietatissimo tempio delle donne. L'altro ammesso era il giovane liberal-radicale Roberto della Rovere. Di recente, poi, lo ricorderai cara Liliana, ci eravamo incontrati di nuovo a piazza Navona, luogo fatidico di eventi laici. Credo 3 o 4 anni fa. E ci eravamo subito riconosciuti e abbracciati. Un grande, caro saluto, piccola, grande Liliana dai capelli neri!

Liliana Ingargiola, per anni valorosa esponente di primo piano del MLD (Movimento di Liberazione della Donna), si è spenta ieri 24 novembre 2012 a Roma.

IMMAGINI. 1. Una giovanissima Liliana Ingargiola (a 19 anni) ad una delle prime manifestazioni per la liberazione delle donne. 2. Liliana nella sua tarda maturità, quando ormai lavorava come psicologa.

JAZZ. Registrato nel famoso, mitico studio professionale (che era ricavato nella sua stessa abitazione!) di Rudy Van Gelder, il migliore tecnico del suono mai apparso nel jazz, a Hackensack, NJ, il 31 agosto 1956, ecco un bel brano dell’entusiasmante corrente hard bop, con Jackie McLean (alto Sax), Bill Hardman (trumpet), Mal Waldron (piano), Paul Chambers (bass), Philly Joe Jones (drums).

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23 novembre 2012

POPULISMO. Se il politico per vincere si finge il “giovane della porta accanto”.

Matteo Renzi Starei con Renzi: è simpatico, non è impacciato, non sembra un provinciale, non pare un semplicione, parla bene, buca lo schermo, anzi è fatto per la tv, è di gradevole aspetto, mostra senso dell'umorismo, si muove (già ora) in elicottero, sa dire battute, è sponsorizzato, ha (fin d'ora) un direttore dell'immagine, ostenta rapporti con i produttori (non con quegli sfigati dei consumatori), è sicuro di sé, anzi tracotante, prende in giro tutti, sa tutto e vuole fare tutto (purché lo si lasci fare, peccato che non dica mai che cosa in particolare vuol fare…), si sente a tu per tu con Obama, dice che rinnoverà tutto e abbatterà la vecchia classe politica. Insomma tutte cose già viste. Con Berlusconi.

Ma non c’è solo lui come precedente. I vecchi cronisti parlamentari hanno fatto la lista di tutti gli “homines novi” del passato che hanno catturato il consenso delle masse promettendo di mandare a casa i vecchi maninpasta della politica italiana, mettere in galera i disonesti, portare al potere un po’ di giovani e modernizzare l’Italia. Nientemeno. E chi sono i nettatori storici della viziosa politica italiana? Eccoli qua: Giannini (Uomo Qualunque), Bossi (Lega Nord), Berlusconi (Forza Italia), Mussolini (Fascismo), Di Pietro (Italia dei Valori), Grillo e i suoi grillini (Movimento 5 Stelle). A quale dei suoi predecessori vorrà assomigliare il sindaco di Firenze che vorrebbe scalare il PD e poi il Governo italiano? Certo alcune analogie sono inquietanti.

Tommy Carcetti, personaggio del giovane politico rampante (attore Aiden Gillen, fiction USA) Per carità, nessuno osa dire che questo giovane, anzi ormai non più “giovane”, mister R sia berlusconiano e men che meno mussoliniano. Però, come tutti gli ex-giovani – forse per nostalgia di un’età appena perduta – si richiama spesso al mito della palingenesi politica giovanilistica, come se poi ai giovani interessasse la politica. E poi chi ha letto il suo libro, ed è per lo più gente di Sinistra, vi ha trovato accenti vagamente simili a quelli di Berlusconi. E non dice mai con chi si alleerà. Inoltre i suoi programmi sono sempre generici e vaghi, vanno bene per fare tutto e il suo contrario. E questo autorizza tutti i sospetti. In quanto a giovanilismo, i più acidi (e anziani) ricordano che dopotutto l’inno del fascismo era Giovinezza, giovinezza...

“Un fanfarone impregnato di demagogia”  è  stato definito da un  giovane repubblicano su Facebook. “Un gradasso esuberante, incline alla battuta facile, d'incontenibile presenzialismo e presunzione, tutto chiacchiere e distintivo”. Giudizio durissimo confermato da due ex-democristiani come lui, il vecchio Marini (“è un ambizioso”) e l’ex-giovane Casini (“un abile parlatore”).

Fatto sta che questo ragazzotto arrogante e velleitario dalla bella faccia, per come si muove spregiudicatamente già ora sembra inserirsi in quel filone di vuota politica mediatica e televisiva che si indirizza direttamente al presunto "popolo", sì, ma quello passivo, visto come folla, insomma gli spettatori, saltando tutto e tutti. Se la casalinga o il pensionato o lo studente che non s’interessano di politica e non sanno valutare né la realizzabilità d’un programma di legislatura né la credibilità d’un personaggio s’innamorano d’un volto nuovo, sono dolori. Si rischia forte. E’ il suo linguaggio stesso a rivelare la vera, inquietante natura di Renzi, come scrive G. Salerno su Liberazione. E i marxisti, si sa, sono fini intenditori di psicologia linguistica.

populismoIl carisma, poi, è un’arma a doppio taglio: si irradia verso il popolo, ma prende anche dal popolo gli istinti peggiori, i più beceri. E l’Italia non ha gli anticorpi sociali, politici ed economici degli Stati Uniti d’America. Coi disastrosi precedenti populistici che abbiamo avuto, poi, dobbiamo considerarci ormai un Paese a rischio di populismo, facile preda del primo venditore “porta a porta”, dietro il cui seduttivo “bla-bla-bla” c’è il vuoto.

No, grazie, mi sa che 'sto Renzi, come chiunque altro che all’improvviso prometta il Paradiso senza avercelo fatto vedere in piccolo nei primi 20 anni della sua carriera, nella sua città, nel suo quartiere, al limite nel suo condominio, è solo vecchia politica in faccia nuova. Uno più serio, meno ambizioso, più antipatico e meno televisivo non c'è?

IMMAGINI. 1. Matteo Renzi. 2. Tommy Carcetti, il personaggio di fantasia che impersona il tipico giovane politico rampante (l’attore è Aiden Gillen) in una famosa serie televisiva USA ambientata a Baltimora. Purtroppo non è senza significato che si sia scelto un cognome italiano. 3. Oggi il populismo, vecchio vizio della politica italiana, è reso più facile dal megafono offerto dalla televisione.

JAZZ. Da uno degli ultimi vecchi dischi a 78 giri, il Sestetto del caposcuola del jazz cool Lennie Tristano in Wow. Con Tristano (che era di origine italiana) al piano, i suoi allievi Lee Konitz(as), Warne Marsh (ts), Billy Bauer (g), Arnold Fishkin (b), Harold Granowsky(dr).

AGGIORNATO IL 21 OTTOBRE 2013

17 novembre 2012

PSICOLOGIA. I sei cappelli: pensare in modi “paralleli” per risolvere i problemi.

6cappelli

La donna (o l’uomo) vi lascia? Non sapete come riempire una valigia, con tutte le cose che vorreste mettervi dentro? Avete un negozio con una bella insegna e bella vetrina, dove però non entra nessuno? Avete preso una malattia? L’azienda vi considera “in esubero”? Siete bloccati in una lunga coda in autostrada? Dovete presentare un progetto, ma tutte le soluzioni possibili si confondono nella vostra mente: quale sarà quella giusta?

Niente panico, calma! Prima di suicidarvi o imprecare contro la malasorte. considerate la situazione da diversi punti di vista, tra cui, certo, anche quello che vede tutto in positivo. Ma in modo ordinato, senza fare confusione tra emozioni, dati di fatto, creatività, vantaggi e svantaggi della cosa. Insomma, problemi ed eventi critici si possono affrontare con successo applicando il trucco dei pensieri paralleli o laterali: aiuta a guardarsi intorno e a trovare soluzioni che sembrano irraggiungibili col confuso approccio istintivo.

E’ la teoria dei “sei cappelli” dello psicologo maltese De Bono grande teorico di problem solving, “pensiero laterale” e psicologia aziendale (“E. De Bono. Sei cappelli per pensare. Il rivoluzionario metodo per ragionare con creatività ed efficacia. BUR 2011, p. 201, € 9,90), di cui in Italia uno dei maggiori esperti e divulgatori è Umberto Santucci. Sul suo blog ci spiega come ha applicato con successo la teoria dei “sei cappelli” di De Bono perfino quando è rimasto bloccato con la moglie in una lunga coda in autostrada, riuscendo ad attenuare e volgere in positivo i problemi psicologici causati dalla situazione d’emergenza. Il metodo dei “sei cappelli”, ovviamente, è ancora più efficace quando il problema non consiste in una situazione oggettiva, ma è in noi, cioè è interamente risolvibile da noi stessi.

Ma che cos’è la teoria dei “sei cappelli”? Ce lo spiega lo stesso Santucci nelle righe seguenti tratte dal suo blog:

«Ognuno di noi tende a pensare nello stesso modo, e trova difficoltà ad assumere altri modi: il pessimista pensa in nero, l’ottimista in rosa, l’emotivo in rosso, il razionale in bianco. Edward De Bono, padre del “pensiero laterale”, nel 1985 ha proposto un originale e fortunatissimo metodo per abituarsi a pensare con sei modalità diverse. Ogni modalità è stata equiparata ad un cappello che si mette e si toglie alla bisogna. I cappelli sono sei, colorati con colori simbolici.

Il cappello bianco (il foglio bianco, la neve immacolata) è il ragionamento analitico e imparziale, che riporta i fatti così come sono, che fa analisi dei dati, raccolta di informazioni, precedenti, analogie ed elementi raccolti senza giudicarli.

Il cappello rosso (il fuoco della passione, vedere rosso) è l’espressione libera dell’emotività: esprimere di getto le proprie intuizioni, come suggerimenti o sfoghi liberatori, come se si ridiventasse bambini; emozioni, sentimenti positivi e negativi come antipatia, rabbia, timore.

Il cappello nero (la notte, il lutto) è l’avvocato del diavolo che rileva gli aspetti negativi, le ragioni per cui la cosa non può andare.

Il cappello giallo (il sole, l’oro) è l’avvocato dell’angelo, rileva gli aspetti positivi, i vantaggi, le opportunità.

Il cappello verde (la pianta che fiorisce) indica sbocchi creativi, nuove idee, analisi e proposte migliorative, visioni insolite.

Il cappello blu (il cielo, l’alto) stabilisce priorità, metodi, sequenze funzionali. Pianifica, organizza, stabilisce le regole del gioco. Conduce il gioco dei sei cappelli.

In ottica di gestione a vista, il metodo (o il gioco, se si preferisce) dei sei cappelli, visualizza in modo semplice e intuitivo i sei atteggiamenti di pensiero, e facilita il passaggio dall’uno all’altro. Se dico: “cerca di vedere le cose in modo un po’ più positivo, altrimenti ci scoraggi” ottengo come risposta: “io son fatto così, del resto poi i fatti mi danno ragione”. Se invece dico: “bene, ora togliti il cappello nero e dimmi come vedi la cosa col cappello giallo” propongo come analogia, gioco di mimo e di colori, un cambiamento di atteggiamento mentale, e lo rendo più facile, proprio perché più leggero.

Nella mappa dei sei cappelli, le coppie di opposti sono antagoniste o complementari: alla freddezza del bianco si oppone il calore del rosso, al pessimismo del nero l'ottimismo del giallo, alla fantasia del verde la concretezza del blu. Una buona successione può essere bianco > rosso > nero > giallo > verde > blu, anche se i cappelli si possono usare liberamente.

I cappelli si possono usare da soli, nel senso che posso affrontare un problema raccogliendo i dati, lasciandomi andare alle sensazioni, valutando le criticità e i vantaggi, cercando soluzioni e proposte, pianificando le cose da fare. Oppure possono essere usati per disciplinare una riunione, per renderla meno conflittuale e più collaborativa, in quanto i partecipanti non difendono ognuno il suo modo di pensare, ma di volta in volta cercano di affrontare il problema pensando tutti insieme nello stesso modo. Per visualizzare meglio i risultati della riunione, si possono creare sei tabelloni con ciò che è venuto fuori da ciascun cappello».

JAZZ. Il quintetto con Horace Silver (piano), Blue Mitchell (trumpet), Junior Cook (tenor saxophone), Gene Taylor (bass), Louis Hayes (drums), in un brano dal curioso titolo Baghdad Blues, dal LP Blue Note Classic " Blowin' The Blues Away " (1959).

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12 novembre 2012

SPORT. Un bel gesto ci riporta ai tempi dei gentlemen e della Vecchia Signora

Buffon (Juventus) consola portiere avversario Perin (6 reti, Pescara) 2012 Sarà da "Cuore", che era ambientato a Torino, del resto, ma a me è piaciuto molto. Un gesto vero, conoscendo la grande personalità del suo autore, che riscatta le idiozie di molti tifosi (p.es, proprio nello stesso pomeriggio, nel derby a Roma). A Pescara, Gigi Buffon, anziano portiere della Juventus, è andato a consolare e ad abbracciare fraternamente a fine partita il suo giovanissimo collega avversario Mattia Perin (20 anni, pochi anche nel calcio, specie per un portiere) che aveva subìto ben 6 reti, un'enormità, esortandolo a non avvilirsi e a continuare con dignità. Una cosa così non si vedeva da anni: sembra di essere tornati ai tempi in cui a fare football erano i gentleman e una squadra si chiamava "la Signora" (solo oggi “la Vecchia Signora”) per i suoi modi perbene, capace per prima cosa di riconoscere a fine partita il valore della squadra avversaria e il significato umano e nobile dello sport.  Per questo, noi da piccoli eravamo "per la Juventus anni Trenta (quinquennio d'oro)Juventus", per quel suo stile anti-tifo, per la sua sportività inglese, assai poco italiana. Dalle squadre della Gran Bretagna, infatti, la neonata Juventus adottò la tipica maglia a strisce verticali bianco-nere. Poi tutto cambiò e si deturpò, e anche la squadra di gentlemen, e soprattutto alcuni tifosi esagitati, per tacere di qualche dirigente, furono come tutti gli altri. Ora da questo gesto, che mi è molto piaciuto perché mi riporta a quando avevo 8 anni (l'unica età giusta per il tifo, sia pure moderato) ed ero già idealista, spero che scaturiscano altri simili, e che cambi a poco a poco – sia nel calcio italiano, sia in quello mondiale – la facies psico-sociologica dei calciatori, spesso cinici e avidi professionisti senza scrupoli e senza attaccamento alla propria squadra, e soprattutto dei tifosi, diventati in molti casi ottusi uomini-massa di cui non c'è proprio alcun bisogno.

IMMAGINI. 1. Buffon, portiere della Juventus e della Nazionale, consola il giovanissimo (20 anni) portiere del Pescara, Mattia Perin, che proprio nel suo compleanno subisce ben sei reti. 2. La Juventus ai tempi del “Quinquennio d’oro” (1931-1935), quando vinse cinque campionati consecutivi. In squadra c’erano Combi, Rosetta, Caligaris, Cesarini, Orsi e Borel, e nove giocatori Juventus furono chiamati a vestire la maglia della Nazionale, che fu più volte campione d’Europa e del Mondo.

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MUSICA LEGGERA. Visto che siamo in ambiente torinese, vorrei qui ricordare il grande Fred Buscaglione, appassionato di jazz, cantante dallo stile e dal sound unici, capace di un’ironia che ben pochi poi hanno eguagliato, interprete di testi scritti dal paroliere Leo Chiosso, intrisi di divertente satira di costume. Su YouTube ho trovato almeno nove sue canzoni: Che bambola!, Eri piccola, Che notte, Whisky facile, Teresa non sparare, Noi duri, Porfirio Villarosa. Kriminal Tango, Guarda che luna.

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09 novembre 2012

CRISI. Quell’idea di decadenza, morbosa e masochista, che piace tanto all’Europa

crisi Sì, lo so, “non è il momento”, e poi ovviamente “ci sono ben altri problemi”. E comunque “proprio adesso in tempi di crisi?” La crisi come Grande Scusa Universale. Ma la crisi è anche l’occasione di una svolta epocale, positiva, una palingenesi che può servire agli intelligenti per riscrivere le “regole del gioco” distribuendo più equamente il potere tra Produttori e Acquirenti, Stato e Cittadini, furbi Carnefici auto-nominatisi capi e rassegnate Vittime impotenti, come si legge qui.

A proposito, ma che cosa è la “crisi”? Quest’idea di dramma e decadenza, d’inesorabile e ricorrente “discesa nel Maelström”, nei gorghi senza fine dell’Oceano, come in certi sogni ricorrenti dell’adolescenza, è un refrain che dura, credo, dal primo Novecento, quando in Europa deve aver preso piede per imperscrutabili motivi di psicologia sociale che lascio agli storici delle idee e del costume stipendiati dallo Stato l’idea masochistica di “crisi”. A scopo chiaramente apotropaico, scaramantico, o come dicono a Napoli “anti-jettatorio”. Proprio come rispondono contadini, commercianti, attori e cacciatori, le quattro categorie più superstiziose, quando gli chiedete come va. Ma a forza di evocarla, la “crisi” si materializza davvero, direbbero nei vicoli dietro via Roma. E infatti da allora, guarda caso, le “crisi” si sono ripetute ogni anno. Crisi economica, crisi politica, crisi morale, crisi esistenziale, crisi di valori, crisi di identità, e così via. Tutto va bene nel minestrone, purché ci sia la parola “crisi”.

E dire che già in latino crisis voleva dire ben più della originaria crisis greca (separazione, taglio, riferiti alla trebbiatura, al raccolto delle mèssi): era già “periodo critico” in Seneca o addirittura “giudizio critico” in Lucilio (Campanini Carboni). Ma allora avevano ragione Leopardi e perfino l’ottuso prete dei sonetti satirici del Belli! Nel Tommaseo ha altri due significati: “momento pericoloso o decisivo del cambiar faccia un affare” oppure, riprendendo Seneca, il termine medico di reazione della Natura all’azione d’un morbo (es. “La crisi non è sempre salutare”).

Comunque sia, la parola piace, ci voleva, la si aspettava, si incastra perfettamente nell’auto-compatimento dell’uomo moderno, specie meridionale, che tutto il proprio male addebita all’esterno. Diciamo che cade come il cacio sui maccheroni, e ciascuno se l’aggiusta come vuole. La “crisi” c’è sempre e ovunque, specie nei Paesi latini e in Europa, meno in America del Nord. Guarda caso.

In America e in Europa al generico “Come va?” è d’obbligo rispondere per dignità, ma anche a scopo apotropaico e sociale, per non coinvolgere i conoscenti superficiali in un’imbarazzante solidarietà: “Tutto bene”, “Benissimo”. Solo nei paesi del Sud Italia oppure tra contadini, cacciatori e pescatori – che della lamentela e autocommiserazione fanno una vera e propria superstizione – si usa rispondere “Ah, non me ne parli: un disastro. Non le dico le tasse… i guai in famiglia… e poi il raccolto è la metà dell’anno scorso!” Mai sentito dire in vita mia, e mai letto neanche sui libri: quest’anno va tutto bene, signore mio, siamo nell’abbondanza, affari di famiglia-industria-commercio-politica vanno a gonfie vele, il tempo volge al bello, l’economia del Paese prospera, il Governo fa il bene dei cittadini, i cittadini sono rispettosi delle leggi, solidali tra loro e grandi lavoratori. Neanche il più bugiardo venditore di almanacchi dei tempi di Leopardi avrebbe propagandato il suo opuscolo in questo modo.

Ma, a parte la recita da sfortunati e l’evocazione del Male che secondo i più superstiziosi dovrebbe “portare bene” (v. il tabù degli auguri per la gente dello spettacolo e la sua sostituzione con lo stupido “crepi il lupo” o “merda”), l’infelicità dell'uomo, quella vera, è dunque la sua normale esistenza, neanche una “crisi” passeggera. E ci deriva proprio dall’essere uomini, anzi uomini moderni, finalmente imbevuti di Ragione e spirito critico, sostenava il filosofo-poeta di Recanati. A differenza dei “popoli fanciulli” dell’Antichità più remota, che le “crisi” le superavano d’impeto oppure le subivano senza scampo, ma certo non le vivevano a lungo, per tutta la vita, rivoltandovisi con insano godimento. Ecco perché forse erano “felici” senza saperlo. E dunque è “colpa” dell’introspezione dell’Illuminismo? Certo, sono il pensiero libero, la critica, la cultura, i libri, il vero Male del Mondo, fa dire il caustico G.G.Belli ad un prete romano in un suo sonetto: “I libri, figli miei, non li leggete”.

Ma dal pessimismo universale dell’Ottocento all’idea ossessiva di “crisi” molto ci corre. E’ il Novecento a vivere e prosperare sulla ricorrente, onanistica, idea di Crisi. L’acme del godimento, dopo l’antipasto del 1915-1918 con la Grande Guerra, guerra di crisi, e la successiva epidemia di influenza “spagnola”, la più devastante crisi sanitaria («Avete visto che avevamo ragione?»), ci fu nel 1929, non per caso in un Nord America ancora inglese nella psicologia.

Ma a parte le guerre, i lazzaretti e la banale economia, un intero filone di pensiero ha vissuto sulla decadenza, tra cui i maestri Spengler e Benda, Ortega y Gasset e Huizinga. Senza contare il superomismo e individualismo anarcoide a cui ha attinto il sorgente Fascismo, da Guénon a Evola, mettendo nel minestrone andato a male e da correggere un pizzico di Spirito, un’oncia di Sacro, una spolveratina di Simbolico, e una libbra buona di Autoritarismo.

Come se, prendendo fischi per fiaschi e mischiando tutto (filosofia, storia, economia, psicologia di massa), l’asserita crisi dell’Europa fosse la auspicata, sotto sotto, fine dell’Occidente o del Liberalismo o addirittura del Pensiero stesso o della Coscienza comune degli umani, e non solo l’Italia o la Germania, ma il Mondo tutto, non aspettasse altro per risolvere la propria Crisi che la personalità d’un Grande Uomo, un uomo solo, riprendendo l’autoritarismo scellerato e crudele dell’Oriente o almeno la sua “saggia” atarassia, molto comoda per i despoti. Perché, si sa, stravolgendo Leopardi, non c’è stata mai crisi nelle ashram dell’India dove i saggi meditano in nome d’un invisibile Dio e lo Spirito Sublime si incarna – guarda caso – nei più cenciosi e puzzolenti fachiri.

Si è visto poi che a rifare il verso a questa tesi erano tanti piccoli uomini, meschini, mediocri in tutto, giornalistucoli, militari da operetta o pittori dilettanti. Altro che Spirito! Figuriamoci se il Logos si sarebbe sprecato a inverarsi in quegli omuncoli piccolo-borghesi d’una sottocultura provinciale dedita alla perdizione di letture esotiche d’evasione, sulla scia d’un Guido da Verona o d’un Salgari del “pensiero” (si fa per dire). Così, essi stessi furono causa di ulteriore, più drammatica e definitiva crisi: quella vera, finalmente.

JAZZ. Il bel brano Nica’s Dream (dalla baronessa Pannonica de Koeningswarter, protettrice di jazzisti del bop: a casa sua morì Parker) in due interpretazioni, la prima col quintetto di Horace Silver (Blue Mitchell tromba, Junior Cook sax tenore, Gene Taylor basso, Roy Brooks batteria), che mi sembra la migliore in quanto a registrazione su YouTube, e la seconda in sestetto con l’aggiunta di Curtis Fuller, al trombone. Anni Cinquanta.

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